4 luglio. “Tutti i nodi vengono al pettine” sembrano dire negli uffici della Procura torinese. Qualsiasi gesto di insubordinazione, minimamente riottoso, capace di interferire la claustrofobica normalità cittadina, con calma, verrà scritto su delle carte, guarnito da narrazioni poliziesche potrà essere materia d’indagine. Nella mattina di giovedì in giro per l’Italia sono stati affibbiati gli arresti domiciliari a sette militanti e comminate le firme ad altri dieci in merito alle contestazioni avvenute attorno al G7 a Torino. Non si tratta di vendetta e neanche un tentativo di boicottare le prossime attività personali o ricreative in programma delle persone coinvolte, ma del rituale svolgimento dell’apparato repressivo, sempre più pronto a spegnere qualsiasi scintilla e ad abbassare l’asticella delle possibilità di “dissentire” praticamente, scendendo in strada, lottando.

Pubblichiamo di seguito il comunicato di fine sciopero della fame scritto dalle compagne nella sezione di AS2 de L’Aquila. Ne approfittiamo per dire che Silvia è stata presente in aula a Torino martedì 2 luglio, in occasione di un processo minore che la vede imputata, ed era in forze e grintosa. La lotta per la chiusura di quella sezione infame continua…
“Che la vita sia una partita a dadi contro il destino lo scrisse un poeta, che agli anarchici piaccia giocare lo sappiamo. Una prima partita l’abbiamo conclusa. Un mese per tastare il terreno ed annusare i confini della gabbia, un mese di sciopero della fame per far capire che siamo materiale difficile da inscatolare.
Al trentesimo giorno sospendiamo con il proposito di tornare con maggior forza. Un primo bilancio positivo è nella solidarietà viva, spontanea, immediata dentro e fuori le carceri, che ha sollevato chiaro e forte il problema.
Da dentro: un mese in sciopero anche Marco e Alfredo in AS2 ad Alessandria e Ferrara, a cui si è aggiunta Natascia al suo arrivo a Rebibbia e con cui abbiamo proseguito una volta arrivata qui, poi altri compagni, Stecco, Ghespe, Giovanni, Madda, Paska e Leo.
Da vicino: abbiamo sentito le battiture dal 41bis femminile e maschile aquilani, musica che rompe il silenzio di questa fortezza montana e a cui abbiamo risposto e continueremo a rispondere finché dureranno, solidali con quante e quanti subiscono da anni sulla propria pelle questo regime infame.
Da fuori: azioni dirette, incursioni informative, azioni di disturbo in giro per l’Italia e nel mondo hanno fatto da megafono a qualcosa che non è un gioco: differenziazione carceraria, circuiti punitivi, affinamento delle strategie repressive, in chiave anti-anarchica e non solo. Non è nulla che non conoscessimo e manteniamo la consapevolezza che dentro come fuori le scintille pronte a propagarsi sono ovunque, questo ci dà forza e determinazione.
È solo un inizio che speriamo sia stato un’iniezione di fiducia nelle potenzialità e nella forza che portiamo, dentro e fuori, con noi.”
L’Aquila, 28 Giugno 2019
Silvia, Natascia, Anna
3 luglio. Continua la riqualificazione in quel di Aurora, coi suoi microinterventi ma anche decisamente macro. È il caso dell’ex fabbrica Pastore, all’angolo tra via Perugia e via Padova, in via di demolizione per far posto a una futura area residenziale, spazi dedicati al settore terziario e un supermercato. Dietro a tutto si riscontra il nome della società Nova Coop.
3 luglio. L’emergenza caldo arriva alle Molinette ma sopratutto arriva l’emergenza posti letto. Il Pronto Soccorso dell’ospedale si è riempito di pazienti, sopratutto anziani colpiti dalla canicola di qeusti giorni, che sono rimasti per ore infiniti in attesa di essere ricoverati. Posti letto chiusi, come vuole la politica sanitaria degli ultimi anni che procede imperterrita, e pochi infermieri in corsia.
2 luglio. Parte il “progetto di sicurezza rafforzata” voluto dal questore De Matteis, che prevede la possibilità per i poliziotti d’ufficio di allungare il proprio turno di lavoro e svolgere pattugliamenti a piedi in particolari zone sensibili della città, in primis il parco del Valentino.

Di nuovo polizia a chiudere le vie. Ancora polizia a mettere sotto assedio il quartiere.
