Con il pretesto di una aggressione a una crocerossina e a un ispettore di polizia, questa mattina gli agenti di guardia al Cie di Torino sono entrati nella sezione femminile – la cosiddetta area verde – per picchiare le donne recluse. Per protestare contro la violenza della polizia, i reclusi delle sezioni maschili hanno rifiutato il pranzo e cominciato uno sciopero della fame.
Proprio questa mattina, al telefono con Radio Blackout, un redattore di //macerie su macerie// commentava il recente cancan mediatico scoppiato attorno ai Cie. Ascolta l’intervista oppure scarica il file mp3.
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Aggiornamenti ore 22.00. Qualche notizia più precisa, intanto, sugli avvenimenti di questa mattina. La presunta responsabile del morso all’agente è una ragazza nigeriana, e il pestaggio è avvenuto sostanzialmente ai danni delle recluse di quella nazionalità, mentre le altre prigioniere sono state lasciate in un angolo. Nonostante questo, la reazione è stata compatta e immediata in tutto il Centro: i detenuti hanno cominciato a bruciare masserizie per protesta, e tutti assieme hanno deciso lo sciopero della fame che è durato tutto il giorno.
Intorno alle 19, poi, la polizia ha fatto nuovamente irruzione – manganelli alla mano – nell’area femminile per prelevare la ragazza e trasferirla in isolamento. Qualche minuto dopo una gruppetto di solidali si è materializzato giusto fuori dalle mura, con fumogeni e petardi, per portare il proprio sostegno ai reclusi in sciopero della fame. Una decina di minuti di urla e botti ai quali i reclusi hanno risposto rumorosamente, ricominciando di nuovo ad appiccare piccoli incendi – spenti subito dalla polizia con gli idranti. Qualcuno ha pure approfittato della confusione per provare a scavalcare le reti, ma purtroppo senza risultato. Ora dentro è tutto tranquillo, ma per domani i reclusi annunciano di voler proseguire lo sciopero.
18 dicembre. Ventiquattr’ore dopo la visita di un ufficiale giudiziario, un disoccupato di 50 anni si impicca sul ballatoio del monolocale in via Borsi in cui abitava, nella parte nord-occidentale di Torino. Non ha lasciato messaggi, ma in tasca gli han trovato l’avviso di sfratto ricevuto il giorno prima.
16 dicembre. Al bar interno del carcere delle Vallette l’agente della Polizia Penitenziaria Giuseppe Capitano uccide con un colpo di pistola l’ispettore Giampaolo Melis, e si suicida. Abbastanza oscuri i motivi della nobile doppietta: trasferimenti, ammonizioni, ferie, corna, stress, mobbing? Non si sa, e di sicuro non è importante. «Capitano poteva fare meglio» sospirano i soliti incontentabili. «Una buona squadra segue sempre il suo Capitano» consigliano i più spiritosi. In fibrillazione gli appassionati di toponomastica: dopo aver appena cambiato indirizzo, il carcere “Lorusso e Cutugno” cambierà anche nome?
Alla fine, la scabbia ha fatto capolino fuori dalle Vallette. Già ignorata dall’Ispettore della sezione, la lettera di protesta dei reclusi che vi abbiamo proposto l’altro giorno è stata ripresa da qualche giornale torinese e pure i secondini hanno approfittato per prendere la parola, con un comunicato sindacale nel quale, ovviamente, non provano neanche a simulare interesse per la sorte della gente che tengono sottochiave e non si pongono domande rispetto alle responsabilità dei propri colleghi che hanno ignorato i primi segni dell’epidemia e le proteste dei reclusi. L’unica preoccupazione dei secondini dell’Osapp sono i rischi professionali della categoria: del resto si debbono salvare la pelle.
Se avete un attimo di tempo, ascoltate la lunga chiacchierata andata in onda questa mattina all’interno della trasmissione “Bello come una prigione che Brucia” di Radio Blackout, che fa il punto delle mobilitazioni dentro e intorno al carcere dell’ultimo mese, partendo dalla lettera delle detenute dei Nuovi giunti fino alla denuncia della scabbia, passando per le battiture, i presidi, e la protesta alla sede della Ecosol. In coda, anche qualche considerazione sugli arresti di lunedì scorso, al ruolo dei compagni in carcere e ai rischi della differenziazione.
