
Da Nociebrindisi, una breve cronaca degli ultimi giorni a Restinco, della situazione a Manduria e l’annuncio di un presidio questa domenica, 3 aprile, di fronte ai cancelli del Cie brindisino.
«Mentre tutti gli occhi sono concentrati su Berlusconi a Lampedusa, camicia nera e discorso demagogico, e sulla situazione di Manduria, anch’essa nel caos, Restinco rimane l’inferno che è sempre stato. Mercoledì 30 Marzo, secondo fonti che arrivano da dentro, un recluso ha provato ad impiccarsi all’interno del cie, ed è stato salvato in extremis. Necessario si è reso l’intervento dell’ambulanza. Adesso non si conoscono le sue condizioni, ma rimane presumibilmente ricoverato all’ospedale Perrino di Brindisi. Nel frattempo altri 4 detenuti hanno provato a tagliarsi le vene. La situazione, nel cie di Restinco, rimane calda. Non è ancora possibile confermare la notizia, ma sembrerebbe anche che il responsabile di Connecting People per il centro, Nicola Lonoce, si sia dimesso dal suo incarico, confidando ai detenuti che non riuscirebbe a sopportare una situazione incredibile come quella. Le dimissioni non sarebbero ufficiali nè possibili, in piena emergenza e, considerando che Connecting people sta gestendo la tendopoli di Manduria, potrebbero essere anche viste come una semplice sostituzione. I reclusi continuano a chiedere l’ingresso nel cie dei giornalisti, e si sentono rispondere “Se qui entrano i giornali noi perdiamo tutti il posto”.
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1 aprile. Nonostante uno sciopero della fame di alcuni giorni e tre pile nello stomaco, l’espulsione di uno dei reclusi del Cie era stata decisa per oggi e doveva essere eseguita. Ma il ragazzo non ci sta, e una volta sull’aereo decide di opporsi davanti a tutti, parlando persino con il comandante di volo: «non si può viaggiare con tre pile nella pancia». La partenza salta e il ragazzo viene riportato al centro. Adesso è ritornato insieme agli altri reclusi, che oscillano tra la disperazione dell’autolesionismo e la rabbia che batte contro le grate. Speriamo possano recuperare in fretta le energie, per continuare a colpire e a resistere finchè l’inferriata non verrà abbattuta, un tentativo che ha già un precedente durante i momenti di disordine di due notti fa.
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Dopo una giornata che ha visto la visita di un funzionario del consolato del Marocco inviato al Centro per mettere un po’ di timbri sui fogli delle doportazioni, una serata di casino. Poco fa (intorno a mezzanotte e un quarto) è partito un tentativo di evasione di massa dal Centro, non sappiamo se fallito o riuscito per lo meno in parte. Ora la polizia sta circondando minacciosa tre delle aree dove sono confinati i reclusi, e i prigionieri stanno protestando rumorosamente.
Aggiornamento ore 1,30. Volanti e moto della polizia pattugliano il perimetro esterno del Centro: segno probabilmente che qualcuno è riuscito superare le reti e che lo stanno cercando.
Aggiornamento 31 marzo, ore 10. Le voci che filtrano da dentro sono contraddittorie: alcuni sostengono che in tre sarebbero riusciti a scavalcare il muro e ad eclissarsi, altri che ci avrebbero provato in cinque ma che nessuno ci sarebbe riuscito. Quello che è sicuro è che questo tentativo di fuga, partito da uno spingi-spingi di una ventina di persone contro le porte delle gabbie, ha fatto riemergere la voglia di libertà che percorre il Centro: ieri sera la polizia, per evitare scontri, ha scelto di non entrare nelle aree e il casino delle porte e delle sbarre sbattute era infernale. «Da adesso non torneremo indietro, non smetteremo di rivoltarci», dicono da dentro.
Ore 19.00. Le voci sugli evasi, da dentro, continuano ad essere nebulose: tre persone nelle gabbie mancano, ma pare che siano stati ripresi dalla polizia fuori dal perimetro. Oggi è stato pure portato via uno dei ragazzi “riconosciuti” ieri dal Console che in questi giorni aveva ingoiato delle batterie per protesta. Intanto, le agenzie di stampa, che non fanno cenno ad evasioni, parlano di un modulo abitativo danneggiato.
Ore 22,30. Piccola vendetta della polizia per i disordini di ieri sera: alle 21,30 la polizia in assetto antisommossa circonda l’area blu e quella rossa, con i cani. È una grossa perquisizione, che dura una mezz’oretta.
Aggiornamento 1 aprile. Giornata movimentata nel Centro torinese. Intanto, un piccolo gruppo di ragazzi marocchini, “riconosciuti” dal funzionario del consolato l’altroieri, sono stati rimpatriati: il solito Torino-Roma da Caselle del pomeriggio, poi la solita coincidenza per Casablanca. Gira voce che sul primo aereo uno di loro abbia fatto casino e l’abbiano fatto scendere: dovrebbe essere di nuovo al Cie. Poi, un gruppetto di tunisini, accusati dalla polizia di essere i “capi” della rivolta dell’altra sera, sono stati presi e messi in “isolamento”: una banale misura punitiva, l’anteprima di un arresto oppure, e sembra più probabile, la preparazione di una deportazione. Del resto domani è sabato, e dal porto di Genova parte la nave per Tunisi.
