Giusto venerdì scorso il ministero degli Interni comunicava alla stampa di avere completato, con un ultimo carico di cinquanta persone, il «piano straordinario di rimpatri definito da Maroni a Tunisi» lo scorso 12 settembre. Come sapete questo accordo italo-tunisino ha permesso di rimpatriare un numero consistente (3.850, secondo il Ministero) di ragazzi e ragazze sbarcati a Lampedusa negli ultimi mesi e poi finiti rinchiusi nei Cie o nelle navi-prigione. Per rimpatriare così tanta gente, ovviamente, Maroni ha dovuto concordare con il ministro degli Esteri tunisino come dribblare le procedure abituali: identificati sommariamente dalla polizia italiana al momento dello sbarco e poi altrettanto sommariamente dentro al Centro, i senza-documenti da rimpatriare in massa vengono caricati, infascettati e circondati di agenti, sugli aerei della Mistral Air che il Ministero affitta a 6.000 euro all’ora; durante un breve scalo a Palermo il console tunisino provvede in tutta fretta a mettere i timbri che mancano sulle loro carte, e poi via verso Tunisi.
Non saremo certo noi a sottolineare dove vadano a finire in questa maniera i “diritti”, i trattati della Nazioni Unite, le “garanzie individuali” e via discorrendo. Quello che volevamo segnalarvi, invece, è che il meccanismo sperimentato in queste settimane è talmente comodo che il Ministero sembra proprio non volerlo abbandonare, anche se formalmente il “piano straordinario di rimpatri” è terminato con il volo di venerdì scorso che, tra gli altri, ha riportato in Tunisia un bel gruppo di reclusi di corso Brunelleschi (abbiamo saputo successivamente che uno di loro ha provato a resistere alla deportazione ed è stato riempito di botte dagli agenti, mentre un altro è stato scaricato temporaneamente nel Cie di Trapani-Milo, per essere poi rimpatriato il giorno successivo). Infatti, nella notte tra domenica e lunedì un’altra decina di reclusi sono stati prelevati nello stesso modo da corso Brunelleschi e altrettanti da via Corelli a Milano, mentre lunedì mattina in 13 sono stati portati via da Trapani-Milo. Checché ne dica il Ministero, insomma, i rimpatri di massa sembra proprio che stiano continuando.
Tra le altre cose, i poliziotti che hanno portato via i senza-documenti da via Corelli ne hanno approfittato per una bella perquisizione alla ricerca di telefoni cellulari, che là sono proibiti. In effetti ne hanno trovato uno, e l’hanno sequestrato. In corso Brunelleschi, invece, dopo qualche giorno di calma apparente sembra di nuovo muoversi qualcosa, tanto che i reclusi dell’area viola sono entrati già da due giorni in sciopero della fame.
Aggiornamento 13 ottobre. Proprio come dicevamo: il Ministero, tanto per cambiare, mente. Ancora questa notte 15 tunisini sono stati portati via dal Cie, per il solito rimpatrio di massa.
Tornano a farsi sentire i reclusi del Cie di Bari-Palese. Ad un mese di distanza dallo sciopero della fame col quale denunciavano la propria condizione la situazione non è cambiata di molto, tra sovraffollamento e pestaggi più o meno quotidiani. Dicono di aver raggiunto il limite della sopportazione e minacciano atti di autolesionismo di massa. A far precipitare la situazione, la storia paradossale di un recluso che ha saputo proprio questa mattina di aver perso la madre e che dunque vorrebbe tornarsene in Tunisia dalla sua famiglia: nonostante le sue richieste, però, la Questura non lo lascia partire volontariamente e subito trattenendolo a forza per organizzare un rimpatrio coatto che avverrà chissà quando. Staremo a vedere nelle prossime ore se la tensione accumulata a Bari esploderà nel senso della lotta oppure in quello della disperazione, e vi faremo sapere.
