Un fuoco al giorno …

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L’aria rimane densa ed elettrica nel Cpr di corso Brunelleschi: venerdì durante il temporale un ragazzo ha approfittato della scarsa attenzione di charlie e delle forze dell’ordine per saltare sbarre e muri e conquistare la libertà.  

Per quanto i media ufficiali avvolgano in un’aurea di eccezionalità le proteste e gli incendi nel centro, bruciare materassi e i pochi suppellettili rimasti è ormai una pratica consueta, per richiamare l’attenzione e pretendere una risoluzione ai tanti problemi che ci sono dentro, solo in ultimo la mancanza del barbiere. Nei giorni scorsi invece i reclusi ci hanno raccontato di come mancassero dosi di shampoo sufficienti per lavarsi e acqua fresca per dissetarsi.

Gli incendi servono anche per comunicare direttamente con fuori, durante gli ultimi presidi infatti è successo più volte di vedere innalzarsi una colonna di fumo che ha fatto scaldare gli animi dei solidali accorsi e rilanciare le grida di sostegno. Il rogo si è ripetuto anche questo sabato quando le voci, la musica e il clangore delle battiture di uno sparuto presidio fuori dal centro, allestito nonostante la pioggia, hanno raggiunto le orecchie dei reclusi.

Ieri ci è arrivata la notizia che numerosi reclusi hanno gettato il cibo addosso agli operatori, forti del fatto di aver anche ricevuto il giorno prima una grossa mole di pacchi alimentari, raccolti a seguito di un appello lanciato per l’occasione da alcuni dei tanti solidali che si sono mobilitati dopo la morte di Faisal. Lontano da ogni forma di pietismo e assistenza umanitaria questo episodio sottolinea come una lotta possa acquisire maggiore forza nella congiuntura di sforzi tra dentro e fuori: rigettare il cibo della Sodexo senza perdere le energie e mantenendosi lucidi, ossia senza il ricatto della fame, e con la possibilità in prospettiva di organizzarlo per più giorni e in modo duraturo.

Continuando in questa carrellata attraverso il fine settimana, da sabato sera fino a tutto domenica un ragazzo è rimasto arrampicato sopra il tetto della sezione per resistere a una deportazione. In isolamento è trattenuto un ragazzo con forti problemi mentali, preoccupando molto altri reclusi che lo hanno visto senza vestiti.

Se la paura cambiasse di campo

26 luglio. Un uomo nigeriano viene fermato dalla polizia per un controllo dei documenti. Non avendo un permesso di soggiorno in regola, il ragazzo si è rifiutato di essere identificato. La scena ha attirato l’attenzione di altri stranieri che hanno circondato gli agenti e hanno reso vane le loro richieste finché sono intervenute altre volanti, un poliziotto fuori servizio di passaggio e una coppia di solerti cittadini armati di spray al peperoncino. Il ragazzo che non ha mostrato i documenti è stato tratto in arresto.

Ancora, ancora e ancora

Sembra di essere tornati nel lontano 2011, quando nella canicola estiva si erano propagate fughe e rivolte attraverso i Centri di tutta la penisola. Forse non per estensione e quantità, ma l’intensità di quanto sta continuando ad accadere nel Cpr di Torino, senza contare la fuga di massa a Ponte Galeria di inizio luglio, ricorda un furore che gli sgherri di stato stentano a spegnere e che anche ieri sera è tornato a farsi sentire.

Ancora un tentativo di fuga, come qualche giorno fa, è avvenuto verso le 19:00 e questa volta non ha coinvolto solo alcuni ragazzi dell’area gialla ma anche qualcuno dalla rossa. I fuggitivi sono stati riacciuffati, la polizia è entrata nell’area gialla e ha elargito ampie manganellate rompendo il braccio a un ragazzo e ferendone un’altro alla caviglia. Tuttavia proprio dall’area rossa un ragazzo è riuscito a conquistare la libertà, le guardie sembra che se ne siano accorte questa mattina dopo aver fatto la conta. Sempre in mattinata hanno poi svolto diverse perquisizioni alla ricerca di corde e altro materiale funzionale alla fuga. 

Sembra che in queste settimane i reclusi del Cpr stiano rispolverando tutto l’armamentario di strumenti di lotta a loro disposizione. Non solo incendi e fughe, ma due giorni fa un paio di ragazzi sono saliti sul tetto della loro sezione per protestare contro la mancanza di cure verso un ragazzo che si sentiva male e, per uno dei due, richiedere una risposta alla domanda di rimpatrio volontario.

