Ancora una evasione dal Cie di Gradisca. Questo pomeriggio ci hanno provato in nove, ma due sono stati subito ripresi, rimessi nelle celle e picchiati pesantemente. Degli altri sette invece, per ora, non ci sono notizie: è possibile dunque che siano riusciti ad allontanarsi e che ora siano liberi. Come ricorderete, l’ultima evasione da Gradisca è stata solo due giorni fa ed ha avuto come protagonisti i responsabili di Connecting People, il consorzio di cooperative che gestisce il Centro: per punire un gruppo reclusi troppo irrequieti, infatti, gli operatori ne avevano stipati 40 in una cella da 8 e questi, con la forza data dalla rabbia e anche dal numero, erano riusciti a sfondare una grata ed arrampicarsi sul tetto verso l’uscita.
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L’altro giorno, camminando lungo il fondo di corso San Maurizio – proprio dove si unisce a corso Regina Margherita e dove più folto è il passaggio dei pellegrini giunti a Torino a visitar la Sindone – abbiamo trovato a terra alcuni volantini. Ecco quello meno stropicciato, scansito e pubblicato per i nostri lettori…
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Tre punti con ago e filo da labbro inferiore a superiore, per protestare contro il rigetto della sua richiesta d’asilo in Italia. Amina (il nome è di fantasia, ndr), 34 anni di cui otto passati nel nostro Paese, viene dalla Tunisia e in Libia ha un bimbo piccolo cui, ogni mese, manda con fatica un po’ di soldi. Suo figlio è nato al di fuori di una “regolare” unione. Ed ora che la giovane donna, ospite forzata del Centro per identificazione ed espulsione degli immigrati senza documenti di Bologna, rischia da un momento all’altro di essere rispedita in Nordafrica, Amina teme che la famiglia le faccia pagare con la vita quel figlio dello scandalo. Per questo giovedì pomeriggio, appena saputo del rigetto, la ragazza ha preso ago e filo e si è cucita la bocca, nel bagno di uno degli stanzoni comuni del settore femminile, all’ex caserma di via Mattei. È stata un’immigrata dal suo stesso destino a dare l’allarme agli operatori della Misericordia, che gestiscono il centro. Ma la donna, accompagnata al Policlinico Sant’Orsola per una visita fisica e psichiatrica, non ha voluto in nessun modo farsi toccare. Da giovedì quindi Amina, trattenuta al Cie dal 30 marzo scorso, non mangia e non beve. Né ha alcuna speranza, dice, di poter ricorrere contro la decisione di rigetto della richiesta d’asilo: il poco denaro messo da parte in Italia le serve per mantenere in Libia il suo bambino. Per questo la donna chiede di parlare direttamente con chi ha valutato la sua posizione. E intanto, ad occuparsi di lei sono i medici del Cie e gli psicologi del Progetto sociale.
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Tre racconti degli avvenimenti di Triboniano di ieri. Il primo trasmesso da Radio Onda Rossa proprio nel mezzo del casino, e gli altri due a bocce ferme questa mattina da Radio Blackout di Torino.
Quel che ne viene fuori non è tanto la sistematica crudeltà dei poliziotti e degli assessori meneghini, elemento questo già conosciuto, quanto la difficoltà delle istituzioni a soffocare la resistenza dei rom di Triboniano: resistenza alla “soluzione finale” pensata in Municipio; resistenza alle pressioni dei grossi gruppi imprenditoriali che vorrebbero speculare su quell’area; resistenza al “patto per la legalità” di chi vorrebbe gestire i campi; resistenza a chi vorrebbe dividere gli abitanti in lotta e separarli dai solidali – resistenza al “pacchetto sicurezza” e all’aria che tira, che di questi tempi è pesante.
Ascolta Fabio, che parla tra le cariche a Radio Onda Rossa:
[audio:http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/100520-milano1119.mp3]
E poi Stefania, il giorno dopo:
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E poi ancora Fabio, che dettaglia il racconto e fa qualche valutazione:
[audio:http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/triboniano-il-giorno-dopo.mp3]
Dai una occhiata a questa piccola rassegna stampa: Milano, guerriglia al campo Rom Negato il corteo, i Rom insorgono Guerriglia al campo nomadi Guerriglia urbana al campo rom I rom hanno cacciato noi volontari da via Triboniano
E leggi il report fatto circolare dal Comitato antirazzista milanese, sempre presente al campo di Triboniano.
