Regali dal prefetto

20 giugno. Si chiama “Accordo per la sicurezza e lo sviluppo della città di Torino” ed è stato redatto dal prefetto della città, nonché inviato a Roma per valutare la possibilità che il governo ne finanzi almeno una parte. Un progetto che prevede il coinvolgimento di varie realtà territoriali e che parte dall’ormai famigerato incremento della videosorveglianza nei quartieri, con sgravi fiscali IMU e TASI per i commercianti che aderiranno. L’obiettivo è dispiegare l’intero piano entro le ATP Finals del 2021. Centrale sarà il ruolo delle Circoscrizioni, protagoniste dei «tavoli di osservazione» con associazioni, comitati di zona, forze dell’ordine e gli stessi dirigenti prefettizi. Gli obiettivi sono svariati, da definire gli orari per la vendita di alcolici a un controllo attento dell’abusivismo commerciale; dalla “tutela del patrimonio immobiliare” per scongiurare le occupazioni, al porre limiti alle “locazioni sconsiderate” sopratutto nelle zone ad alta densità di immigrati. Insomma, la guerra alla povertà e ai poveri continua a spron battuto.

Asinelli e gru

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Le parole di Silvia e Anna hanno risuonato nelle radio locali, si sono imposte negli uffici di chi amministra la reclusione, hanno vibrato in una chiesa come sul palco di uno dei tanti grandi eventi disseminati nelle città, sono state scritte su parecchi muri e appese ai cavalcavia. Ieri però hanno scavalcato le mura di cinta del carcere de L’Aquila per posarsi poco più in là, sopra una gru nel cuore storico della città in estenuante ricostruzione, dove quattro compagni sono saliti e hanno affisso un lungo striscione nero:”CHIUDERE L’AS2 DI L’AQUILA!”

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18 giorni

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15 giugno. Calato uno striscione in Piazza Castello, sopra un’impalcatura montata davanti alla facciata di un palazzo, in occasione del diciottesimo giorno di sciopero della fame di Silvia e Anna.

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NOTE A PARTIRE DALL’OPERAZIONE SCINTILLA

Dopo mesi concitati, nel tentativo di dare una degna risposta allo sgombero dell’Asilo e all’arresto di sei compagni e compagne, nel tentativo di mantenere viva la voglia di lottare in questa città, ci prendiamo ora il tempo di fare alcuni ragionamenti su questo teorema inquisitorio partorito dalla Questura, fatto proprio dalla Procura e avvallato da una GIP. Un teorema che per il momento non ha retto il primo impatto con il Tribunale del Riesame, dopo tre mesi sono infatti usciti dal carcere cinque compagni, ma che costringe ancora Silvia tra quelle mura e in condizioni di detenzione particolarmente afflittive.

A indagini ancora aperte vale la pena spendere sopra queste carte qualche parola, tra le altre cose perché contiene alcune indicazioni che sono il segno dei tempi su come costringere certi anarchici al silenzio, seppur non del tutto nuove. Già quindici anni fa infatti si poteva leggere in un libretto, dal titolo ‘L’anarchismo al bando’, di come le strategie repressive mirassero a “togliere agli anarchici ogni possibilità di agire in gruppi di più persone articolando anche alla luce del sole il loro intervento, proprio in quanto finalizzato all’insurrezione generalizzata”.

Questo lavoro di analisi uscirà a puntate, una alla settimana, che si concentreranno su alcune specificità dell’operazione Scintilla e della lotta contro i Centri di detenzione per immigrati. A scriverle sono alcuni compagni, alcuni imputati e indagati in quest’inchiesta, altri no, che nel corso degli anni si sono battuti contro la detenzione amministrativa.

Nelle strade, oltre le mura 

L’operazione giudiziaria del 7 febbraio si è articolata su due piani. Da un lato l’arresto di sei compagni nell’ambito dell’operazione Scintilla, dall’altro lo sgombero dell’Asilo.

Binari che non sono scorsi in parallelo. A livello mediatico, in buona parte, lo sgombero è stato giustificato dalle autorità cittadine, sindaca Appendino in testa, perché l’Asilo era un covo di sovversivi, nel tentativo di provare a far terra bruciata attorno ai compagni arrestati e a tutti quelli che frequentavano via Alessandria 12. A livello politico intrecciare i due piani è certamente stato d’aiuto nel giustificare un dispositivo militare mai visto per lo sgombero di un’occupazione: sia come numero di uomini e mezzi impiegati – parliamo di un centinaio di camionette al giorno che si sono turnate per i primi venti giorni, per poi continuare con numeri inferiori, ma comunque notevoli, per un altro mese abbondante-; sia per le modalità – il quartiere di Aurora ha subito una vera e propria occupazione militare, con strade chiuse e check point che per diverse settimane hanno stravolto la vita di tanti abitanti del quartiere, costringendoli a farsi identificare ogni volta che entravano e uscivano di casa-.

