Ve lo ricordate Mamadou, il ragazzo senegalese che all’inizio di maggio era riuscito a perdere l’aereo della deportazione, finendo in carcere e poi di nuovo dentro al Cie di via Corelli? Ebbene, questa mattina, con la scusa di un foglio da firmare, lo hanno preso da dentro al Centro e lo hanno riportato a Malpensa dove, legato ed imbavagliato, è stato fatto salire sull’aereo. Questa innocente “precauzione” dei funzionari di polizia che lo accompagnavano, però, ha sortito l’effetto contrario di quanto desiderato: il comandante dell’aereo, vedendolo così impacchettato, si è rifiutato di accettarlo a bordo ed ora Mamadou, che ha fatto un bel casino una volta che si sono decisi a liberarlo da lacci e bavagli, è di nuovo in via Corelli.
Aggiornamento ore 18,30. E finalmente siamo riusciti a trovarlo, Mamadou, per farci raccontare di prima mano questo suo ultimo viaggio mancato, come avevamo fatto qualche tempo fa con il primo. L’avevano impacchettato per bene, ieri, ma in realtà non l’avevano imbavagliato: ed è per questo che è riuscito a farsi sentire dal pilota, convincendolo a non farlo partire. Ne ha guadagnato un po’ di schiaffi e di calci, ma questa volta non l’hanno arrestato.
Ascolta il suo racconto:
[audio:http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/mamadou1.mp3]
25 maggio. Mentre era in corso l’udienza del Tribunale del riesame per gli arrestati del 12 maggio, una quindicina di compagni e solidali ha dato via ad un mini-corteo dentro l’atrio della Ufficio Immigrazione della Questura di Torino, in corso Verona. Davanti ai moltissimi immigrati in coda per ottenere o rinnovare il permesso di soggiorno, i manifestanti hanno sfilato dietro uno striscione con la scritta “Basta espulsioni!”, megafonando, distribuendo e attacchinando un volantino intitolato “Resistere agli sgomberi, fermare le espulsioni, libertà per gli arrestati!” Insomma un corteo vero e proprio, fin dentro la bocca del lupo. Ma cosa c’entra lo sgombero del Lostile con le espulsioni? Per scoprirlo, leggi il testo del volantino.
<!– @page { margin: 2cm } P { margin-bottom: 0.21cm } –«Domenica 23 maggio era prevista un’assemblea pubblica presso il campo di Via Triboniano.
Convocata dagli abitanti del campo e dal Comitato antirazzista milanese, era intesa a fare un bilancio di quanto accaduto nei giorni precedenti e un’analisi collettiva della situazione apertasi dopo gli scontri di giovedì. I riflettori accesi intorno alla questione Triboniano, l’evidenza dell’arbitraria violenza nella gestione della piazza e lo sbugiardamento delle immancabili menzogne politico-poliziesche, facevano presupporre che l’assemblea sarebbe stata molto partecipata. Lo sapevamo noi e i nostri amici, lo sapevano anche i nostri nemici.
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Questa sera, intorno alle 22,00, un gruppo di reclusi di via Mattei, a Bologna, ha dato fuoco a un po’ di materassi. Sono intervenuti i pompieri a spegnere i roghi, e poi la polizia a far le foto dei danni. Le notizie sono ancora confuse, e non sappiamo quante sezioni siano rimaste coinvolte. Sta il fatto che almeno in una sezione del Centro i prigionieri dormiranno in cortile: dentro alla struttura l’aria è irrespirabile, e di materassi non ce n’è più. A presto dettagli ed aggiornamenti.
