Vigili urbani

Un ragazzo giovane giovane, avrà sedici anni, al volante di un’auto in corsa. Dietro, i vigili urbani sparati all’inseguimento. Arrivano nella piazza e il ragazzo accosta giusto dietro alla Tettoia dell’Orologio: ha l’idea di seminarli, ma a piedi, e così fa per aprire lo sportello. I vigili, come in un film americano, gli vanno contro con l’auto di servizio, sul fianco, mirando alla portiera che lui sta aprendo e lo schiacciano tra portiera e macchina, incastrato. L’auto del ragazzo, forse rubata, ha la portiera mezzo divelta, quella dei vigili la fiancata tutta incurvata, e il ragazzo frastornato le gambe intrappolate tra le lamiere. I vigili, non contenti, lo ammanettano e, dopo che lo hanno ammanettato, cominciano a menarlo. Ma siamo a Porta Palazzo, e c’è sempre gente in strada. Una folla di tutti i colori si accalca, in tanti sono furenti a vedere i vigili trattare così un ragazzo, qualcuno lo riconosce e va ad avvertire sua madre, che abita in zona. Si mormora forte. Visto che la situazione rischia di farsi tesa, i vigili sono costretti a smetterla: dicono, arroganti, che è stato “solo un incidente” e che non volevano fargli male. Intanto arriva l’ambulanza e i rinforzi per contenere la folla.

Liberato dalle lamiere, il ragazzo viene portato via sull’ambulanza, ammanettato. E pure i vigili vanno via da quell’angolo di piazza. Chi rimane in strada a parlarsi ne ha viste altre di scene così. «Se ne vedono tutti i giorni, e non è giusto». La rabbia del momento sfuma, ma sedimenta una frattura, più nascosta e più grossa.

Ascoltate la testimonianza di un passante ai microfoni di Radio Blackout…

[audio:http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/i-vigili-anno-rotto-i-coglioni.mp3]

…o leggete un’altra testimonianza apparsa in questi giorni in rete.

Brindisi, Torino e… Vincennes

Parigi, 21 settembre

«Vincennes : otto stranieri evadono dal Centro di detenzione

«Otto reclusi del Centro di detenzione amministrativa di Vincennes (Val-de-Marne) sono riusciti ad evadere, lunedì sera verso le 22 e 30. Uno di loro è stato velocemente ripreso, mentre gli altri sette non sono stati ancora ritrovati. Questi stranieri, fuoriusciti algerini o libici in situazione irregolare, hanno sfondato un vetro, che avrebbe dovuto essere infrangibile, aiutandosi con una porta che avevano sradicato dalle toilettes. E quindi si sono infilati in questa stratta apertura per gudagnare l’aria libera. Un’inchiesta amministrativa è stata aperta per determinare con precisione le circostanze di questa evasione.»

Le Parisien

Notte di rivolta

Torino, 23 settembre
«Rivolta al Cie, 9 agenti feriti
Scontri con la polizia: dieci clandestini arrestati ma di altri 12 si perdono le tracce