L’estate è ancora lunga, il Cpr è sempre là e la temperatura non sembra destinata a scendere. La sfida per chi sta fuori e cerca un modo di sostenere le lotte dei reclusi, è sempre aperta.

Qui di seguito riportiamo i video della tentata fuga di ieri:

Tentata fuga pt.1

Tentata fuga pt.2 

AGGIORNAMENTO:

Passato il momento di tensione e dopo due chiacchiere coi reclusi più a bocce ferme abbiamo ricevuto notizie più precise in merito al tentativo di fuga. I ragazzi che sono riusciti a scavalcare le mura sono due, tuttavia sono stati riacciuffati quasi subito. Uno è stato riportato al Cpr mentre l’altro è stato tradotto alle Vallette, probabilmente per una resistenza con la polizia nel momento in cui l’hanno ripreso.

Ex Moi in dirittura di arrivo

16 luglio. Cambio di rotta e sopratutto accelerata nella gestione dello sgombero delle palazzine Ex Moi. Il Ministero dell’Interno ha preso in mano la partita e ha deciso che gli ultimi 400 abitanti dovranno uscire entro metà agosto, invece che la fine dell’anno come era stato più volte dichiarato. Quello che li aspetta sarà l’inserimento in dei progetti, per i primi 200, mentre per gli altrettanti restanti si tratterà di ricollocarli in centri di accoglienza o inserirli nel nuovo piano di incentivazione dei rimpatri volontari assistiti. Oltre alle due tranche del Viminale pari a 2 milioni di euro stanziati per lo sgombero delle palazzine, la nuova giunta regionale capitanata da Cirio ha ulteriormente stanziato 500 mila euro.

Ancora una volta

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Il muro d’acqua che nel fine settimana è piombato su Torino, a uniformare il grigiore di questa città tra cielo e asfalto, non ha spento i bollenti spiriti di chi è rinchiuso nel Cpr di corso Brunelleschi e da giorni si sta battendo per mandare un segnale: non si è disposti a soccombere senza colpo ferire. Sulla spinta delle rivolte che sono avvenute dopo la morte di Faisal, nella notte tra domenica e lunedì i reclusi dell’area gialla hanno tentato in gruppo la fuga. Un ragazzo è riuscito a conquistare la libertà senza essere ripreso, a lui va il nostro saluto con la speranza che possa continuare a lottare nel cammino tortuoso attraverso la fortezza europea, mentre tutti gli altri sono stati riacciuffati, pestati e riportati in sezione.

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Senza espiazione

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Nel Cpr torinese c’è rabbia, un sentimento condiviso e profondo che ha trovato sfogo nella rivolta degli ultimi giorni, soprattutto quando fuori dalle mura gruppi di solidali hanno fatto sentire ai reclusi di non essere soli. Ma la tensione continua a essere più che strisciante ed è aizzata dagli effetti della repressione della polizia entrata per sedare gli animi: un ragazzo ha il braccio rotto, un altro la costola, uno è stato arrestato perché considerato tra i più riottosi.

Dopo la confusione e le manganellate si iniziano a mettere insieme i pezzi di racconto delle ultime 72 ore, qualcuno dice essere possibile che il ragazzo morto non sia lo stesso di quello che ha subìto abusi, una “verità” che gira già da un po’ tramite svariati canali d’informazione. Ma quale verità? I reclusi hanno messo insieme pezzi di ciò che hanno potuto vedere dalle loro gabbie e questo vale molto più di ogni fatto certificato, è il frutto della loro posizione, di ciò che sanno che può avvenire. La scintilla era grossa in quello che pensavano fosse successo, il fatto che le scintille siano più di una non deve trarre in inganno, la differenza è sostanziale solo nelle cronache locali, nelle carte giudiziarie, o nello sguardo di chi vede quel luogo dall’alto come fosse una planimetria; nei compartimenti stagni dove sono chiusi i detenuti invece la verità prende corpo e diventa vita, non è solo l’occhio a essere diverso ma è la realtà del vissuto a irrompere, senza verificare che sia sovrapponibile con ciò che viene sentenziato fuori. A esplodere puntualmente in una prigione come il Cpr sono tensioni profonde, non nessi causali.
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Di morte naturale

Morte naturale.