Aggiornamento 9 ottobre. E in effetti, ieri sera, la protesta è scoppiata e si è subito trasferita sui tetti della struttura, dove i reclusi sono saliti in massa per qualche ora. In nottata sono ridiscesi, ma promettono di continuare a lottare. L’appello dei senza-documenti prigionieri ha trovato una eco immediata in città: un gruppo di solidali ha dato vita ad un presidio già ieri pomeriggio in Piazza Umberto, piazza frequentatissima da immigrati con o senza documenti, e ha indetto un nuovo appuntamento di fronte al Cie per il prossimo 22 di ottobre.
Aggiornamento 10 ottobre. Dentro il Cie barese, quest’oggi, la situazione è stata di attesa. Già, perché i questurini ieri avevano promesso ai reclusi un incontro con un qualche dirigente: incontro che, aspetta aspetta, ovviamente non c’è stato.
7 ottobre. Sciopero degli studenti il 7 ottobre a Torino, manifestazione tra le vie del centro
„Durante il corteo studentesco che questa mattina ha manifestato per le vie del centro di Torino sono piovute uova sulla sede torinese del Ministero dell’istruzione, università e ricerca, imbrattando le pareti dell’edificio che lo ospita. Inoltre, pare che un bancomat dell’UniCredit sia andato in frantumi. Non c’è bisogno di studiare i libri di storia per trovare le connivenze dell’istituto di credito con la recentissima guerra in Libia. I ragazzi, a migliaia, hanno urlato contro i tagli e le banche, portando con sè anche le bandiere No Tav.
Deve essere faticoso, di questi tempi, fare l’Ispettore di polizia dentro uno dei tanti Cie italiani. Certo, ci sono dei periodi in cui gli ingranaggi della macchina delle espulsioni girano ben oliati e veloci: ingressi e deportazioni a ciclo continuo, poche ed episodiche liberazioni, al massimo qualche gesto di autolesionismo che macchia di sangue il selciato dei cortili e che ti obbliga a chiamar l’ambulanza… ma è sangue che si lava via velocemente, e al quale i questurini sono tanto abituati da restare indifferenti. Un lavoro da ragionieri più che da poliziotti, che consiste soprattutto nel far coincidere le visite consolari con gli orari degli aerei e delle navi delle deportazioni e nel compilare statistiche ad uso del ministero degli Interni e dei giornali.
Ora però, e da molti mesi oramai, governare la vita del Centro non è mai tanto semplice. La resistenza dei reclusi è continua e ben organizzata, così come i tentativi di fuga e le sommosse; i reclusi non sembrano farsi intimidire più di tanto dai manganelli che i militari di guardia tengono sempre ben in mostra alla cintola. Allora i ragionieri in divisa devono ritornare ad esser sbirri, e sbirri dalla testa fina, che lavorano di manganello e di minacce ma pure d’astuzia al fine di prevenire ogni intoppo.
E così in questi giorni, intanto che facevan saldare lastre di metallo a rinforzare le reti e i cancelli più volte violati nell’ultimo mese, i funzionari della Questura hanno studiato accorgimenti nuovi per riuscire a costringere reclusi tanto riottosi a quei rimpatri di massa previsti dai nuovi accordi con la Tunisia. Intanto, ed è un metodo già in auge da tempo, quelli considerati più caparbi vengono messi in isolamento, in modo da restar divisi dai propri compagni ed essere più deboli; poi, i funzionari hanno tessuto una fitta rete di menzogne, giurate e spergiurate dagli agenti di guardia: «state tranquilli, state per uscire, fra poco sarete liberi…»; ancora, ostacolare i contatti con l’esterno quando è il momento della partenza e ci potrebbero essere resistenze: da qualche giorno allora, le batterie dei telefonini vengono ricaricate sempre e solo di quel tanto che basta perché questi restino accesi durante il giorno e vengano riconsegnati ogni sera ai militari per essere nuovamente ricaricati nella notte (cosa che ovviamente, i reclusi non possono far da sé). E poi gli orari: la gente da deportare non viene più svegliata all’alba e fatta preparare con relativa calma, ma viene invece tirata fuori dalle gabbie all’improvviso, in piena notte e proprio quando nessuno ha il telefono, e distribuendo pure qualche bastanata affinché tutti si lascino fascettare le mani e caricare nei pullman verso l’aeroporto. Per il resto la modalità è la solita: voli speciali, probabilmente i soliti delle Poste Italiane, due poliziotti ogni prigioniero, uno scalo a Palermo per espletare le formalità consolari e poi via, tutti a Tunisi.