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Decine di agenti in borghese che pattugliano l’area attorno alle Vallette e le principali vie di accesso al carcere, fermando e perquisendo macchine su macchine, trecento celerini (25 sono infatti i blindati che qualche manifestante ha contato) schierati nei tre punti dove solitamente si svolgono i presidi anticarcerari per impedire ai solidali di avvicinarsi troppo alle inferriate. E dietro le inferriate un bell’idrante, che non si sa mai. Questo lo schieramento predisposto dalla Questura di Torino in occasione del presidio in solidarietà con Claudio, Chiara, Mattia e Nicco. (more…)
Pubblichiamo una lettera pervenutaci dal carcere delle Vallette e firmata da tutti i detenuti del blocco C, lettera in cui ci avvisano che da mesi, ormai, nel silenzio più totale, la scabbia si sta diffondendo un po’ in tutto il blocco. Da quanto ci scrivono l’ispettore a cui i detenuti hanno provato a consegnare la lettera non ha voluto neanche riceverli. Al momento non sappiamo quale sia la situazione e quali forme di protesta abbiano intrapreso eventualmente i detenuti. In attesa di aggiornarvi invitiamo tutti a far circolare il più possibile lo scritto che segue.
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(Dopo il primo veloce resoconto dell’altra notte, scritto in piedi tra un blocco e l’altro, eccovi un riassunto più ordinato delle vicende legate agli arresti di lunedì mattina.)
Scrivevamo alcune settimane fa di come le inchieste che stanno cercando di ripulire le strade di Porta Palazzo e della Barriera di Milano dalla presenza di anarchici siano fortemente intrecciate con quelle che tentano invece di stroncare il Movimento No Tav.
Un po’ perché i Pm sono gli stessi, il duo Padalino-Rinaudo con l’occasionale collaborazione di Ausiello, ed il loro peso specifico nel tribunale torinese è cresciuto in maniera consistente proprio per il ruolo affidatogli a livello nazionale nella battaglia contro il Movimento No Tav; un po’ perché anche i compagni colpiti sono spesso presenti tanto nelle strade di Torino quanto nei sentieri di Chiomonte.
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Tra una passeggiata e l’altra in questa Torino sottosopra, segnatevi questo appuntamento, importante. Sabato prossimo, 14 dicembre, presidio sotto al carcere delle Vallette, con appuntamento al capolinea del tram 3 alle ore 17,30. E segnatevi anche nomi ed indirizzi per scrivere agli arrestati:
Chiara Zenobi
Niccolò Blasi
Claudio Alberto
Mattia Zanotti
c/o Casa Circondariale “Lorusso e Cutugno”
Via Maria Adelaide Aglietta n. 35
10149 Torino

Poche parole per una giornata infinita. Intanto il risveglio movimentato nella casa occupata di via Lanino, al Balon, e all’Asilo Occupato di via Alessandria: i poliziotti in borghese sfondano i portoni intorno alle cinque, seguiti a ruota dalle camionette che chiudono le strade. Sembra uno sgombero, qualcuno riesce a salire sul tetto, scatta l’allarme tra i compagni. Gli amici e i solidali che nel giro di mezz’ora si radunano nelle vicinanze delle due case. Presto si capisce che le cose non stanno così: i poliziotti non hanno in mano delle ordinanze di sgombero ma dei mandati di cattura, e si scopre che anche in altre case, in città e fuori, sono in corso perquisizioni. In via Lanino gli agenti arrestano Chiara e presto si saprà che hanno arrestato anche Claudio – che aveva il divieto di dimora da Torino e quindi era fuori città – e a Milano Mattia, della redazione di Radiocane. Un altro ordine di cattura è per Niccolò, che è già alle Vallette da più di un mese. Sono accusati tutti e quattro di aver partecipato all’attacco notturno contro il cantiere di Chiomonte in Val di Susa dello scorso 13 maggio. Le accuse sono pesanti, giacché si parla di uso di “ordigni micidiali” e per di più con “finalità di terrorismo”. La polizia ha fretta di terminare l’operazione, un po’ per evitare che intorno alle occupazioni assediate si raduni ancora gente e scoppino casini, un po’ perché i celerini hanno da fare in periferia, dove sono già iniziati i primi blocchi del movimento che nel giro di qualche ora avrebbe paralizzato la città. Non sono ancora le otto, dunque, quando l’assedio si scioglie, i compagni scendono dal tetto e si contano i danni: l’appartamento di Chiara è sotto sequestro, in Questura ci sono gli arrestati, due compagni francesi in stato di fermo per i quali si teme il solito tran-tran dell’accompagnamento in frontiera (verranno invece rilasciati nel tardo pomeriggio) e un po’ di altri trattenuti tutta la mattina per ricevere i verbali di sequestro.