Più che un’osservazione medica, questa valutazione iniziale del medico legale ha il sapore acre ed artefatto della sentenza.

Sahid da quello che raccontano i detenuti del Cpr torinese era dello Sri Lanka, cingalese, con problemi psichici che rendevano la sua detenzione ancora più insopportabile. Se ne lamentava, ma nessuno riusciva a capire cosa dicesse di preciso perché non parlava nessuna lingua che gli altri conoscessero; vedevano che veniva spostato dall’amministrazione del centro da un’area all’altra con continui sfottò: “occupatevene voi di questo qui!”.

Alla mercé.

Tutti dentro sapevano che le sue condizioni fisiche non erano adatte alla detenzione, non perché vi sia qualcuno più idoneo, ma perché formalmente anche in questi gironi d’inferno sono stabilite delle soglie di sopportabilità rispetto alle quali alcuni individui non dovrebbero finirci dentro, o al massimo dovrebbero essere liberati. Questo è avvenuto pochissime volte negli ultimi anni e persone allo stremo sono state tenute dentro, come Tomi qualche mese fa.

Così Sahid, lasciato a sbavare e sbraitare, con 40° e un solo litro di acqua potabile, data calda, la razione che spetta giornalmente nonostante la canicola. Al trattamento dell’afflizione detentiva si è poi aggiunta la violenza da parte di due detenuti, l’hanno stuprato e inferto ferite tali che ci ha lasciato la pelle. La sua morte è tutt’altro che naturale, e non solo per la violenza sessuale e le sue conseguenze, ma perché dopo che è avvenuta, per più di dieci giorni, Sahid è stato lasciato a marcire in isolamento, marcire letteralmente: da quello che si sa è morto il 7 luglio di sera, se ne sono accorti solo alla mattina di ieri. Una persona stuprata e ferita non è stata portata all’ospedale ma in isolamento, lasciata senza cure, come da norma, in un centro in cui la polizia non fa entrare neppure le ambulanze presentando come scusa la presenza di un infermieria, “l’ospedaletto”, dove tutto si cura magicamente con un cocktail di paracetamolo e psicofarmaci.

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Inseguendo la chimera pt. 6

 

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NOTE A PARTIRE DALL’OPERAZIONE SCINTILLA

Dopo mesi concitati, nel tentativo di dare una degna risposta allo sgombero dell’Asilo e all’arresto di sei compagni e compagne, nel tentativo di mantenere viva la voglia di lottare in questa città, ci prendiamo ora il tempo di fare alcuni ragionamenti su questo teorema inquisitorio partorito dalla Questura, fatto proprio dalla Procura e avvallato da una GIP. Un teorema che per il momento non ha retto il primo impatto con il Tribunale del Riesame, dopo tre mesi sono infatti usciti dal carcere cinque compagni, ma che costringe ancora Silvia tra quelle mura e in condizioni di detenzione particolarmente afflittive.

A indagini ancora aperte vale la pena spendere sopra queste carte qualche parola, tra le altre cose perché contiene alcune indicazioni che sono il segno dei tempi su come costringere certi anarchici al silenzio, seppur non del tutto nuove. Già quindici anni fa infatti si poteva leggere in un libretto, dal titolo ‘L’anarchismo al bando’, di come le strategie repressive mirassero a “togliere agli anarchici ogni possibilità di agire in gruppi di più persone articolando anche alla luce del sole il loro intervento, proprio in quanto finalizzato all’insurrezione generalizzata”.

Questo lavoro di analisi uscirà a puntate, una alla settimana, che si concentreranno su alcune specificità dell’operazione Scintilla e della lotta contro i Centri di detenzione per immigrati. A scriverle sono alcuni compagni, alcuni imputati e indagati in quest’inchiesta, altri no, che nel corso degli anni si sono battuti contro la detenzione amministrativa.

