Due donne e un Cpt

livia turco«Un giorno, uno come tanti, verso l’ora di pranzo, Angela racconta che mentre alcuni internati uscivano dalla sala mensa, altri invece si erano intrattenuti ai tavoli per scambiare qualche parola tra loro. Improvvisamente, “dagli altoparlanti presenti nella sala, si sono diffuse ad alto volume, le note di Faccetta nera”. Tra il poco stupore degli ospiti, “che quasi certamente non conoscevano quella marcetta” e lo sconcerto tra i volontari in servizio, le note ad alto volume continuavano a cantare tra le risate dei militari.»

Come sanno tutti quelli che si interessano dei Centri, è molto raro che gli operatori delle varie organizzazioni che li gestiscono raccontino quello che succede all’interno delle gabbie. Reggicoda inossidabili di polizia e militari, pronti a giurare il falso pur di difenderne il buon nome, fedelissimi alla consegna del silenzio quando volano lacrimogeni e manganelli, ritrovano la voce solo per lamentarsi degli sgarbi dei reclusi. Di eccezioni ne ricordiamo pochissime: tra tutte, quell’operatore di Connecting People che nell’ottobre scorso aveva confessato ad Andrea Onori, curatore del blog Madre terra, fratello clandestino, di aver perso il sonno dopo aver assistito alle cariche del mese precendente dentro al Cie di Gradisca.

Ora, sempre da Madre terra, fratello clandestino, vi giriamo il racconto di Angela, che dipinge una serie di scene edificanti dal Cpt di Ponte Galeria. Niente che non sia già noto, per carità: furti, pestaggi, ricatti sessuali e psicofarmaci. Ma per una volta raccontato da una operatrice, da una donna che non ha voluto stare zitta di fronte a quel che vedeva e che ad un certo punto ha dovuto cambiar mestiere.

Leggi l’articolo Angela racconta cosa significa vivere in un lager di Stato

(Notate bene. Il racconto di Angela si svolge dentro al Centro di Ponte Galeria fresco fresco di apertura, quando ancora si chiamava Cpt e al governo ci stava quella stessa Livia Turco che ora condanna i Cie e che giura e spergiura che i suoi Cpt erano tutta un’altra cosa. Livia Turco è una donna politica scafata, ha una bella faccia tosta e comunque tiri il vento non vuol proprio cambiare mestiere: dal suo punto di vista importare in Italia i Campi dove concentrare i senza-documenti per poi criticarli dall’opposizione e poi non far nulla per chiuderli una volta tornata al governo, e poi tornare a strepitare e a condannare dall’opposizione non fa una grinza. Del resto ad aver avuto su questo tema percorsi paralleli al suo di gente passata dal Parlamento o dalle segreterie dei partiti ce n’è molta: il fatto strano è che alcuni di questi ora pretendono di partecipare alle iniziative di movimento senza essere presi a pesci in faccia e, fatto ancora più strano, c’è chi dentro al movimento ogni tanto lascia loro spazio e credito. Ma questo è un altro discorso.)

Azioni di classe

«Non ci vuole il genio della lampada per comprendere che le modalità di fuga sono sempre le stesse: azione diversiva (incendio), azione di massa (collettiva salita sui tetti) e scatto verso le barriere che comporta, per molti, la fuga. Un vera e propria “Class Action” con la complicità della struttura.» Questo lo ha detto in una nota di ieri pomeriggio (prima cioè dell’ultimo tentativo di evasione) il Sindacato Autonomo di Polizia di Gorizia. Tra le foto che ci sono arrivate dai reclusi stessi, possiamo documentare graficamente le tre fasi di queste vere e proprie “azioni di classe”.

Fase 1, il diversivo. Un materasso brucia nel cortile del Cie di Gradisca, la notte del 17 luglio 2010

Fase 2, l’azione di massa. I reclusi salgono sui tetti del Cie di Gradisca, la notte del 28 agosto 2010

Fase 3, la fuga. I reclusi scattano verso le barriere del Cie di Gradisca, la notte del 28 agosto 2010

Manca, per ora, una documentazione recente sulla quarta fase, quella che i poliziotti si dimenticano sempre di elencare: la fase della repressione, spesso brutale, della voglia di libertà dei reclusi. L’ultimo tentativo di evasione, per esempio, è stato fermato anche grazie a un massiccio uso di gas lacrimogeni. Per sopperire alla mancanza, potete sempre riguardare il video del massacro di Gradisca del settembre dell’anno scorso.
Infine, dai giornali apprendiamo che negli scontri di ieri sei militari della brigata ”Ariete”, in servizio all’interno del centro, sono rimasti feriti: il più grave ha riportato la frattura di una mano. Colpita anche la struttura, in particolare è stata danneggiata la centralina termica. E mentre il Sap chiede di trasformare il Cie di Gradisca in un Cara (Centro di accoglienza per richiedenti asilo), la Lega Nord pretende invece che sia trasformato in car… cere.