Ma è tutta la città ad avere un risveglio singolare. Il blocco annunciato per oggi dal “movimento dei forconi” funziona davvero e, soprattutto, travalica le aspettative della vigilia. Si poteva prevedere che questo appuntamento – con tutte le sue ambiguità clamorose, gli slogan spesso inaccettabili, i tricolori ecc. – avrebbe saputo far risvegliare prepotentemente quel pezzo di città che fino ad ora si era tenuto ben lontano da ogni forma di mobilitazione? Probabilmente sì, ma ben pochi nel movimento (quello “nostro”) lo hanno fatto e nessuno con uno sforzo organizzativo adeguato e conseguente. La cronaca di oggi la conoscete già sicuramente: non c’è un negozio aperto, le piazze dei mercati sono deserte, blocchi stradali circondano il centro e i cortei che percorrono caotici le vie dove si concentrano “i palazzi” assumono a tratti i connotati della sommossa oppure, se preferiamo le parole d’ordine di moda in questo autunno di movimento, dell’assedio e della sollevazione. Ma “il movimento”, come sapete, c’entra poco e, soprattutto, le parole d’ordine di questa giornata sono talmente generiche che è difficile pensare chi e come possa aprire a breve un “tavolo di trattative” che calmi le acque. Le iniziative stesse, a parte i blocchi annunciati dai promotori iniziali della protesta, sono sparpagliate e caotiche – fuori controllo. Il fatto è che in piazza, semplicemente, c’è di tutto, dal piccolo commerciante imbufalito al precario, dallo studente di buona famiglia all’ultras; soprattutto, però, sono protagonisti giovani e giovanissimi proletari, italiani e seconde generazioni immigrate insieme: sono loro che spingono perché i blocchi siano veri e sono loro la forza che fa sfuggire di mano la situazione agli organizzatori. Man mano, in mezzo ai blocchi, le sassaiole, le cariche, arrivano compagni, a gruppi o sparpagliati: cercano di capire la situazione, superano la diffidenza della vigilia, fraternizzano con i ragazzi più determinati, e si fanno sentire anche loro.
Dopo gli arresti dell’alba, la mattinata e il primo pomeriggio scorrono così – e non ci si fa mancare neanche un picchetto a sorpresa che respinge uno sfratto. A fine pomeriggio, però, un’assemblea indetta subito dopo gli arresti decide di dare una risposta specifica alla retata del mattino. Un corteo molto compatto e determinato – compagni di città, valsusini in gita e un po’ di amici e conoscenti raccattati in strada durante il percorso – percorre per un’oretta Porta Palazzo e Aurora. In trecento ad urlare “libertà per Chiara, Claudio, Nicco e Mattia”. Slogan, scritte sui muri, qualche vetro di banca che cade, blocchi improvvisati con cassonetti e segnali stradali. La polizia, impegnata altrove, non si vede. Sciolto il corteo, si torna ai blocchi che ancora resistono sparsi per la città. Blocchi mobili, imprevedibili, con i Vigili urbani che provano a metterci una pezza e la polizia che fatica a capire dove, quando, e come intervenire. Si assiste a scene illuminanti, con funzionari della Digos costretti a intavolare pazienti trattative con ragazzini ubriachi e ad ascoltare, nella lista infinita delle rivendicazioni, lamentele su multe stradali e affini: semplicemente, è una città sull’orlo dell’esplosione. Ma alla fine, la polizia si incazza davvero e, nella zona del Rondò della Forca, la Celere piomba su di un blocco che si stava sciogliendo. Tutti riescono a scappare, tranne due ragazzi agganciati in corsa da una camionetta, malmenati un po’ ma poi lasciati liberi. L’appuntamento è per domani mattina.