La pienezza 

Le lotte reali sono un fatto sociale, e quindi anche la lotta contro la reclusione amministrativa dei senza-documenti non è una sfida a singolar tenzone contro lo Stato lanciata da un manipolo di sovversivi. Come tutte le lotte reali procede per alti e bassi, è fatta di iniziative individuali e collettive, dentro e fuori i Centri, ed è per questo che il tentativo di ricondurre il tutto al disegno criminoso di un’associazione sovversiva non può che risultare una forzatura. Le raffinate e alquanto noiose menti della Questura non hanno saputo fare di meglio che descrivere un fantomatico “progetto criminoso” composto di ancora più improbabili fasi: dall’epoca dei proclami incendiari di cui I Cieli bruciano sarebbe la punta di diamante nonché il vero “documento programmatico” si è passati alle azioni violente e infine si è ripiegati sull’istigazione alle rivolte dei reclusi. Il linguaggio farraginoso della Procura non può minimamente sfiorare la realtà di una lotta complessa e variegata, tutt’altro che consequenziale, sia nelle persone che vi hanno partecipato sia nelle azioni e iniziative messe in campo negli anni. Una lotta che ha avuto il suo picco distruttivo a cavallo tra 2011 e 2012, quando la capienza dei centri in tutta la penisola era ai minimi storici e si iniziava a ipotizzare la loro reale scomparsa, cosa che la controparte non ha minimamente considerato, a riprova dei reali intenti che persegue e della narrazione che le fa comodo utilizzare. Il linguaggio della Procura, come in tante altre inchieste anche molto recenti, non solo piega la descrizione di una lotta ai propri scopi ma anche quella del gruppo stesso di compagni che l’hanno portata avanti: “l’azione degli associati, rimasta celata dietro la mera attività contestativa e appunto sociale della matrice di appartenenza, si è di fatto sviluppata ed evoluta ponendosi a metà strada tra l’insurrezionalismo sociale e quello più propriamente lottarmatista” – “azione celata dietro attività pubbliche e cosiddette sociali”. (more…)

La campagna del suk

5 luglio. Nonostante le indiscrezioni sembra che non sia ancora giunto il momento dello sgombero del balòn di canale Molassi e San Pietro in Vincoli. Nonostante le pressioni di alcuni politici, Marrone e Alessi in prima linea,e della sindaca, il Prefetto consiglia di procedere con calma. Chi piazza i teli in quella parte del mercato, solidali e abitanti della zona che ritengono ingiusto lo spostamento si sono ancora una volta organizzati e dati appuntamento per un presidio notturno. La politica attuata da chi gestisce la città pare una campagna volta allo sfiancamento: l’allarme sgombero viene a tratti rinnovato diffondendo ansia e agitazione tra i mercatari, la data man mano posticipata mentre l’estate avanza e tanti saranno fuori porta. Intanto per le prossime due settimane un cantiere sta occupando la maggior parte del canale acciottolato impedendo di fatto la stesura della merce.

Il Capo, il servo, lo schiavo e le amanti

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Lo sciopero di qualche giorno fa dei lavoratori Domino’s, il primo da quando la pizza americana è sbarcata sulla penisola, ha saputo mostrare un quadro dalle tinte forti e ben definite. I personaggi si sono susseguiti su un teatro di posa apparecchiato dalla lotta, un dramma consumato in un piano sequenza tra il grottesco e il fin troppo serio. Un quadro chiaro ma tutt’altro che immune dalla complessità che distingue il mondo del lavoro e che viene bene a galla quando è scosso dai fremiti, seppur a malapena accennati, del conflitto, di chi si batte per sé e per i propri bisogni senza più sottostare ai ritmi e ai limiti imposti dall’azienda.

Qui non si vuole raccontare in modo didascalico gli avvenimenti di sabato 29 e domenica 30, tutto sommato nulla di eccezionale e ben riportati dagli strumenti di comunicazione autonomi di questi lavoratori (per un riassunto dei comunicati, anche qualora non aveste facebook, ecco qua). Quanto piuttosto giocare con gli stessi personaggi che lo sciopero ha privato di ogni maschera e provare a tratteggiarne alcune caratteristiche che sono venute a galla, sotto l’occhio scrutatore di un compagno che partecipa a questa lotta. Nulla di assoluto o universale, ma comportamenti emersi dallo scontro diretto, dalle battutine sussurrate a margine o nei cori lanciati per strada, dalle assemblee e dagli sfoghi, dai tavoli di trattativa come dai tavolini dei bar un attimo prima e un attimo dopo, a sciogliere la tensione accumulata. Caratteristiche e comportamenti dei vari personaggi che potrebbero di nuovo ripresentarsi e dai quali si può trarre qualche indicazione utile per il futuro.

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