Con questo sistema, dettaglio più dettaglio meno, son stati portati via una vagonata di prigionieri tunisini l’altroieri notte da via Corelli a Milano e ventisei da corso Brunelleschi la notte successiva.
E poi Ismael. La polizia si è ingegnata ed è riuscita a portar via pure lui senza intoppi: portato via dalla cella in piena notte, senza che potesse chiamar nessuno, cellulare sequestrato fino all’imbarco, doppia scorta. Vi daremo altri dettagli del suo viaggio nei prossimi giorni, se ce ne saranno di più. I suoi amici, che sono stati un po’ il cuore delle mobilitazioni contro al Cie delle ultime settimane, intanto hanno già lasciato scritto che «se pensano di aver risolto il problema si sbagliano di grosso!!! Noi continueremo a lottare senza tregua e paura, per tutti gli Ysmael chiusi lì dentro…» Un bel messaggio, che dà l’idea di come si possa radicare socialmente la lotta contro i Centri e di quanto poco abbiano seminato paura le cariche dell’altro sabato.
Un altro fatto, poi, sempre nel senso dell’allargamento della lotta e del coraggio. Al termine della manifestazione che si terrà questa mattina a Torino, un gruppo di studenti medi libertari ha proposto di spostarsi davanti al Centro e di dar vita ad un presidio. L’appuntamento è per le 13,30 in corso Brunelleschi all’angolo con via Monginevro.
Aggiornamento ore 20.00. Bello, rumoroso e partecipato il presidio di oggi al Cie di Torino. Un centinaio di persone sparse tra le siepi di corso Brunelleschi a urlare, fischiare e battere pali. E di queste cento, almeno una ottantina erano… minorenni, provenienti dal corteo degli studenti medi che aveva appena finito di sfilare nelle strade del centro. Molti di loro sicuramente non avevano mai visto prima di oggi le mura di un Cie, con le reti e le gabbie che si intravedono dietro: e già solo per questo chi ha avuto l’idea di far circolare la proposta in corteo ha speso bene il proprio tempo. Vedremo nei prossimi mesi se questa presenza nuova rimarrà solo una questione di numeri e di età dei militanti interessati all’argomento oppure se saprà portare con sé un allargamento sociale della complicità con le lotte dei senza-documenti (siamo sicuri, tanto per dire, che ci sono sempre prigionieri che hanno un pezzo di famiglia radicato in città, con tanto di ragazzi che frequentano le scuole). Ma questo è un altro discorso.
Modena, 4 ottobre
«Tentano la fuga e aggrediscono i carabinieri al Cie. In sei in manette. Alta tensione
E’ successo mentre i militari stavano aiutando i gestori civili della Misericordia nell’accompagnamento di un ospite nell’infermeria della struttura
Arresto, nella notte, per cinque cittadini tunisini ospitati nel Centro di identificazione e espulsione di via Lamarmora a Modena. I Carabinieri sono ricorsi all’arresto in seguito all’aggressione subita da alcuni militari mentre stavano aiutando i gestori civili della Misericordia nell’accompagnamento di un ospite nell’infermeria della struttura.
Nel dettaglio, si legge in una nota, gli uomini dell’Arma, sono stati aggrediti da otto stranieri, uno armato di un tubo in ferro, i quali, approfittando dell’apertura della porta per consentire il soccorso ad un ospite che accusava un malore, hanno tentato la fuga.
