Timidamente, dopo le grandi sommosse di Santa Maria Capua Vetere e di Ponte Galeria, ricomincia a scaldarsi la situazione anche dentro al Cie di corso Brunelleschi a Torino. Intanto, il consueto presidio della terza domenica del mese, questo pomeriggio, ha trovato una risposta particolarmente calda da dentro le gabbie, con urla battiture e messaggi rilanciati oltre i muri. E poi, in serata, sono partite le proteste: nell’area rossa hanno rifiutato il cibo, mentre nella blu, oltre a far lo sciopero della fame, i prigionieri hanno ammassato tutti i materassi in cortile e iniziato una lunga battitura per protestare contro la Croce Rossa che si rifiutava di soccorrere uno di loro che stava male, fino a vedersi il gabbione circondato di polizia. I motivi della mobilitazione sono i soliti: dalla qualità del cibo, all’uso degli psicofarmaci, ai soprusi di guardie e crocerossini. È la determinazione alla libertà che riemerge ad ondate, con in mano questa volta la rabbia per il decreto che porta a 18 mesi la permanenza massima dentro ai Centri.
Rabbia tutto sommato contenuta, ma che siamo abbastanza certi esploderà fino in fondo – qui ed altrove – quando i primi reclusi arrivati ai sei mesi di prigionia si troveranno per davvero i cancelli ancora chiusi davanti al naso. Staremo a vedere allora cosa potrà succedere dentro le gabbie e soprattutto quanto i solidali di fuori, il movimento contro le espulsioni, saprà essere all’altezza della situazione.
Aggiornamento 20 giugno. Raramente la polizia rimane con le mani in mano. E così, in tarda serata, dopo aver circondato la gabbia dell’area blu, gli agenti sono entrati ed hanno distribuito un po’ di botte ai reclusi. Alla fine alcuni prigionieri la nottata l’han dovuta passatare, malconci, in infermeria, e altri ancora (una decina) al Pronto Soccorso – da dove son stati poi ritrasportati al Centro, ma nella zona dell’isolamento. Gli altri si son rifiutati di rientrare nelle stanze e son rimasti in cortile, dove per provocarli gli agenti han portato loro i piatti rifiutati a cena, minacciandoli perché mangiassero. Ma senza alcun risultato.
Aggiornamento ore 14.00. Continua anche oggi lo sciopero della fame in alcune delle gabbie di corso Brunelleschi. Nell’area blu, poco fa, tre reclusi hanno provato ad impiccarsi e sono stati presi di peso dalla polizia, armata di pistole e manganelli, e non si sa bene dove siano stati portati.
Ascolta il racconto di un recluso, che ripercorre i fatti della nottata e di oggi:
[audio:http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/brunelleschi-20-giugno.mp3]
Aggiornamento ore 21.00. Continua anche stasera nell’area blu lo sciopero della fame, mentre nell’area rossa i reclusi hanno ricominciato a mangiare.
Aggiornamento 21 giugno. Ancora sciopero nell’area blu del Centro. Compatti, i reclusi rifiutano sia il cibo che le bevande, e vanno avanti solo a sigarette. In più, rifiutano pure di rientrare nelle camerate per la notte. Alla protesta partecipa anche l’area verde, mentre nelle altre gabbie del Centro la situazione è tranquilla.
Aggiornamento 23 giugno. Dopo che anche le donne – raggruppate nell’area verde – hanno ripreso a mangiare, lo sciopero prosegue soltanto con un gruppo di prigionieri dell’area blu, che continuano determinati a protestare.
«Notte di tensione all’interno del Centro di Identificazione ed Espulsione di Ponte Galeria. Alcuni degli oltre 250 ospiti hanno appiccato il fuoco a suppellettili e alloggi della struttura. Lo rende noto il Garante dei Detenuti del Lazio Angiolo Marroni. “La protesta sarebbe partita dal settore maschile della struttura, ed avrebbe coinvolto circa 70 immigrati – si legge nella nota -. Uno di loro, leggermente ferito, è stato medicato in ospedale e subito riaccompagnato nel Centro. Ingenti i danni registrati. Proprio in queste ore la cooperativa che gestisce il Cie sta lavorando per ripristinare le condizioni di agibilità della struttura”.»
da omniroma.it
Il testo di un volantino che sta girando nei quartieri di Milano per raccontare cosa succede nel Centro di Identificazione e Espulsione di via Corelli.
«Un gruppo di solidali si è incontrato al CIE di via Corelli, per fare volantinaggio ai parenti dei detenuti. Prima grande novità è il numero consistente di parenti, con i quali si è potuto fare qualche chiacchiera, nelle lunghe ore di attesa, tra l’ingresso del primo e l’uscita dell’ultimo di loro.