Volano le palline da tennis oltre le reti del Cie di Torino. Le apri, e dentro ci sono piccoli fogli di carta. Con le disposizioni scritte in arabo. E’ il segnale della rivolta, che vorrebbe essere sincrona con gli altri centri e anche per protesta dopo il caso Lampedusa. I telefonini servono per comunicare sugli aspetti più politici.
Ma quando oltrepassi il muro e corri in una città sconosciuta bisogna sapere dove andare, dove cercare rifugio. C’è un’organizzazione in grado di accogliere e nascondere gli evasi. I messaggi contenuti nelle palline servono a quello, per la logistica della fuga. Le lanciano un esiguo gruppo di anarco-insurrezionalisti torinesi che – in accordo con altre realtà radicate soprattutto nel Nord Est, a Bologna e nel Lazio – stanno portando avanti da mesi la campagna contro i centri di detenzione.
E l’altra notte, nel Cie di Torino, una cinquantina di ragazzi tunisini tenta un’evasione di massa. Ci riescono in 22, 10 vengono arrestati per danneggiamento e resistenza, 9 i feriti nel presidio interforze. Tre poliziotti, quattro carabinieri, un soldato e un milite della Croce Rossa. Danni gravi. Dall’inizio dell’anno, questa nuova struttura costata undici milioni di euro, considerata un modello da seguire, non solo per le comodità (aria condizionate, tv, mensa, infermerie e altro) ma anche per l’aspetto più simile a un residence che a una prigione, ha subito danni per oltre centomila euro. Però, proprio per queste caratteristiche speciali, si riesce a fuggire con più facilità.
Il capo dell’Ufficio stranieri di Torino, Rosanna Lavezzaro spiega che “i lacrimogeni non sono stati usati, solo gli idranti”. Venti giorni fa erano fuggiti dal Cie altri 12 tunisini, 2 gli arresti. Qualcuno era riuscito a consegnare loro, come nei film di Totò, dei seghetti per tagliare le sbarre. Sospetti? Tutti concentrati sugli attivisti che organizzano le manifestazioni di sostegno sotto le reti del Cie, in grado accogliere 180 persone. Slogan, urla, scritte sui muri. A proposito: tutte le sezioni sono ormai esaurite, non c’è spazio per nuovi arrivi, almeno in teoria.
Mauro Maurino, manager di Connecting People, che si occupa della gestione di alcuni centri e di altre situazione di emergenza, dice che “tra fine settembre e ottobre potrebbe arrivare una nuova grande ondata di immigrazione clandestina dalle coste tunisine”. Perchè? “Semplice. Laggiù ci sono le elezioni, ci sono trattati da rinnovare, vicini alla scadenza. Tanti si stanno preparando a partire. E le nostre strutture sono già tutte in overbooking. Lasciando perdere, per carità di patria, le vicende di Lampedusa”.

La Stampa Torino

Torino, 23 settembre

«“La nostra vita rovinata dal Cie”
Pozzo Strada, un quartiere in rivolta contro il centro di corso Brunelleschi: «L’altra notte è stata una guerra». I residenti convivono con degrado e paura, scende anche il prezzo delle case. «E la sera non si può più uscire»

«E voi non vi vergognate?». L’hanno scritto qualche settimana fa sui muri di corso Brunelleschi. Vernice nera sui palazzi che sovrastano il Cie. Non vi vergognate ad accettare quel che succede là dentro senza fiatare? No, non si vergognano. Però hanno paura. Ma non degli immigrati rinchiusi dentro il Centro di identificazione. Hanno paura di quel che succede intorno. «L’altra notte qui sotto c’era una guerra. Ho visto tutto dalla finestra. Sono arrivate una decina di persone. Gridavano “libertà, libertà”. Poi ho sentito dei botti. Non so che cosa fosse. Sono rientrata in casa. Io sono anziana, vivo sola, tremavo come una foglia».
Quando parlano del Cie i residenti non hanno nome. Troppa paura. Chi si è esposto ha subito minacce. «Mi hanno suonato al citofono: bastardo, la prossima volta saliamo di sopra», racconta un signore. Corso Brunelleschi è un mondo a due facce. «Di giorno è tutto tranquillo. Arrivano quando fa buio, spesso tardi». Chi? «Gli anarchici. Si piazzano davanti al muraglione e iniziano a lanciare di tutto all’interno. Urlano, battono contro i pali. Fino a qualche anno fa, d’estate, la sera ci sedevamo sulle panchine del viale, fino a mezzanotte. Ora non usciamo nemmeno per portare a spasso il cane. È cambiato tutto».
Qualcuno ha provato ad andarsene. Non ha trovato nessuno a cui vendere casa. Alex Pavanello fa l’agente immobiliare in corso Monginevro, appena girato l’angolo. «Questa è una bella zona, le case si vendono. Lo chiamiamo mercato interno: chi abita qui, se si sposta, lo fa nel perimetro del quartiere». Ma da un po’ non tutto ha lo stesso valore. I dati Tecnocasa dicono 2200 euro al metro quadrato in quel frammento di Pozzo Strada. «Non intorno al Cie», assicura Pavanello. «Lì non si sale sopra i 1800 euro. E ai piani bassi è ancora peggio».
La verità, raccontano di fronte alle scritte che incitano alla rivolta, è che questa storia è nata male. «Non dovevano farlo qui, in un quartiere popolare, in mezzo alle case. L’altra sera c’erano macchine della polizia ovunque, gente che correva da tutte le parti. Trovarsi in strada al momento sbagliato è pericoloso». Dal balcone di casa, una ragazza ha visto una sua coetanea. «Era sola in macchina. Si è bloccata, non sapeva più che fare». Ieri pomeriggio nel cortile della scuola media Palazzeschi, in via Lancia, i ragazzi hanno trovato un tunisino con una gamba sfasciata. Era caduto tentando di scavalcare. Forse è uno dei fuggitivi, forse no. Ma la psicosi gioca brutti scherzi e la voce che gira nel quartiere non conosce dubbi: è uno di loro.
Dicono che raccoglieranno le firme, ma non sanno a chi portarle e cosa chiedere. Il Cie non chiuderà. Lo sanno. L’hanno ampliato da poco. «Non possiamo rassegnarci», dice un’anziana. «A me i ragazzi chiusi là dentro fanno tenerezza. In un Paese civile posti così non dovrebbero esistere. Però ci sono. E allora che li proteggano. Che proteggano chi abita intorno. Schierino le forze dell’ordine lungo il perimetro, non solo davanti all’ingresso. Sempre: giorno e notte. Almeno quello».