La reazione dei militari in servizio ha evitato una fuga di massa. Cinque ospiti sono subito stati bloccati dopo colluttazione e successivamente arrestati per resistenza e violenza a pubblico ufficiale. I cinque sono stati condotti presso il carcere di Sant’Anna. Indagini sono in corso per cercare di identificare anche gli altri aggressori.»
Il Resto del Carlino
3 ottobre. Nella notte mani ignote rovesciano della vernice rossa sulla saracinesca della sede della Lega Nord di Via Cenischia a Torino. «Maroni assassino», «No cie, no Lega», «Sbirri infami», «ACAB», «Bastardi», queste le scritte lasciate tutt’intorno alla sede. La segretaria cittadina del partito, Elena Maccanti, commenta così l’accaduto: «Questo è il prezzo da pagare per chi, come la Lega Nord, ogni giorno lavora nei quartieri della città, al fianco della gente». Forse voleva dire “a contatto con la gente”, come i manganelli delle forze dell’ordine del Ministro leghista dell’Interno Maroni.

Dopo la carica di ieri pomeriggio fuori dalle mura del Cie di Torino, questa sera gli idrofobi-in-divisa della Questura hanno pensato bene di passare all’attacco pure dentro alle mura. Non è ancora chiaro se ci sia stato un tentativo di fuga di vero e proprio da parte dei reclusi, o una protesta dopo un diverbio, oppure ancora una semplice battitura: su questo vi sapremo dire meglio domani. Sta di fatto che la reazione è stata pesante: lacrimogeni e idranti contro i prigionieri. In particolar modo, un lacrimogeno è stato tirato giusto sulla faccia di un recluso ferendolo seriamente. E per come è fatto il Cie, con la gente rinchiusa in grosse gabbie completamente circondate da agenti, di sicuro nessuno può sostenere che si sia trattato di un “problema di mira” dell’agente preposto ai lanci. Ora il ferito è al Martini e ancora non abbiamo notizie più precise di lui, mentre dentro le gabbie è tornata la solita “calma”. Da parte sua, la Questura ha subito messo le mani avanti, emettendo in tempi record un bel comunicato, che vi riportiamo qui sotto. Fra ieri ed oggi ci vien da chiederci se in questo appesantimento d’aria non ci sia lo zampino personale di un certo Ministro, che per rimanere in auge di questi tempi incerti ha sempre bisogno di vantare ai quattro venti la propria cattiveria: vedremo se pure su questo punto sapremo capirci qualcosa nei prossimi giorni. Sta di fatto, in ogni caso, che terminata un’estate di rivolte ed evasioni il livello dello scontro per l’autunno sembra essere proprio questo, e che bisogna prenderne atto.
Aggiornamento 3 ottobre. Nella giornata di oggi, il ragazzo colpito dal lacrimogeno è tornato dentro alle gabbie del Centro, ricucito con cinque punti di sutura alla faccia. Da quello che raccontano i prigionieri, e contrariamente a quanto afferma la Questura, ad essere stata scossa ieri sera è stata la grata di una sola area del Centro; la repressione, però, è scattata contro tutti, escluse le donne e i reclusi in isolamento.
(more…)
Avevano proprio voglia di menare le mani, i celerini e i funzionari di polizia schierati questo pomeriggio sotto al muro del Cie di corso Brunelleschi. Si vedeva già dall’inizio del presidio che tirava un’aria strana. Carreggiata sbarrata, tante camionette, poliziotti in bella fila con casco sulla testa, manganello in mano e attrezzo lancia-lacrimogeni pronto per l’uso, funzionari con fascia tricolore a tracolla – fascia che, come sapranno i più pignoli tra i nostri lettori, sarebbe d’obbligo indossare perché gli ordini di “carica” siano ben fatti da un punto di vista legale. Ovviamente non sappiamo il perché esatto di tanta esibizione muscolare: magari in Questura temevano che il presidio scaldasse gli animi dentro, e che gli animi surriscaldati dei prigionieri facessero scaldare a loro volta quelli dei presidianti; oppure la convinzione che i presidianti avessero qualche sorpresa da tirar fuori dal cappello; oppure che fosse necessario, dopo questo ultimo mese bollente intorno al Cie, mostrare i denti per raffreddare gli animi un po’ di tutti. Oppure semplicemente che servisse far sfogare le truppe, frustrate per i troppi rospi ingoiati tutta l’estate in Val di Susa.