Ascolta un frammento dell’intervista su Radio Blackout con uno dei reclusi, che spiega alcuni dei motivi della protesta:
[audio:http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/bologna.mp3]
A soli tre giorni dalla maxi-evasione di 17 clandestini, l’altra notte il copione dietro il muro della ex Polonio si è ripetuto. Questa volta sono riusciti a darsi alla macchia in sette, tutti nordafricani, mentrte 14 sono stati ripresi dalla forze dell’ordine subito allertate. Le modalità più o meno sono sempre le stesse: viene forzata una grata nell’atrio della stanza, si accede al tetto, e da quel punto scavalcare le barriere e fare un volo di quattro metri prima di dileguarsi nella campagna circostante borgo Trevisan è un gioco da ragazzi. Possibile che una struttura costata ai contribuenti 17 milioni di euro sia così vulnerabile? Secondo Angelo Obit, segretario del Sap – il sindacato autonomo di Polizia – la situazione è gravissima. Non bastavano le mille tensioni interne, le continue sommosse, gli operatori della Connecting People tenuti praticamente in ostaggio dai clandestini, la totale anarchia di alcuni padiglioni della struttura. Ora si prospetta un’estate di fughe continue. «Tutti da piccoli abbiamo giocato a guardie e ladri – sorride amaro Obit – ma nessuno di noi pensava, in età adulta, di dover anche rincorrere il clandestino arrampicatore in fuga. È lo sport che sta prendendo piede al Cie. La realtà – prosegue – invece vede una struttura che opera con una riduzione del 36% rispetto alla capienza ufficiale e con i sistemi di sicurezza accecati, con “leggerezze” nella gestione da parte di qualcuno che invece dovrebbe coadiuvare le Forze dell’ordine e con barriere che non si è ancora fatto nulla per rendere invalicabili». (more…)
«Le “Misericordie” le conosco oltremodo bene. Non soltanto perché in una di esse, attualmente, ci lavoro; ma prima di lavorarci, ne sono stato volontario. Fin dal primo giorno della sua esistenza (il 7 novembre 1986, per la cronaca). Per sei anni, dal 1988 al 1994, ho fatto l’interprete e il traduttore per la “Confederazione Nazionale delle Misericordie d’Italia” (che ha sede a Firenze). E chi mi conosce fa un’estrema fatica ad immaginarmi dentro un’associazione del genere, sia come volontario che come dipendente. (more…)
A tre giorni dalla sommossa, la polizia circonda ancora il campo rom di via Triboniano, a Milano. Questa volta il cordone di celerini non serve per tenere i rom lontani dalla città, esclusi ed invisibili. Serve per non fare entrare la città dentro al campo. E già, perché questo pomeriggio era prevista l’assemblea pubblica che avrebbe dovuto fare incontrare i rom in lotta di Triboniano con tutti quelli che, all’esterno dei campi, pensano che la loro lotta sia una lotta importante per tutti, per mille buone ragioni. Del resto il vicesindaco De Corato ieri sera l’aveva annunciato: nessuna assemblea al campo sarebbe stata permessa. E pure Maroni ci aveva messo del suo, sostenendo da Varese che rom e rivolta sono un binomio assolutamente «intollerabile».
E così, questo pomeriggio, chi voleva entrare in via Triboniano ha trovato la polizia schierata: spintoni e urla. Ma il campo ha mille entrate e qualcuno riesce a passare, e poi oramai questo è territorio amico per gli antirazzisti: le porte si aprono silenziose per accoglierli mentre mille occhi controllano i movimenti degli agenti in borghese che girano coi binocoli in mano e perquisiscono persino i cessi per trovare e cacciare i solidali. I veri intrusi nel campo sono loro, i poliziotti, che ripetono senza apparente vergogna un copione scritto settant’anni fa e mai definitivamente stracciato. Anche se riescono ad impedire una assemblea pubblica, non riescono a far fallire questo incontro: furtivo e quasi clandestino, ma che chiarisce fino in fondo chi sta con chi e chi invece è contro tutti.
Ascolta il racconto di Giuliano a Radio Blackout, mentre se ne sta nascosto tra le baracche protetto dagli abitanti del campo:
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Siamo sicuri che nuove svolte da questo fronte caldissimo di lotta arriveranno presto, e ve le segnaleremo. Per ora sappiate che la notizia che circola da ieri che ci sia un accordo già siglato con gli abitanti del campo è una panzana messa in giro dal Comune per far calmare gli animi e per cercare in tutti i modi di far rientrare in pista gli uomini della “Casa della Carità” di Don Colmegna, in questi giorni sempre più all’angolo. Di sicuro sembra esserci solo che lo sgombero sarà rimandato di sei mesi: e questo dimostra che prendersi a legnate con la polizia a qualcosa serve. Domani ci sarà un incontro con le autorità, e i delegati del campo faranno su e giù per ascoltar le proposte dell’Amministrazione e riferirle ai loro vicini di casa per decidere tutti assieme.
Ascolta il racconto di Giuliano a Radio Blackout, quando oramai è uscito da Triboniano:
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«Ha voluto imitare il disperato gesto messo in atto pochi giorni prima in provincia di Bologna da una immigrata: un afghano ospitato nel Centro di permanenza temporanea (Cpt) di Restinco, alle porte di Brindisi ha preso ago e filo e si è cucito le labbra.
Non solo. Dopo essere stato ricoverato presso l’ospedale ‘Perrino’ di Brindisi dove gli sono state scucite le labbra e medicate le ferite, l’uomo è tornato al Cpt ed ha nuovamente riproposto il gesto. Nuovamente riaccompagnato in ospedale, è stato curato e rimane sotto osservazione per ricovero coatto.
L’atto di autolesionismo vuole essere una forma di protesta verso che le autorità che non avrebbero concesso all’uomo di mettersi in contatto telefonicamente con la famiglia.»