La Stampa

 

Torino, 23 settembre

«Trasferire l’ex-Cpt e sgomberare i centri sociali

Leggi l’articolo de Il giornale del Piemonte

 

Torino, 23 settembre

«Cie, venti in fuga dopo la rivolta

Notte di violenza: calcinacci e modbili contro le forze dell’ordine, 9 feriti

Leggi l’articolo di La Repubblica

 

Torino, 23 settembre

«Notte di rivolta al Cie, 22 clandestini in fuga. Feriti agenti e militari

Cinque ore di battaglia nel centro e in strada. Fermati altri dieci stranieri, due in manette.

Leggi l’articolo di Torino Cronaca

Sommossa e nuova evasione a Torino

Nuova evasione dal Cie di Torino, a meno di due settimane dall’ultima spettacolare fuga: questa volta si è trattato di una vera e propria sommossa che ha coinvolto quasi tutto il Centro. Intorno a mezzanotte i ragazzi di tutte le aree maschili hanno sfondato i cancelli e hanno iniziato a scavalcare le seconde recinzioni. Polizia e militari sono intervenuti in forza e molto rapidamente per fermare la sommossa, e ci sono stati duri scontri. A quanto pare le guardie oltre ai classici manganelli hanno utilizzato anche idranti e spray urticanti. Al momento non è ancora chiaro in quanti ce l’abbiano fatta: diverse decine di ragazzi sono riusciti a uscire dalla struttura, ma sicuramente le volanti hanno fermato alcuni fuggitivi subito fuori dalle mura. Ora che nel Centro è tornata la calma, tra i reclusi che non ce l’hanno fatta è iniziata la conta per capire quanti siano i feriti, quanti gli evasi, e quanti quelli portati via dalla polizia per essere arrestati. Nelle prossime ore maggiori aggiornamenti.

Aggiornamento 23 settembre. 22 evasi e 10 arrestati, queste le cifre ufficiali fornite della Questura e prontamente riportate dai giornali. Anche i  racconti di chi non ce l’ha fatta riportano più o meno le stesse cifre, ma per i ragazzi ancora reclusi fare la conta è difficile. Molti sono scappati senza telefoni: alcuni non l’avevano proprio, altri lo hanno abbandonato volontariamente durante la fuga. Quindi è complicato capire chi è finalmente libero, chi all’ospedale, chi in carcere. Intanto arrivano i primi racconti della sommossa e della fuga, probabilmente la più grande nella storia del Cie di Torino. Come successo a Roma a fine agosto, sembra che ieri sera ci abbiano provato più o meno tutti insieme. Prima hanno sfondato i cancelli delle gabbie e nell’area viola hanno riaperto un varco nella recinzione: evidentemente i lavori di riparazione dopo l’evasione di due settimane fa non erano stati fatti a regola d’arte. Una volta nel cortile sono corsi verso il vecchio ingresso di Corso Brunelleschi, l’ultimo cancello che li separava dalla libertà. Mentre i primi fuggitivi iniziavano a scavalcare gli altri tenevano lontani militari e polizia armati di pietre e spranghe di ferro. Una trentina sono usciti, ma cinque o sei sono stati bloccati dalle volanti nei dintorni di Corso Brunelleschi. Altri sono stati fermati mentre scavalcavano, altri ancora sono stati catturati durante gli scontri. Sicurmente ci sono stati dei feriti da ambo le parti: i giornali parlano di otto guardie ferite, i reclusi raccontano che molti di loro sono stati pestati, e almeno un paio sono finiti all’ospedale. Nel Centro, com’era previdibile, la tensione è alle stelle. Polizia, militari e Croce Rossa hanno paura di nuove fughe: per tutto il giorno alcuni operai hanno lavorato per aggiustare e rinforzare i cancelli. I dirigenti della Questura, incazzati neri per il doppio smacco ricevuto, hanno ordinato il blocco delle consegne di pacchi ai reclusi. La Guardia di Finanza, che dentro al Centro ha schierato un corpo speciale di picchiatori, ha fatto prelevare alcuni ragazzi per interrogarli, minacciarli e pestarli. In ogni caso chi non ce l’ha fatta a scappare, a parte le botte ricevute, ha il morale alto e non sembra aver nessuna intenzione di smettere di lottare.