Giunta al portone di via Borgo Dora 39 alle 7 di mattina ha sfondato il portone, bussato alle porte degli appartamenti per metà sotto sfratto, altri occupati, molti già abbandonati in seguito alle minacce dell’ufficiale giudiziario, ha poi forzato gli inquilini a preparare le valigie.
Giusto il giorno prima davanti al portone si erano radunati abitanti della casa sotto sfratto, amici, solidali e vicini di casa ad aspettare l’ufficiale giudiziario, che dopo ore di attesa era giunto stringendo in mano una manciata di rinvii per il 13 di agosto, di fatto carta straccia. I media parlano di sgombero dell’occupazione fatta dagli anarchici, dove vivono molti immigrati. Tralasciando quanto poco le descrizioni della controparte rispecchino i percorsi di lotta, o piccoli pezzi di essa, c’è da domandarsi se in questo modo debbano giustificare l’atto intimidatorio che hanno fatto contro i più poveri del quartiere, piuttosto che la forzatura stessa della normale procedura di sfratto perché – va detto chiaramente – il procedimento formale dovrebbe garantire agli sfrattandi la permanenza nell’alloggio fino alla data ufficiale dell’esecuzione qualora ci sia. Invece qui questore, sottoposti e lacchè hanno parlato tout court dello sgombero di un’occupazione. La polizia, trascendendo i codici, è continuamente e costitutivamente creatrice di diritto e di leggi, e questa ne è l’ennesima prova in tempi in cui il potere dell’organo pare essere cresciuto verso una valenza sempre più sfacciatamente politica. Di questa operazione infatti parla De Matteis – presente sul luogo -, non attenendosi a una valutazione tecnica, ma tracciando un discorso di significato sociale e morale. Appare palese infatti che sia stato dispiegato quell’apparato anti-sgombero già visto con l’Asilo occupato di via Alessandria 12, seppur in miniatura.
La palazzina non è stata solo svuotata con l’utilizzo di un numero esorbitante di forze dell’ordine, ma la celere e i poliziotti hanno continuato a sorvegliare la zona, modificando la vita di quell’isolato. Durante la giornata dello sgombero chi doveva attraversare la zona rossa era obbligato a mostrare i documenti. Il giorno seguente, il balon ha subìto delle interruzioni: per alcune centinaia di metri non c’erano le usuali bancarelle di vestiti vintage e borse di pelle, libri usati e ninnoli vari ma le divise a larvare sull’uscio del 39.
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Oggi, dopo 31 giorni, Anna e Silvia hanno ufficialmente terminato lo sciopero della fame. Insieme a loro ha ripreso a mangiare anche Natascia e probabilmente anche Marco lo farà appena gli arriverà la comunicazione.
Silvia è stata trasferita al carcere delle Vallette per poter presenziare martedì 2 luglio a un processo in merito a uno sfratto, sarà quindi presente in aula. Vogliamo cogliere l’occasione per essere anche noi presenti e salutarla direttamente, farle sentire tutto il nostro affetto e la nostra forza, la stessa che ci ha trasmesso lei nella sua sfida al sistema carcerario.
Martedì sarà presente anche Leo, compagno anarchico che sta scontando dei definitivi e che ha partecipato allo sciopero contro l’AS2 de L’Aquila. Non sappiamo se verrà tradotto da Lucca oppure se lo costringeranno a presenziare in videoconferenza, in entrambi i casi l’invito anche qui è di mandargli un saluto dall’aula dove si terrà l’udienza.
APPUNTAMENTO ore 8:30 davanti al Tribunale “Bruno Caccia”.
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Rinviato, al 13 agosto. Si parla dello sfratto di uno degli appartamenti di via Borgo Dora 39, un picchetto di resistenza ha impedito l’esecuzione di una scena più volte vista davanti a quel portone.
L’edificio già compare nelle mappe cittadine del ‘700 quando il borgo degli stracci era esterno alla cinta muraria della città dei novelli re, dopo che Torino era stata rimodernata un secolo prima dai Savoia con una mastodontica opera che innalzava abbazie, statue, palazzi sontuosi e pinnaccoli barocchi per dimostrare alle altre casate reali europee la bellezza di un ducato che si apprestava a diventare regno. Le innovazioni piemontesi e della la sua capitale vennero rappresentate in un vero e proprio portfolio ante-litteram, il Theatrum Statuum Sabaudiae, in cui Torino compare come una perfetta opera di linee geometriche e strade raddrizzate, fiore all’occhiello cinto in una fortificazione militare all’avanguardia, lontana dalle tracce di una città di irrilevanza secolare, dalle vestigia di un villereccio medioevo. Non per nulla con le nuove linee dritte a strizzare la forma urbana molti furono i disgraziati a rimpolpare gli agglomerati di case fuori dalle mura, come avvenne a Borgo Dora.