I prigionieri ci raccontano che:
– attualmente, all’interno di una delle sezioni, ci sono 28 detenuti. Non sappiamo il numero dei detenuti nelle altre sezioni, che sono in totale 5.
– i detenuti non possono tenere il proprio cellulare.
– ogni tre giorni, ognuno di loro avrebbe il diritto a un pacchetto di sigarette e a una scheda telefonica da 5 euro, da utilizzare nella cabina interna. Ma sono costretti a scegliere tra uno o l’altro. Questi sono i ricatti che continuano a subire.
– i detenuti non hanno più la possibilità di uscire in cortile tutti insieme, devono rimanere ognuno all’interno della propria sezione. Prima potevano uscire pomeriggio e sera, ora gli hanno tolto anche questo.
– una deportazione è avvenuta con avvolgimento del prigioniero in una coperta, chiuso dentro con lo scotch e caricato con violenza nel bagagliaio di una jeep della polizia.
– un prigioniero è stato portato a Corelli con l’inganno: è stato chiamato in questura per controllare alcuni documenti, con la garanzia espressa al telefono che nulla gli sarebbe capitato. Da lì è stato condotto al Cie, dove è ora recluso.
Tanti detenuti ci raccontano che:
– dopo aver scontato la pena in carcere, vengono trasferiti al Cie.
– le persone malate non sono seguite dai medici e non ricevono i medicinali essenziali, nemmeno per le patologie croniche e gravi.
I detenuti di via Corelli hanno recentemente deciso di iniziare uno sciopero della fame. La risposta delle guardie è stata una devastante perquisizione. Questa è solo una minima parte degli abusi subiti dagli immigrati detenuti nel Cie di via Corelli! Questi sono lager che vanno chiusi subito! Basta CIE, basta torture!
Vogliamo inoltre informare tutti gli immigrati senza documenti di fare attenzione se devono andare in Questura, in quanto abbiamo saputo che molti vengono chiamati con l’inganno e quindi portati nei Cie. Tutto questo è già accaduto a molte persone, a Milano come a Torino, ma sicuramente è una manovra che viene effettuata in tutta Italia. Non fidatevi mai!»
/* Style Definitions */ table.MsoNormalTable {mso-style-name:”Tabella normale”; mso-tstyle-rowband-size:0; mso-tstyle-colband-size:0; mso-style-noshow:yes; mso-style-parent:””; mso-padding-alt:0cm 5.4pt 0cm 5.4pt; mso-para-margin:0cm; mso-para-margin-bottom:.0001pt; mso-pagination:widow-orphan; font-size:10.0pt; font-family:”Times New Roman”; mso-ansi-language:#0400; mso-fareast-language:#0400; mso-bidi-language:#0400;}
/* Style Definitions */ table.MsoNormalTable {mso-style-name:”Tabella normale”; mso-tstyle-rowband-size:0; mso-tstyle-colband-size:0; mso-style-noshow:yes; mso-style-parent:””; mso-padding-alt:0cm 5.4pt 0cm 5.4pt; mso-para-margin:0cm; mso-para-margin-bottom:.0001pt; mso-pagination:widow-orphan; font-size:10.0pt; font-family:”Times New Roman”; mso-ansi-language:#0400; mso-fareast-language:#0400; mso-bidi-language:#0400;}
17 giugno. Abdel, appena 18 anni, si trova nelle camere di sicurezza del Tribunale di Torino in attesa del trasferimento in carcere. Dovrà scontare un anno alle Vallette, sovraffollato come di consueto, dove, solo negli ultimi giorni, si son verificati due casi di suicidio. Non si conoscono i dettagli della vicenda, ma i tre agenti che lo accompagnano vengono raggiunti da calci, schiaffi e pugni. Portati al Maria Vittoria, verranno dimessi con 5 giorni di prognosi. Poca roba, ma mostra come, date le circostanze, prima di compiere atti di autolesionismo, c’è una lunga serie di persone con cui prendersela.

15 giugno. In Crocetta, una pattuglia (vera) cerca due carabinieri (finti), dopo che alcuni abitanti del quartiere sono rimasti vittime di truffa. Ferma due sinti a bordo di un’auto. In stato di fermo, l’uomo e la donna accusano un malore e chiedono di essere trasportati al Mauriziano. All’ospedale, però, grazie a un rapido giro di telefonate e sms, si presentano anche una quarantina di amici e parenti, bambini compresi, che inscenano una protesta e chiedono la liberazione dei due familiari. I medici spiegano loro che non possono entrare, ma i più determinati, per tutta risposta, sfondano la porta esterna del Pronto Soccorso, superando i tre agenti e la guardia giurata che disciplinavano l’ingresso. Arrivano nuove volanti e nasce un parapiglia tra sinti e poliziotti, che vedrà come bilancio qualche contusione e un paio di divise strappate, oltre allo scompiglio tra i malati. Nella confusione, un bambino riesce a sottrarre ai poliziotti una valigetta, che conteneva probabilmente le false placche delle divise usate per mettere in atto i colpi, o addirittura il bottino, e sparisce nel nulla.