Aggiornamento 24 settembre. Questa mattina, al Tribunale di Torino, c’è stata l’udienza di convalida degli arresti dei 10 ragazzi fermati durante la rivolta dell’altra notte. Uno di loro era già stato arrestato in seguito al tentativo di fuga di due domeniche fa, condannato ad otto mesi e riportato al Centro. Il giudice si è riservato di decidere sugli arresti, per cui ancora non si sa che cosa ne sarà dei dieci. A presto aggiornamenti.

Leggi un piccola rassegna stampa.

Come nei film

21 settembre. Nella notte, tre compagni di cella del carcere minorile Ferrante Aporti sono riusciti a evadere segando le sbarre della finestra con una lima e poi annodando le lenzuola per calarsi giù dal secondo piano. I secondini si sono accorti della fuga solo la mattina dopo, quando ormai i tre (di 16, 17 e 20 anni) erano già spariti nel nulla.
Antonio Pappalardo (che di anni ne ha più della somma dei tre giovani evasi), dirigente del Centro Giustizia Minorile, giudica la fuga dei ragazzi «un episodio indubbiamente grave e preoccupante», contro il quale, però, sono in atto contromisure. E’ da aprile, infatti, che sono in corso i lavori per aumentare i dispositivi di sicurezza del carcere minorile. Per fortuna per quei tre, la libertà non può aspettare…

Lampedusa in fiamme

Lampedusa, 20 settembre
«Lampedusa, incendio al Centro immigrati

La struttura ospita 1.300 tunisini, alcuni sarebbero riusciti a fuggire

09:57 – Un incendio di vaste proporzioni è scoppiato nel centro d’accoglienza di Contrada Imbriacola a Lampedusa. La struttura ospita circa 1.300 immigrati tunisini. Sul posto sono intervenute tutte le squadre dei vigili del fuoco presenti sull’isola siciliana. Il rogo sarebbe stato appiccato dagli stessi extracomunitari. Evacuato il centro.
Alcuni extracomunitari sarebbero anche riusciti a fuggire. La zona è stata presidiata dalle forze dell’ordine e dai vigili del fuoco, che hanno tentato di circoscrivere le fiamme. L’incendio, appiccato in diversi punti, ha causato una densa nube di fumo nero sospinta dal vento verso il centro abitato.

Secondo il sindaco dell’isola, Bernardino De Rubeis, i danni sarebbe ingenti. Le fiamme, secondo i rilievi dei vigili del fuoco, sarebbero state appiccate in tre palazzine della struttura, andate completamente distrutte. I circa 1200 migranti che erano all’interno del Centro sono stati radunati dalle forze dell’ordine nei pressi dello stadio comunale, a Cala Saline.

Nel centro di prima accoglienza i tunisini nei giorni scorsi avevano protestato a più riprese per chiedere il loro trasferimento sulla terra ferma. Non è la prima volta che il centro di accoglienza viene dato alle fiamme. Un episodio analogo, con danni consistenti alla struttura, si era registrato nel febbraio del 2009.»