29 marzo. In mezzo a una strada, o in uno dormitorio gestito da preti , non ci voleva proprio stare. E così Peppe, il disoccupato sfattato questa mattina, ha deciso di prendersela una casa. Senza dubbio questa nuova occupazione, è stata la migliore risposta a tutti quelli che si congratulavano con la Questura per lo sfratto portato a termine. La nuova casa di Peppe è in via Revello 34 bis a Torino, e presto diventerà anche uno spazio aperto per il quartiere San Paolo, per continuare, tra le altre cose, le lotte per la casa.
Questa mattina, dal treno arrivato a Porta Nuova da Lecce sono scesi una ventina di tunisini, probabilmente allontanatisi ieri dal Campo di Manduria, in provincia di Brindisi. Ventitrè, per l’esattezza, tutti con in tasca qualche soldo e il biglietto del treno per proseguire il viaggio verso la Francia. Ovviamente la polizia li aspettava al binario e si è messa di traverso: viaggio interrotto, tutti in Questura.
Nove ore passate tra fotosegnalazioni e impronte digitali; i biglietti per la Francia sequestrati; qualche bassezza poliziesca («Siete voluti venire venire in Italia!, ecco cosa vi aspetta!» ha urlato un agente, mostrando loro i genitali); poi il gruppo viene diviso: due vengono trattenuti e gli altri sbattuti fuori, ad arrangiarsi sotto la pioggia. Proseguire il viaggio non possono e rimangono impigliati in città ad aspettare il momento buono.
Ignoriamo al momento se i due trattenuti siano finiti al Cie oppure in carcere: sta il fatto che oggi al Centro sono arrivati cinque tunisini, non sappiamo se intercettati a Torino o a Ventimiglia. Nonostante l’infittirsi dei rimpatri, alcuni reclusi dell’area verde sono ancora tenuti all’adiaccio, con un chiaro intento punitivo e per tenere i posti che si sono liberati pronti per accogliere questi nuovi arrivati.
(Passata per ora – a forza di durezze detentive, psicofarmaci e rimpatri coatti – l’ondata di proteste collettive, in Corso Brunelleschi ritornano in primo piano le proteste individuali, spesso condite di autolesionismo. Nella solo area rossa, oggi, un recluso è finito all’ospedale con dei tagli profondi alla mano ed un altro è stato liberato dopo essersi ingoiato cinque pile.)
29 marzo. Per la prima volta a Torino, almeno in tempi recenti, un picchetto anti-sfratto viene caricato per permettere l’ingresso di fabbro e ufficiale giudiziario. Fino ad oggi la presenza di solidali aveva sempre costretto gli ufficiali giudiziari a ritirarsi, concedendo dei rinvii. Oggi la Questura ha cambiato strategia conquistandosi il campo con largo anticipo, cacciando i generosi solidali presenti in strada già dalle 6 del mattino. Il quartiere San Paolo militarizzato dall’alba, un intero isolato bloccato da camionette della celere, cariche, botte e manganellate ai solidali accorsi per impedire lo sfratto. E dopo qualche ora di trattativa e minacce, lo sfrattato finisce in mezzo a una strada. Scene non certo nuove per Torino, ma che eravamo abituati a vedere soltanto in caso di sgomberi di case occupate. La prova di forza della Questura era nell’aria da un po’. Forse perchè le elezioni comunali sono alle porte, forse perché la pratica dei picchetti anti-sfratto sta prendendo piede, creando non pochi fastidi ai piccoli e grandi proprietari immobiliari. In ogni caso la lezione impartita oggi a suon di bastonate tornerà sicuramente utile per tutti quelli che, già da domani, decideranno di resistere ad uno sfratto, barricati dentro casa o agguerriti in strada.
29 marzo. Piazza della Repubblica, tre del pomeriggio passate. All’angolo alcune donne marocchine se ne stanno silenziose, con pane e focacce da vendere ai passanti. La guerra che i vigili muovono loro è quotidiana, e le costringe ad una attesa occhiuta e senza riposo, sempre pronte a spostarsi veloci al primo segno di divisa. Alcune di loro sono decisamente anziane e a stare in piazza si guadagnano una pensione che altrimenti non c’è, altre hanno i figli da mantenere, altre semplicemente non hanno altro da fare, a Torino, per tirare avanti.
Ad un certo punto un gruppo si avvicina loro, il passo svelto. Clienti? Turisti affascinati da questo nuovo esotismo che ha reso famosa Porta Palazzo? Ovviamente no. Sono i vigili urbani, in borghese; delle facce nuove sconosciute al quartiere. Prendono di sorpresa le donne. Alcune riescono ad allontanarsi veloci, abbandonando la mercanzia mentre una, la più anziana, viene placcata. Riesce a divincolarsi e scappa, spaventata. Poi nella foga inciampa e cade.