Aggiornamento ore 22.00. Con un po’ di impegno, siamo riusciti a trovarvi la documentazione sulla quarta fase: eccovi il gas dei lacrimogeni sparati per sedare i disordini di ieri sera.

Fase 4, la repressione. Il gas in mezzo alle gabbie, la notte del 29 agosto 2010

Saluti al Questore / 2

Un nuovo tentativo di evasione dal Cie di Gradisca, ieri sera. Ancora più partecipato di quello dell’altroieri, più incasinato e più determinato. Purtroppo gli uomini del nuovo questore Piovesana questa volta non si sono fatti cogliere impreparati e hanno represso il movimento sul nascere. Nessuno è riuscito a scappare, e la parola è passata velocemente alla repressione: due degli aspiranti fuggiaschi sono stati ammanettati, picchiati pesantemente di fronte a tutti e portati fuori dal Centro, probabilmente verso il carcere. Tutti gli altri sono stati chiusi nelle camerate, in punizione, e pare che li terranno segregati per una quindicina di giorni.

Saluti al Questore

Il nuovo Questore di Gorizia, insediatosi giusto l’altroieri, aveva dichiarato di voler visitare al più presto il Cie di Gradisca. Per «rendermi conto personalmente della situazione», aveva spiegato ai giornalisti. La visita promessa il Questore non l’ha ancora effettuata ma probabilmente a due giorni di distanza ha già compreso che il Centro sarà uno dei suoi maggiori grattacapi. Già ieri sera, infatti, i reclusi sono saliti in trenta sul tetto ed in tredici, dal tetto, hanno provato il balzo verso la libertà. Secondo alcune agenzie, anche dei materassi sarebbero stati dati alle fiamme. Dei tredici che han provato la fuga, cinque sono stati ripresi, alcuni immediatamente nei dintorni ed uno, secondo la versione fornita nelle ore successive dalla Questura, nei pressi della stazione ferroviaria che sta giusto di là del l’Isonzo. Otto, invece, sono uccel di bosco. Da parte loro, anche i poliziotti di guardia al Centro han voluto dimostrare al Questore di che pasta sono fatti: non certo saltando verso la libertà, ovviamente, ma massacrando di botte uno dei reclusi che ci hanno provato.

Aggiornamento ore 22.00. Una bella gatta da pelare, per il nuovo Questore di Gorizia: il Cie, di nuovo stasera, è in fiamme. Un’altra rivolta, grossa, è in corso. A presto aggiornamenti.

Leggimi in lingua francese.

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Il neo Questore di Firenze

Firenze, 28 agosto 2010“Io fatto il capozona di frontiera nel ’98 e da allora penso sempre la stessa cosa. L’Italia, purtroppo, ha belle coste, da un punto di vista, e dall’altro, ha le frontiere polverizzate in migliaia di punti e il punto di concentrazione massima. Non vedo perche’ noi i Cie (centri di identificazione ed espulsione) dobbiamo averli solo in Italia e non per la difesa del confine comune di tutti gli Stati che fanno parte di Schengen”. Cosi’ il neo Questore di Firenze, Francesco Zonno, che stamane ha rivolto il saluto alla stampa, ha risposto ai giornalisti che gli domandavano cosa ne pensasse in merito all’ipotesi di un centro in Toscana. ” Questo – ha sottolineato – e’ un mio pensiero personale. I centri immigrati non dovrebbero sorgere solo, per esempio, a Campi Bisenzio, ma dovrebbero essere creati piano piano in tutta l’area delle nazioni che hanno un confine comune. Noi abbiamo un confine che protegge anche gli altri Stati della Comunita’ europea”. Quanto all’azione contro l’immigrazione clandestina “va esercitata giorno per giorno con tutte le forze in campo: e’ una situazione di autodifesa per cui enucleare coloro i quali sono clandestini e sono qui allo sbando creando problematiche di vario genere, a fronte di quelli che sono qui regolari e che si stanno avviando ad un’integrazione che mi pare piu’ che auspicabile”. Il questore ha poi ripercorso il suo passato: “Io ho precedenti di capo zona di frontiera, ho fatto per due anni a Udine la frontiera di nord-est, a Lecce come questore avevo gli sbarchi degli albanesi, qui a Firenze c’e’ una confluenza di immigrazione clandestina che ci arriva da piu’ parti. Pero’ l’azione sul territorio verra’ fatta costantemente. Ci sono delle statistiche che i nostri provvedimenti di espulsione e di accompagnamento ai Centri di immigrati sono gia’ numeri notevoli. Le nostre regole, la nostra legge e’ quella e la porteremo avanti”.