TgCom

Lampedusa, 20 settembre

«A fuoco il centro di accoglienza
In fuga 400 immigrati, è rivolta

A Contrada Imbriacola, dove erano ospitati oltre 1300 migranti tunisini. Incendio quasi spento e diversi intossicati. Chiuso l’aeroporto. Fuga di massa, poi tutti rintracciati e portati nel campo sportivo. Il sindaco: “Il fuoco ha distrutto tutto, il Cie non esiste più. E’ guerra, i cittadini reagiranno. I delinquenti tunisini vanno trasferiti subito, anche con le navi militari”. La procura di Agrigento apre un’inchiesta. Un centinaio di immigrati trasferiti con un volo militare da Lampedusa verso altri centri di accoglienza.

Un incendio di vaste proporzioni è scoppiato nel pomeriggio nel centro d’accoglienza di Contrada Imbriacola a Lampedusa, dove erano ospitati circa 1300 immigrati tunisini. Ed è allarme in tutta l’isola.
Circa 800 gli immigrati erano riusciti a fare perdere le loro tracce ma 400 sono stati rintracciati dai carabinieri vicino al molo Favaloro, gli ltri in vari luoghi dell’isola. La nube di fumo sollevatasi dal rogo ha investito anche il centro abitato, arrivando fin sopra l’aeroporto che è stato momentaneamente chiuso. Ci sono diversi intossicati.
Il rogo è stato appiccato da immigrati che da diverse settimane erano ospiti della struttura. Gli extracomunitari da giorni protestavano per chiedere il trasferimento sulla terra ferma. Non è la prima volta che il centro di accoglienza viene dato alle fiamme. Un episodio analogo, con danni consistenti
alla struttura, si era registrato nel febbraio del 2009.

“Il Cie è interamente devastato, è tutto bruciato, non esiste più e non può più ospitare un solo immigrato” ha dichiarato l’allarmato sindaco di Lampedusa Bernardino de Rubeis. “Ora Lampedusa non ha più un posto. E’ urgente che il governo intervenga dopo tanto immobilismo. Avevamo avvertito tutti su quello che poteva succedere ed è accaduto”. E ancora: ” Questo è uno scenario di guerra. C’è una popolazione che non sopporta più, vuole scendere in piazza con i manganelli e difendersi da sola, perchè chi doveva tutelarla non l’ha fatto”

A fine giornata tutti i tunisini che si trovavano all’interno del Centro sono stati radunati al campo sportivo di Lampedusa, sotto la sorveglianza delle forze dell’ordine. I fuggiaschi sarebbero stati tutti rintracciati.»

La Repubblica – Palermo

Lampedusa, 20 settembre

«Lampedusa in fiamme
Il Cie devastato dalla rivolta. In fuga 800 persone. 300 agenti in assetto antisommossa al campo di calcio

LAMPEDUSA– Mille tunisini in rivolta hanno incendiato i materassi delle camerate distruggendo il centro accoglienza da dove chiedevano di andare via. E la più rovente estate di Lampedusa finisce tra le fiamme, sotto una nube acida che si alza verso il cielo e ricade sul centro abitato, fra gli alberghi, per fortuna con meno di dieci feriti e intossicati. Un incendio per fuggire dall’isola, per dire no ai rimpatri diretti sull’asse Lampedusa-Tunisi. Una rivolta guidata dai più violenti dei 1.200 ospitati nel devastato Cie, mentre dieci minori arrivati venerdì con un barcone annaspano terrorizzati, centinaia di immigrati fuggono da contrada Imbriacola verso le stradine del paese e una teoria di disperati compare fra i pub del corso, invade il molo, il porto, la costa davanti ad alberghi, pensioni e case dei turisti, incrociando i pompieri, scappando alla vista dei cellulari della polizia, dileguandosi in parte fra I sentieri di campagna.