15 giugno. Dopo un breve ma funambolesco inseguimento, i carabinieri hanno fermato e poi arrestato due trentenni a Santa Rita. Oltre al modesto bottino, sottratto da un girarrosto e un negozio di fiori, i militari hanno sequestrato anche 18 rose, che uno dei ladri ha dichiarato essere un pensiero per la madre.
14 giugno. Lungo Dora Voghera, quartiere Vanchiglietta. Patrizia e la sua famiglia resistono da tempo allo sfratto e rinvio dopo rinvio sono arrivati al nono accesso. Pur di sbatterli fuori di casa la proprietà (ATC) era disposta a tutto, anche a chiedere l’uso della forza pubblica. E come già successo nel quartiere San Paolo due mesi e mezzo fa la Questura non si è certo tirata indietro, schierando la celere fin dalle prime luci dell’alba. Ma questa volta la famiglia e i solidali non si sono fatti trovare impreparati: un gruppo presidiava l’ingresso del palazzo, un’altro era barricato dentro casa dalla sera prima. Cariche, fermi e denunce non sono serviti a nulla. Dopo qualche ora di assedio funzionari ATC, ufficiale giudiziario, polizia e vigili del fuoco sono stati costretti alla ritirata, dopo aver concesso l’ennesimo rinvio. Se ne riparlerà quindi a fine settembre.
14 giugno. Lungo Dora Voghera, quartiere Vanchiglietta. Patrizia e la sua famiglia resistono da tempo allo sfratto e rinvio dopo rinvio sono arrivati al nono accesso. Pur di sbatterli fuori di casa la proprietà (ATC) era disposta a tutto, anche a chiedere l’uso della forza pubblica. E come già successo nel quartiere San Paolo due mesi e mezzo fa la Questura non si è certo tirata indietro, schierando la celere fin dalle prime luci dell’alba. Ma questa volta la famiglia e i solidali non si sono fatti trovare impreparati: un gruppo presidiava l’ingresso del palazzo, un’altro era barricato dentro casa dalla sera prima. Cariche, fermi e denunce non sono serviti a nulla. Dopo qualche ora di assedio funzionari ATC, ufficiale giudiziario, polizia e vigili del fuoco sono stati costretti alla ritirata, dopo aver concesso l’ennesimo rinvio. Se ne riparlerà quindi a fine settembre.
«Hanno aspettato che i ragazzi della Misericordia portassero loro da mangiare per far scattare la rivolta. Quando si sono affacciati sulla porta li hanno spintonati contro il muro e sono usciti tutti insieme, riuscendo a innescare un principio di rivolta. Una decina di clandestini sono così riusciti a guadagnare i corridoi che portano ai piani superiori e lì si sono asserragliati.
Per un paio d’ore un gruppo di tunisini arrivati nelle settimane scorse a Lampedusa, poi trasferiti in Puglia e infine a Modena, hanno inscenato una dimostrazione sopra i tetti della struttura di fianco al carcere di S. Anna.
Immediata la mobilitazione delle forze dell’ordine che hanno isolato la zona. Sul posto sono intervenuti anche i mezzi dei Vigili del Fuoco con le autoscale, in maniera da facilitare un contatto diretto in caso di trattativa.
Ieri sera alle 22 i tunisini, che hanno a lungo scandito slogan per coinvolgere anche gli altri stranieri del Cie nella loro rivolta, hanno scandito slogan per reclamare l’immediato rilascio del permesso di soggiorno. Secondo i responsabili del centro si tratta degli irriducibili che dal momento del loro arrivo hanno tentato ogni espediente per ottenere un documento che autorizzi la loro permanenza, anche temporanea, in Italia; autolesionismo, ingestione di oggetti e rifiuto del cibo sono state le armi usate sino a ieri sera per ottenere uno status di rifugiato e restare in Italia.
Infine ieri sera la rivolta e la protesta collettiva che ha messo a rischio l’incolumità dei collaboratori della Misericordia che gestisce il Cie (Centro Identificazione ed Espulsione) di Modena. Da subito è iniziata una trattativa ma i clandestini hanno reagito nell’immediato con la minaccia di buttarsi di sotto: “Vogliamo le carte per restare in Italia”.»
La Gazzetta di Modena