Una storia che va ripetendosi, con le sue accelerazioni e con il suo eterno ritorno.
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NOTE A PARTIRE DALL’OPERAZIONE SCINTILLA
Dopo mesi concitati, nel tentativo di dare una degna risposta allo sgombero dell’Asilo e all’arresto di sei compagni e compagne, nel tentativo di mantenere viva la voglia di lottare in questa città, ci prendiamo ora il tempo di fare alcuni ragionamenti su questo teorema inquisitorio partorito dalla Questura, fatto proprio dalla Procura e avvallato da una GIP. Un teorema che per il momento non ha retto il primo impatto con il Tribunale del Riesame, dopo tre mesi sono infatti usciti dal carcere cinque compagni, ma che costringe ancora Silvia tra quelle mura e in condizioni di detenzione particolarmente afflittive.
A indagini ancora aperte vale la pena spendere sopra queste carte qualche parola, tra le altre cose perché contiene alcune indicazioni che sono il segno dei tempi su come costringere certi anarchici al silenzio, seppur non del tutto nuove. Già quindici anni fa infatti si poteva leggere in un libretto, dal titolo ‘L’anarchismo al bando’, di come le strategie repressive mirassero a “togliere agli anarchici ogni possibilità di agire in gruppi di più persone articolando anche alla luce del sole il loro intervento, proprio in quanto finalizzato all’insurrezione generalizzata”.
Questo lavoro di analisi uscirà a puntate, una alla settimana, che si concentreranno su alcune specificità dell’operazione Scintilla e della lotta contro i Centri di detenzione per immigrati. A scriverle sono alcuni compagni, alcuni imputati e indagati in quest’inchiesta, altri no, che nel corso degli anni si sono battuti contro la detenzione amministrativa.
Gli strumenti di lotta al vaglio
Si dirà forse una sacra banalità al cospetto dell’occhio avvezzo alle dinamiche repressive: le carte tribunalizie che reggono l’operazione Scintilla si basano su tesi che dicono tanto sulla visione del mondo degli inquirenti, nulla di decifrabile invece delle tensioni individuali, dei ragionameni discussi e degli strumenti utilizzati da tanti compagni e compagne che negli anni hanno ruotato intorno all’Asilo occupato.
Si correrà allora qui il rischio dell’ovvietà, valutandolo poco in confronto ad alcune considerazioni e pratiche che nelle lotte si sono impreziosite e che, arcane a qualunque sbirro di divisa o di toga, possano essere carpite solo da coloro i quali desiderano vedere distrutti gli assetti sociali che stanno alla base dell’oppressione.
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Silvia e Anna sono arrivate al ventiquattresimo giorno di sciopero della fame. Insieme a loro continuano a non mangiare anche Alfredo e Marco, nonostante il primo abbia perso 15 chili e il secondo debba fare delle flebo per reintegrare gli zuccheri.
Dopo la salita sulla gru e l’occupazione del Municipio de L’Aquila, la notizia dello sciopero delle compagne ha riverberato in tutta la zona abruzzese e i giornalisti si sono messi a scrivere articoli sulla situazione nel carcere di Costarelle, a pubblicare report sugli istituti della regione, mentre qualche politico si è risvegliato dal suo torpore all’improvviso e qualcun altro si è prodigato alla ricerca di un garante dei detenuti perso per strada, che a quanto pare molto semplicemente … non c’è. Certo a poco serve affidarsi alle parole e alle attenzioni di questi figuri, che appena devono rendere conto sospinti da eventi che non possono più essere taciuti, si ripuliscono faccia e distintivo. Dentro le mura del carcere la direttrice si è recata due volte nella sezione delle scioperanti, dicendo di far a sua volta pressione affinché le cose mutino, che quella sezione vecchia e fatiscente anche a parer suo dovrebbe essere dismessa. Non è leggenda però che delle parole di uno sbirro, o di una mezza sbirra – in questo caso – non bisogna mai fidarsi. Non c’è da tranquillizzarsi infatti, le decisioni prese dal Dap sembrano andare in direzione contraria.
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