NOTTE AL GELO – Un inferno nell’isola senza pace dove il campo sportivo diventa ancora una volta rifugio notturno, simile ad una prigione, per fortuna sotto un cielo terso, ma spazzato da un vento gelido. Triste replay che porta indietro alle immagini sconvolgenti di febbraio o marzo, alla “collina del disonore”, annullando la mole di promesse frattanto rovesciate qui da tutti i potenti. A cominciare da Silvio Berlusconi, fino alle recentissime rassicuranti visite lampo del sottosegretario all’interno Sonia Viale e del ministro della Difesa Ignazio La Russa. Tanto che il sindaco Dino De Rubeis aveva provato a rasserenare gli animi di commercianti e albergatori, a far calare la tensione dei suoi concittadini riferendo venerdì scorso una telefonata con il ministro Roberto Maroni: «Mi ha garantito che mille tunisini entro un paio di giorni saranno trasferiti tutti in altri centri sparsi sul territorio italiano. Mi ha anche spiegato le difficoltà che ci sono state per i rimpatri dei giorni scorsi. Maroni dovrà a breve tornare in Tunisia, per rimodulare gli accordi ma questa volta, lo farà insieme a Frattini ed interagiranno con i rispettivi ministri di quello Stato…».

«E’ UNA GUERRA» – Ma al quarto giorno da quelle parole, tossendo, coprendosi la bocca per cercare di non respirare fumo, esplode la rabbia di quest’omone che ha sempre teso la mano agli immigranti: “Questa è ormai una guerra e i cittadini di Lampedusa reagiranno. Anche perché non abbiamo di fronte la massa dei profughi sub sahariani, ma centinaia di giovani tunisini che vogliono tutto e subito con arroganza, proprio come delinquenti, pronti a mettere a repentaglio la nostra e la loro vita”.

“CI SCAPPA IL MORTO” – Che la situazione sia incandescente lo conferma il responsabile del poliambulatorio Pietro Bartolo, il medico arruolato da De Rubeis come assessore alla Sanità: “Ho soccorso gli intossicati, compreso un immigrato paraplegico al quale avevo fatto avere una sedia a rotelle sperando che lo portassero in un altro centro italiano. Invece li fanno restare qui anche due mesi e con tutta la buona volontà delle forze di polizia il Centro diventa una bomba ad orologeria, stanchi ed esauriti come sono questi disperati. Che cosa si aspetta? Qui prima o poi ci scappa il morto”.

TUTTO PREVEDIBILE – Che l’incendio del Centro fosse prevedibile lo avevano ribadito con ripetuti allarmi le organizzazioni umanitarie. È il caso di “Save the Children”, adesso preoccupata per le condizioni inaccettabili in cui sono ospitati tanti minori. Ovvero dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) in Italia, come spiega Flavio Di Giacomo, responsabile della comunicazione: «Da giorni all’interno della struttura di accoglienza si era creata un’atmosfera molto tesa a causa dell’alto numero di migranti tunisini, oltre 1.300, e per la seconda volta in due anni e mezzo ci troviamo di fronte a un incendio che mette a rischio l’incolumità di migranti e operatori».

CARCERE A CIELO APERTO – A scrivere «adesso basta» sono Lino Maraventano e Rosangela Mannino, presidente e vicepresidente dell’associazione che riunisce commercio, turismo e servizi: «Non possiamo più sopportare che Lampedusa e Linosa siano utilizzate come un carcere a cielo aperto e si possa consentire l’arrivo sull’isola di migliaia di immigrati al giorno… Lampedusa non é Alcatraz, non è uno specchietto per le allodole, vuole essere liberata da una morsa che la sta letteralmente soffocando». Al di là delle distanze politiche, l’appello al governo per non lasciare l’isola in balia di un’emergenza continua parte anche dal Pd e dalla leader di Legambiente Giusi Nicolini, responsabile della riserva protetta: «Non si può perdere altro tempo per trovare soluzioni concrete rendendo civile la vita di chi sta qui e di chi arriva in cerca di aiuto». Cresce comunque la rabbia mentre un volo speciale ne porta via cento in una notte che non finisce mai. Svegli i vigili del fuoco costretti a controllare i residui focolai di un padiglione ormai da abbattere e svegli i trecento agenti in assetto antisommossa raccolti attorno al campo di calcio, stipato da tunisini decisi a tutto pur di andare via da Lampedusa, ma senza essere rimpatriati.»