Da Brundisium.net
Firenze, 23 maggio 2010 – “Esprimo la mia più completa solidarietà alla Misericordia di Rifredi per quanto è successo ieri. Si è trattato di un attacco vigliacco effettuato da persone che non hanno niente a che vedere con la nostra società”.
Esordisce così l’eurodeputato della Lega Nord, Claudio Morganti.
“Purtroppo – prosegue il segretario nazionale del Carroccio toscano – qualcuno ha messo in pratica il detto ‘sparare sulla Croce Rossa’ perché è assolutamente da vigliacchi colpire chi quotidianamente aiuta il prossimo, gli anziani e tutti coloro che hanno bisogno. Queste persone vili se la rifanno sempre coi più deboli e a questo giro hanno colpito chi si impegna volontariamente ad aiutare gli anziani, le famiglie, le persone in difficoltà”.
“Condanniamo fermamente – continua l’eurodeputato leghista – questo episodio e ci auguriamo che i responsabili di questo vile gesto vengano intercettati e che vengano colpiti da pene esemplari”.
“Questi vigliacchi – conclude l’onorevole Morganti – si devono mettere l’animo in pace perché il Cie in Toscana si farà. I clandestini devono tornare a casa loro e l’unico strumento essenziale per farlo è il Cie”.
(novefirenze)
Bari, 28 maggio 2010 – Potrebbe chiamarsi Nouader Nabr Eddine, o Abib Musarof, oppure Moustafà Moustafà, o ancora Mahabi Habib, Abib Musotfue, Habib Alì, ma, per la Polizia italiana è ‘01EN6AT’. Questo il Codice Unico Individuo di colui che è stato battezzato, dalle forze dell’ordine, ‘L’uomo dai mille volti’. Era lui che, fino all’11 maggio scorso, armato della sua valigia, rigorosamente vuota, derubava, di qualsiasi cosa, i viaggiatori dei treni italiani.
Di quest’uomo non si sa nulla. Potrebbe avere 45 anni come potrebbe essere di nazionalità algerina ma una sola cosa è certa: è l’autore di numerosi furti dal 1994 a oggi. Tutte le volte che veniva arrestato e portato nei vari Cie italiani, dopo 2 mesi tornava in libertà a riprendeva la sua ‘professione’.
La sua ‘avventura’, senza nome e senza identità, è finita a Potenza, durante controlli della Polizia Ferroviaria. Qui, l’11 maggio scorso, era a bordo del treno che collega il capoluogo potentino a Salerno. Gli agenti sul convoglio, impiegati negli ultimi tempi in attività di identificazione a tappeto, hanno chiesto i documenti all’uomo che ha dato loro il suo codice fiscale. Quando i poliziotti gli hanno chiesto la data di nascita, il presunto 45enne ha tentennato: “E’ normale questa reazione – spiegano i vertici baresi della Polfer – proprio perchè, avendo più identità poteva anche dimenticare la data di nascita relativa al nome”. E poi, c’era quella sospetta valigia, sempre vuota.
Fatto scendere dal treno e portato in questura, è finito nel carcere di Potenza mentre le analisi della polizia andavano avanti tanto che, entro 20 ore, il prefetto lucano ha notificato il decreto di espulsione e avviso orale.
Dal carcere lucano, quindi al Cie di Bari dove il fascicolo è passato nella mani della Polfer. Da questo momento in poi sono scattate le indagini che hanno condotto all’arresto definitivo. Dopo un accurato controllo incrociato tra i dati del Ministero dell’Interno, le impronte digitali e fotodattiloscopiche, e gli elementi elencati nel Casellario Giudiziale (ben 6 pagine), gli agenti hanno scoperto che al presunto 45enne erano attribuibili oltre 48 identità, tutte diverse. Poi hanno accertato che vi era, a carico di uno dei nomi a lui attribuibili, un decreto di espulsione emesso dal Tribunale di La Spezia ma non eseguito. Così è stato scoperto che aveva maturato un debito con la giustizia pari a 7 anni di reclusione (per reati che vanno dal furto alla rapina passando anche per la detenzione e lo spaccio di droga) e oltre 10mila euro di multe.
Dal 1994, era sempre riuscito a evitare l’espulsione continuando a vivere, ovviamente senza fissa dimora, di espedienti vari sul territorio nazionale: da Nola, nel Napoletano, a La Spezia, passando da Bologna e Caserta, Rimini, Riva del Garda (in provincia di Trento), Napoli e San Giorgio a Cremano fino a Pistoia. Secondo gli inquirenti, quindi, “aveva maturato un vero e proprio metodo di lunga sopravvivenza criminale”. E pensare che la sua prima condanna risale al marzo 1996.
Ora il presunto algerino è rinchiuso nelle patrie galere di Bari, in attesa di scontare tutto il debito accumulato in questi 16 anni di latitanza e di viaggi ‘gratis’ sui treni di mezza Italia.
(barisera)