Si è fatta male, forse la gamba è rotta, è circondata di vigili quando arriva l’ambulanza. Poi l’ambulanza se ne va, i vigili carichi di pane sequestrato pure, e le altre donne se ne staranno nascoste tutto il pomeriggio. E quell’angolo di piazza rimane vuoto, finalmente, come piace tanto ai torinesi.

Mauro Maurino deve essere proprio in difficoltà. Il ministero degli Interni è in ritardo nel pagamento per i suoi servigi come amministratore di Cie, i suoi dipendenti vogliono gli arretrati e sono sul piede di guerra, i reclusi (che in guerra ci sono già) si ribellano e distruggono il suo bel Centro, il suo consorzio sta rischiando di perdere l’appalto di Gradisca, e gli anarchici gli spaccano le palle. Ce lo immaginiamo sull’orlo di una crisi di nervi trascinarsi in banca a chiedere in ginocchio almeno un prestito per pagarsi i vetri rotti dell’ufficio:
– Vi prego, mi basterebbero cinquanta euro, ma non ho nemmeno quelli!
– Guarda Mauro, sei già in rosso, non possiamo proprio darti neanche un centesimo…
– Allora sono rovinato…
– Ma se proprio vuoi, un bel comunicato di solidarietà non ci costa niente.
E a Maurino non sembra vero. Perché la sua banca non è una banca come le altre. Non è mica Intesa-SanPaolo, che è specializzata in investimenti in armi. Non è mica l’UniCredit, che è immanicata con Gheddafi. No, la sua banca è… la “BancaEtica”! E se lo appoggia lei, sembrerà di sicuro meno stronzo.
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Aumenta il ritmo delle deportazioni dai vari Cie italiani verso la Tunisia. È evidente che il Ministero voglia, zitto zitto, fare posto al più presto possibile per nuovi reclusi che arriveranno da Lampedusa, magari dopo essere passati da qualcuna di questi nuove strutture strane un po’ Cie un po’ Cara che il Governo sta aprendo nel Sud (a Mineo e a Manduria, per ora). Sempre che non riesca ad organizzare qualche bella deportazione di massa direttamente da Lampedusa, come sembra trasparire dalle ultime dichiarazioni di Maroni, di tutti quelli che non hanno la prontezza di chiedere formalmente asilo appena messo un piede a terra: ma su questo staremo a vedere.
Venerdì scorso sono stati portati via dal Centro almeno quattro tunisini. Due di loro volevano tornarsene a casa, gli altri due no. L’ufficio immigrazione, per evitare casini, ha pensato bene di convocarli uno ad uno e di tirar loro un bel pacco: «vi cambiamo di Cie», hanno detto loro, perché «qui non c’è più spazio». E viste le condizioni pietose in cui versa corso Brunelleschi loro ci hanno creduto e si sono ritrovati su di un aereo per Roma e da lì in un altro per Tunisi già pieno di loro connazionali arrivati da altri Centri. Dicono che gli aerei per la Tunisia fossero addirittura due, e questo fa pensare a voli speciali più che a voli di linea. E dicono pure che la solita nave che parte il sabato da Genova per attraccare poi la domenica fosse pure lei abbastanza piena di rimpatriati.
Oggi altra gente è stata caricata – senza sotterfugi, a quanto pare – e portata via: non sappiamo ancora quanti, ma di questo passo potranno rapidamente svuotare l’area verde e distribuirne i reclusi nei buchi liberi che si sono venuti a creare nel resto del Centro. Reclusi che, fino a questa mattina, erano ancora in buona parte sistemati all’aperto.
Come forse sapete (ne abbiamo parlato qui a fianco) qualche notte fa una mano ignota ha rotto un vetro della sede del consorzio Kairòs, in via Lulli 8 a Torino. Un piccolo pensiero per un consorzio di cooperative sociali che, aderendo a Connecting People, partecipa alla gestione di diversi Centri di identificazione ed espulsione, tra cui quello di Gradisca (in provincia di Gorizia) e quello di Restinco (in provincia di Brindisi). E anche un piccolo gesto di solidarietà con le rivolte dei prigionieri senza-documenti che – pezzo dopo pezzo – stanno sfasciando e bruciando le prigioni che li rinchiudono (come è successo, guardacaso, proprio a Gradisca e a Restinco, per citare solo gli ultimi episodi).
Questo vetro rotto, e le scritte lasciate di contorno, devono aver fatto innervosire non poco Mauro Maurino, ex-direttore di Kairòs e attuale amministratore di Connecting People. Che infatti ha deciso di rilasciare un’intervista addirittura a Massimo Numa, noto agente della questura di Torino in comodato d’uso gratuito al quotidiano La Stampa, per ribadire che né lui né Connecting People stanno pensando minimamente di mollare la presa sul grande business dei Cie: «La scelta non cambia: noi forniamo servizi alla persona a uomini rinchiusi. Si vuole impedire che vengano dati agli immigrati servizi essenziali per poter, attraverso questo, legittimare e accelerare l’esplosione di questi luoghi. Chi specula politicamente vorrebbe abbassare il livello di vita nei centri.»
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