 Il Corriere della Sera

La rabbia degli altri

Lampedusa brucia, ancora. Ogni sincero nemico delle frontiere e delle espulsioni freme di gioia per questo ennesimo incendio alimentato della rabbia e della voglia di libertà, e allo stesso tempo trema di rabbia  e di sgomento per le vergognose parole del sindaco De Rubeis (“Questo è uno scenario di guerra. C’è una popolazione che non sopporta più, vuole scendere in piazza con i manganelli e difendersi da sola”). Parole che suonano come una vera e propria istigazione alla guerra civile. Parole che, lo sappiamo tutti molto bene, possono essere prese molto sul serio. A questo punto, ogni sincero nemico delle frontiere e delle espulsioni non può limitarsi a contemplare quella che potremmo definire la “rabbia degli altri”, di qualunque segno essa sia. Occore avere pronte idee e proposte semplici e all’altezza della gravità della situazione, e soprattutto delle sue potenzialità. “All’altezza della situazione” significa semplicemente questo: chiunque, in un’ipotetica assemblea, si facesse avanti ora con un discorso genericamente antirazzista, pieno di tutte le banalità del caso (siamo stati emigranti anche noi, dobbiamo accoglierli, e via sbrodolando) e proponesse, per dirne una, un volantinaggio davanti al municipio, ebbene costui correrebbe il rischio concreto di essere preso a sberle, sberle forse ben meritate. Ma se invece l’idea fosse “il problema è l’esistenza del Cie” e la proposta fosse “distruggiamo quel che ne resta e impediamone la ricostruzione”, ci potrebbe essere qualche concreta possibilità che diversi lampedusani arrabbiati, arrabbiati indistintamente col Governo e con gli immigrati, decidano di mettere da parte i manganelli di De Rubeis, e di impugnare tronchesine, piedi di porco, mazze, picconi e tutto quel che serve per terminare una volta per tutte l’opera di demolizione cominciata dai rivoltosi.

(Si susseguono, una dopo l’altra, le agenzie di stampa sulla sommossa di Lampedusa. Le notizie sono ancora frammentate e un po’ confuse. Questo pomeriggio i reclusi hanno dato vita ad una grossa protesta dando fuoco al Centro che ora sta bruciando, un incendio che non può non riportare alla mente quello del febbraio 2009. Buona parte dei migranti sono scappati e si sono diretti verso la piazza centrale del paese per continuare la protesta. L’incendio non è ancora stato spento, ma si parla di due terzi del Centro inagibile e sembra che a causa della grossa nube di fumo sia stato chiuso l’aeroporto dell’isola.)

Quindici secondi

Gradisca, 20 settembre

«Non scatta il nuovo allarme, il Cie di Gradisca continua ad essere un groviera. Dopo un’estate relativamente tranquilla, senza rivolte nè tentativi di fuga, nella struttura isontina per migranti la tensione è tornata a farsi improvvisamente molto alta. Nella notte fra domenica e lunedì, infatti, un gruppo di 7 tunisini ha tentato la fuga. Solo uno di loro è riuscito a darsi alla macchia, salvo ripresentarsi dinanzi al portone del Cie intirizzito dalla pioggia il mattino dopo, suonando semplicemente il campanello. Avvisaglie di una tensione strisciante ve ne erano state già nel pomeriggio di domenica, con un tentativo da parte dei clandestini di dare fuoco alle suppellettili, peraltro prontamente sedato dai vigili del fuoco. (more…)

Sessanta in fuga

Brindisi, 20 settembre

«Brindisi, nuova fuga da Restinco
Riescono ad evadere in 60

Una nuova fuga è avvenuta la notte scorsa dal centro di identificazione ed espulsione di Restinco, a Brindisi. Una sessantina di immigrati sono riusciti a far perdere le proprie tracce. Si tratta dell’ennesima fuga che si verifica nel Cie brindisino. Al momento le forze dell’ordine sono a lavoro per cercare di rintracciare gli uomini che si sono dati alla macchia.»

da Nuovo Quotidiano di Puglia

Proteste a Roma

È in corso, proprio in questi momenti (e sono le 14,15), una protesta dentro al Cie di Ponte Galeria, a Roma. Le guardie hanno chiuso la mensa, costringendo tutti a mangiare per terra. Sono stati accesi dei fuochi e la polizia e la guardia di finanza sono entrate nelle gabbie, ma non si sa ancora se ci siano stati dei pestaggi. A presto dettagli e aggiornamenti.