(AGI)

Carceri: Garante Lazio, al lavoro per difendere il diritto alla paga

Roma, 25 agosto 2010 ”Al lavoro per risolvere il problema”. Lo ha detto il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, cui si sono rivolti diversi ospiti del Centro di Espulsione e Identificazione di Ponte Galeria dopo l”’assurdo caso burocratico” che li ha visti protagonisti.
Espulsi perche’ clandestini, gli ex detenuti lavoranti del Cie di Ponte Galeria non hanno potuto riscuotere i compensi per il lavoro svolto.
Quando dal Cie lo straniero chiede il pagamento delle ultime spettanze per il lavoro svolto in carcere, si legge in una nota del Garante, la Direzione dell’Istituto di provenienza spedisce rapidamente all’ex lavorante un assegno non trasferibile da ritirare all’Ufficio postale di Ponte Galeria. Il problema e’ che l’assegno non puo’ essere riscosso che dall’immigrato, impossibilitato a uscire liberamente dal Cie; per farlo avrebbe bisogno di una scorta e, soprattutto, di un documento di identita’ che non possiede perche’ clandestino e che invece aveva quando era in carcere.
L’alternativa e’ quella di delegare alla riscossione il Direttore del Cie ma senza documento anche questa e’ impercorribile. Quindi, molti assegni non vengono incassati dai legittimi titolari e rientrano nelle casse del Ministero di Giustizia.
”Abbiamo posto il problema al carcere di Rebibbia – ha detto Marroni – e il direttore e’ stato disponibile a prevedere una metodologia diversa per garantire il diritto agli ex detenuti a riscuotere la paga, accordandosi con la Coop che gestisce il Cie. Ora occorre trovare una soluzione con le altre 13 carceri della Regione. I Cie sono ambienti estremamente difficili, come dimostrano i casi di questi giorni in tutta Italia, e il mancato rispetto del diritto alla paga potrebbe creare ulteriori tensioni”.

(ASCA)

Troppo pochi

23 agosto. Sorpresa a rubare dei vestitini per bambini all’Oviesse di piazza Carducci, una giovane mamma viene fermata dall’addetto alla vigilanza. Lei si difende e prova a divincolarsi, dando pure qualche graffio al guardione: troppo pochi, evidentemente, perché lui riesce a trattenerla fino all’arrivo della polizia, che la arresta.

Sputi, schiaffoni e bocche chiuse

Si continua a mangiar male dentro al Cie di Gradisca, nonostante le proteste, le petizioni e gli scioperi della fame che vanno e vengono. Tanto male da provocar mezze ribellioni. Come l’altra sera, che il cibo faceva talmente schifo che i reclusi se la sono presa con gli operatori di Connecting People e l’infermiere di turno: insulti, sputi e bottigliette di plastica che volano. Gli operatori, da parte loro, non sanno più che pesci pigliare e un giorno sì e l’altro pure lo passano a far le vittime con i giornalisti. Ai giornalisti, ovviamente, raccontano solo degli schiaffoni che si buscano ogni tanto da qualche recluso ma non raccontano perché mai i reclusi ogni tanto glieli diano, questi schiaffoni, né tantomeno raccontano delle bastonate che distribuisce a destra e a manca la polizia: insomma, sulle condizioni concrete di vita nel Centro le loro bocche sono belle chiuse. Da qualche giorno, per esempio, dentro alle gabbie che loro contribuiscono (a volte con scarsi risultati) a tener chiuse c’è un ragazzino, che avrà sì e no sedici anni: ma questo, gli operatori, non l’hanno raccontato a nessuno.

Nomi fasulli

 

 

Milano, 21 agosto 2010 ”Sono 488 – aggiunge De Corato – i clandestini fermati da inizio anno dai vigili, ovvero uno ogni 12 ore. Ma da quando si sono celebrati i primi processi davanti ai giudici di pace lo scorso settembre per il reato di immigrazione clandestina, le espulsioni procedono col contagocce. Va peraltro fatto notare che ci sono Paesi, come il Brasile, che collaborano scarsamente ai rimpatri. E che sono gli stessi clandestini a ostacolarli. Perche’ in assenza di documenti, danno nomi fasulli: una volta si dichiarano egiziani, poi pachistani, quindi palestinesi”.
“E se il ‘pacchetto sicurezza’ ha prolungato a 180 giorni la permanenza nei Cie e’ anche per rispondere all’escamotage degli ‘alias’. Un altro ostacolo e’ poi il fatto che il clandestino ha spesso in corso procedimenti penali per altri reati. E pertanto non puo’ essere espulso fino a quando non si sia concluso almeno il primo grado di giudizio. Una beffa, alla fine gli diamo una sorta di permesso di soggiorno a tempo determinato. Che a causa delle lungaggini della giustizia diventa una mezza sanatoria”.
“Come ha anche suggerito il sindaco Moratti -sottolinea De Corato – e’ necessaria una modifica della normativa in modo da rimpatriare immediatamente chi ha gia’ commesso reati che destano allarme sociale, scippi, furti, rapine, spaccio, lesioni, resistenza, liti, violenze sessuali”.

(Adnkronos)