Sta di fatto che dopo un paio d’ore di presidio rumoroso e partecipato – una settantina di persone, una più una meno – cariche ed inseguimenti ci sono stati per davvero. E in mancanza di una scusa più plausibile i funzionari-in-fascia-tricolore si sono accontentati di un cane finito in mezzo ai poliziotti e di due compagni andati a riprenderselo. Niente arresti, ma un po’ di danni a furgone ed amplificazioni e il solito codazzo di feriti, anche tra alcuni adolescenti presenti all’iniziativa che gli idrofobi-in-divisa non si sono vergognati a prendere di mira.
Ascoltatevi alcuni racconti delle cariche di questo pomeriggio. Il primo trasmesso da Radio Blackout:
[audio:http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/cariche-in-corso-brunelleschi.mp3]
E il secondo registrato dal sito Infoaut:
[audio:http://dl.dropbox.com/u/15242471/interviste_radio/intervista_claudio_cie.mp3]
(Oltre a quelle già citate, un’ultima ipotesi potrebbe giustificare le maniere poco urbane della Questura. Il presidio di oggi, per come era composto, disegnava in nuce il futuro possibile del movimento contro le espulsioni. Se i gruppi più o meno militanti erano i soliti, in mezzo ai presidianti c’erano pure i compagni di Ismael, e poi alcuni ragazzi che il Cie l’hanno vissuto in prima persona o attraverso i racconti di amici e parenti. Un allargamento in senso sociale, più che quantitativo e militante, che può dare dei bei frutti e che dovrebbe ben preoccupare i questurini, se solo questi avessero l’intelligenza di comprenderne la portata in prospettiva. Ma forse sarebbe pretendere troppo dalle loro intelligenze, ed in fondo è meglio così.)
1 ottobre. Madre, padre e figlia vivono nello stesso alloggio, in affitto. Poi la madre va in pensione, la figlia ha un infortunio in seguito al quale deve smettere di lavorare e mancano i soldi per pagare l’affitto. E’ una storia tra le tante – tremila l’anno, per l’esattezza – di sfratto per morosità. Così la famiglia si trasferisce in… auto. La camera da letto della madre anziana è il sedile posteriore, mentre papà Vittorio (invalido al 100%) passa le ore sdraiato sul sedile di guida: «Non ha più le forze per stare in piedi, né seduto», dice la figlia ai giornalisti de “La Stampa”. Meno di un mese dopo, il padre muore.
Cagliari, 1 ottobre 2011
«Fallito attentato incendiario contro due auto della Croce Rossa a Cagliari.
Sul muro una scritta contro i Centri per immigrati, nei quali l’associazione svolge servizio da tempo. Chiara la matrice politica del raid.
Il piano prevedeva che dalle scatole di fiammiferi piazzate su una delle gomme anteriori delle due auto, il fuoco si propagasse alle molotov in plastica sistemate accanto alla ruota. Qualcosa però è andato storto: le fiamme si sono spente subito e il doppio attentato è fallito. Bersagli degli incendiari una Fiat Punto e una Croma della Croce Rossa Italiana, che erano posteggiate davanti alla sede del Comitato regionale sardo e del Corpo militare in vico Barone Rossi, a due passi dal comando provinciale dei carabinieri. Un gesto intimidatorio su cui si allunga l’ombra dell’antagonismo di estrema sinistra. Su un muro della piazza De Gasperi sono comparse infatti delle scritte contro i Centri di identificazione per gli immigrati, nei quali la Croce Rossa opera da anni, che suonano come una rivendicazione politica. «I Cie bruciano e anche i loro complici. Crs = carnefici».»
L’Unione Sarda