Di questo sgombero e dell’Asilo si è molto parlato nei giorni e nelle settimane successive. Ne hanno parlato in tanti, dai vertici cittadini dell’Amministrazione e della Questura ai pennivendoli della carta stampata e delle televisioni, dagli abitanti ai commercianti di Aurora. Fino ad arrivare a professori e studenti dell’Università e ai tanti solidali con cui abbiamo condiviso cortei, iniziative, assemblee e chiacchierate che con ritmo praticamente quotidiano si sono succeduti a partire dal 9 febbraio.
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Pneumatici in fiamme

14 giugno. I vigili del fuoco sono accorsi questa mattina in corso Regina per sedare l’incendio di alcuni pneumatici posizionati in mezzo alla strada. Il blocco è stato fatto in solidarietà con Silvia e Anna, come si deduce da una scritta lasciata sull’asfalto.

Da L’Aquila a Radio Città del Capo

Dopo Milano anche a Bologna risuonano le parole di Anna e Silvia e del loro sciopero della fame attraverso le frequenze in FM. Riportiamo qui di seguito le parole di chi si è intrufolato negli studios di Radio Città del Capo:

Il 12 giugno tra le 19 e le 19.30 un gruppo di compagne e compagni ha occupato le frequenze di Radio Città del Capo di Bologna (network di radio popolare) con estrema facilità: le trasmissioni sono state coperte con la lettura negli studi della radio della dichiarazione di inizio dello sciopero della fame di Silvia e Anna, sciopero a cui hanno aderito anche Stecco, Alfredo, Marco, Giovanni, Ghespe e Leo per chiedere la chiusura della sezione As2 del carcere de L’Aquila e il trasferimento delle compagne. Sono stati sparsi volantini negli e successivamente è stata chiamata la redazione di Radio Popolare di Milano per comunicare questa occupazione e farne dare notizia.

SPIONI!

Le voci che dal presidio, tenutosi sotto le mura del carcere di Cuneo, sabato 8 giugno, nell’ambito della campagna contro il 41bis, hanno dato animo ai detenuti non sono state ascoltate solo dalle orecchie attente dei reclusi ma anche da quelle mai distratte dello Stato.

Spostando delle lose da un muretto che costeggia il sentierino, nel punto più vicino alle sezioni in 41bis, in cui abitualmente i presidianti sistemano l’impianto, un compagno attento ha notato uno strano pacchetto avvolto in un sacco di plastica nero. Al suo interno è stato trovato un dispositivo di registrazione per immagini e suoni (formato da un monitor e uno slot per schede SD), una powerbank, un microfono e una telecamera nascosta dietro a una pietra a cui era stato praticato un foro.

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Appuntamenti

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Ecco due appuntamenti per venerdì 14 giugno per continuare a sostenere chi sta lottando dentro le quattro mura del carcere.

Silvia sarà di nuovo presente, proiettata su uno schermo, durante un’udienza al Tribunale di Torino. L’ultima volta che l’abbiamo “vista”, il 29 maggio, dopo aver annunciato l’inizio dello sciopero della fame ha salutato le persone accorse in aula. Questo saluto ha permesso alla polizia penitenziaria di muovere contro di lei un rapporto disciplinare. Secondo le guardie, Silvia non avrebbe rispettato la disciplina comportamentale richiesta in udienza, salutando i compagni e gli amici li avrebbe incitati a far chiasso. Quindi, è ancora più opportuno andarla a salutare e sostenere in aula, nonostante la distanza imposta dalla videoconferenza.

L’appuntamento è per venerdì 14 Giugno, alle ore 9, in aula 7 del Palagiustizia di Torino.

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Contro correnti avverse

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Sono passati tredici giorni dall’annuncio dell’inizio dello sciopero della fame di Silvia e Anna, parecchie cose sono successe. A proprio modo ognuno ha fatto il suo, altri compagni detenuti si sono aggiunti al digiuno di protesta e la maggior parte di loro sta continuando al fianco di Silvia e Anna.

Nel carcere de L’Aquila le ragazze sono state convocate dall’ispettrice che ha consigliato loro vivamente di smettere lo sciopero, perché così si sarebbero arrecate danno alla salute. Questo tentativo di persuasione ha fortificato la tenacia e la determinazione nel continuare. L’amministrazione carceraria ha, inoltre, risposto picche alla richiesta di Silvia e Anna di usufruire dell’ora di socialità prandiale nonostante il digiuno.

Fuori i messaggi di solidarietà continuano ad apparire giorno dopo giorno. La giornata di venerdì ha disseminato presidi davanti agli uffici del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria in giro per l’Italia, presidi che hanno avuto il merito di indicare i responsabili dell’organizzazione della sofferenza dei detenuti. A Bologna un gruppo di compagni e compagne ha interrotto il silenzio della biblioteca “Sala Borsa” dove era esposta una mostra dal titolo Ri#Belle sul tema donne e carcere. Nei giorni prima altri interventi hanno dato utili indicazioni, ci sono state scritte e imbrattamenti su negozi delle compagnie telefoniche che hanno in appalto la gestione del sistema di videoconferenza che “porta” i detenuti a processo, a Trento c’è stato un blocco stradale alla faccia di questi tempi bui in cui si rischia di essere accusati per aver buttato una cartaccia per terra. Si è preso di mira chi porta il lavoro dentro le mura del carcere pagando due spicci i detenuti, differenziandoli e mettendoli in concorrenza l’uno tra l’altro.

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Inseguendo la chimera pt.3

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NOTE A PARTIRE DALL’OPERAZIONE SCINTILLA

Dopo mesi concitati, nel tentativo di dare una degna risposta allo sgombero dell’Asilo e all’arresto di sei compagni e compagne, nel tentativo di mantenere viva la voglia di lottare in questa città, ci prendiamo ora il tempo di fare alcuni ragionamenti su questo teorema inquisitorio partorito dalla Questura, fatto proprio dalla Procura e avvallato da una GIP. Un teorema che per il momento non ha retto il primo impatto con il Tribunale del Riesame, dopo tre mesi sono infatti usciti dal carcere cinque compagni, ma che costringe ancora Silvia tra quelle mura e in condizioni di detenzione particolarmente afflittive.

A indagini ancora aperte vale la pena spendere sopra queste carte qualche parola, tra le altre cose perché contiene alcune indicazioni che sono il segno dei tempi su come costringere certi anarchici al silenzio, seppur non del tutto nuove. Già quindici anni fa infatti si poteva leggere in un libretto, dal titolo ‘L’anarchismo al bando’, di come le strategie repressive mirassero a “togliere agli anarchici ogni possibilità di agire in gruppi di più persone articolando anche alla luce del sole il loro intervento, proprio in quanto finalizzato all’insurrezione generalizzata”.

Questo lavoro di analisi uscirà a puntate, una alla settimana, che si concentreranno su alcune specificità dell’operazione Scintilla e della lotta contro i Centri di detenzione per immigrati. A scriverle sono alcuni compagni, alcuni imputati e indagati in quest’inchiesta, altri no, che nel corso degli anni si sono battuti contro la detenzione amministrativa.


Segugi e alchimisti

A voler sviscerare nel dettaglio le strategie repressive della controparte, capire cosa pensa ed entro quali confini tenta sempre più di rinchiuderci, non possiamo esimerci dall’intraprendere una prima disamina del modo in cui queste strategie vengono poste in atto. Addentriamoci dunque nel tunnel della tecnica repressiva e degli strumenti più o meno raffinati che porta con sé, dando un primo sguardo ai sessantasei gigabyte di faldoni che hanno accompagnato l’ordinanza di custodia cautelare.

A chi si è trovato a spulciare questa mole di dati è saltata subito all’occhio una prassi oramai consolidata da parte delle forze di polizia e già vista in altre vicende processuali: raccogliere migliaia e migliaia di pagine di intercettazioni. Si parla di almeno quattro anni di intercettazioni, principalmente effettuate sulle utenze telefoniche di singole compagne e compagni, sul telefono delle espulsioni, oltre a quelle ambientali dell’occupazione di c.so Giulio Cesare. Un orecchio indiscreto è stato poi introdotto nell’abitazione privata di una ragazza in cui, secondo la Digos, avrebbe vissuto per un periodo uno dei compagni imputati, cosa che invece non è mai successa, mostrando quindi quanto basti una semplice supposizione per autorizzare a ficcare il naso negli affari di persone non solo non indagate ma anche non così centrali nelle reti di relazioni e rapporti dei compagni e delle compagne imputate. Per l’occasione è stato persino scomodato un fabbro da Roma per scassinare e fare le copie delle chiavi dell’appartamento, senza contare che le microspie (per non sbagliare) sono state lasciate in casa pronte ad essere attivate all’occorrenza, anche se la Digos aveva espressamente richiesto all’epoca di stoppare l’intercettazione perché non era stato rilevato materiale utile in senso probatorio. Risultano infine registrati anche i colloqui nel C.P.R. tra un recluso e una compagna.

Sappiamo già come le indagini per reati associativi o con finalità di terrorismo servano anche a garantire un monitoraggio costante su gruppi di compagni e su tutto ciò che gli ruota attorno. Ma in questo caso spicca con particolare evidenza come il mezzo, per il semplice fatto di essere utilizzato, contribuisca alla costruzione di ciò che dovrebbe soltanto monitorare. Non è un caso quindi che le intercettazioni vengano usate non solo per tentar di scoprire la paternità di azioni notturne o anonime, ma sopratutto per ricostruire reti di relazioni, iniziative ed episodi che nessuno ha mai avuto particolare interesse a nascondere. “I servizi tecnici hanno consentito di riscontare…”, ricorre costantemente nelle pagine degli inquirenti in relazione alla paternità di opuscoli e articoli discussi nelle più svariate situazioni pubbliche, a partire dal noto I Cieli Bruciano. Origliare le conversazioni per scoprire chi amministrava la pagina Facebook No Cie, chi scriveva sul blog Macerie, chi comprava i fuochi artificiali per i saluti e le iniziative, ammantando di un’aurea di clandestinità tutta quella parte di lotta allargata e condivisa tra tante persone ostili alla macchina delle espulsioni. Come se dicessero “erano un’associazione sovversiva perché abbiamo dovuto spiarli per scoprirlo”.

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