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GRADISCA. Rinchiusi in 40 in una stanza da otto, sono riusciti a fuggire dal Cie. È iniziata così la seconda evasione di massa dalla struttura per immigrati in appena due settimane. L’episodio si è verificato nella notte fra mercoledì e giovedì, attorno alle 3. Ancora una volta gli immigrati rinchiusi nel Cie – in larga parte tunisini – sono riusciti ad arrampicarsi sul tetto del complesso e a tentare la fuga lanciandosi oltre il muro di cinta, nel vuoto, da oltre 4 metri d’altezza: questa volta è andata bene a 17 di loro, riusciti a far perdere rapidamente le proprie tracce nella campagna circostante avvolta dall’oscurità. Le ricerche che ne sono seguite non hanno prodotto risultati. Più o meno altrettanti, 19, sono stati invece immediatamente ripresi dalle forze dell’ordine.
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«In un centro di detenzione per immigrati molti stranieri sono in sciopero della fame da più di una settimana per protestare contro la reclusione forzata e per chiedere chiarezza sulla morte di un prigioniero africano. Circa 70 detenuti – molti dei quali pakistani e cingalesi – rifiutano il cibo dal 10 di maggio, e secondo i solidali da fuori, anche per denunciare i suicidi di due reclusi, uno brasiliano e uno sudcoreano.
La protesta è montata all’indomani della visita di un inviato delle Nazioni Unite, Jorge Bustamante, che in Marzo aveva espresso preoccupazione sulla detenzione spesso pluriennale subita dagli immigrati irregolari (tra cui genitori con bambini e richiedenti asilo rifiutati).
Circa il Centro per Immigrati del Giappone Orientale a Ushiku, a nordest di Tokyo. Kimiko Tanaka, membro di un gruppo locale di diritti umani, sostiene che “i detenuti soffrono di disturbi mentali a causa di una detenzione così lunga”. In Giappone le politiche d’immigrazione sono rigidissime e l’anno scorso, a dispetto degli aiuti versati oltremare per i rifugiati, ha concesso asilo politico soltanto a 30 richiedenti.
Attivisti dei diritti umani, avvocati e comunità straniere protestano da anni contro le condizioni di Ushiko e di altri due centri del genere, nella prefettura Osaka e nella prefettura di Nagasaki.
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Scontri, lacrimogeni e resistenza al campo Rom di via Triboniano, dopo le barricate della settimana passata. La cronaca parziale della giornata, arrivataci da alcuni compagni del Comitato antirazzista milanese.
Ore 16: circa 300 rom si avviano a piedi per prendere il tram 14 e recarsi al presidio indetto per le 18 sotto Palazzo Marino. L’obiettivo del presidio era semplicemente quello di comunicare alle autorità cittadine la piattaforma rivendicativa degli abitanti (che pubblichiamo qui sotto). Una proposta di accordo che, se accettata avrebbe significato l’abbandono volontario del campo sotto sgombero. Ma percorsi neanche 200 metri uno sbarramento di Polizia bloccava la strada e con fare arrogante intimava ai rom di tornare indietro perchè la manifestazione non era autorizzata (falso! dato che erano stati presi accordi precisi con la Digos) e spingendo affinché i rom facessero una delegazione di sette persone per andare ad incontrare l’assessore Mojoli. I rom rifiutano la proposta e al primo accenno di proseguire vero il capolinea del 14 parte la prima carica. Come al solito le donne in prima fila, come al solito le vittime non possono combattere: una bambina di due anni ne esce con la faccia segnata dal manganello degli sbirri e parecchie caviglie risultano gonfiate dai calci.
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Udienza di fronte al Tribunale della Libertà, martedì prossimo, per Luca, Luigi e Davide, arrestati per gli scontri seguiti allo sgombero de Lostile di corso Vercelli del 10 dicembre scorso. Eccovi una cartolina da scaricare e stampare (in fronte e in retro), per esser loro più vicini. (more…)
Napoli, 20 maggio 2010 – Diciotto antirazzisti napoletani hanno ricevuto un avviso di garanzia per «adunata sediziosa» e «resistenza aggravata», articoli 655, 337 e 339 del codice penale. Le denunce sono state emesse per le contestazioni avvenute nel quartiere Gianturco di Napoli a seguito dell’irregolare trasferimento al Cie di Brindisi attuato dalla Polizia per alcuni migranti minorenni presenti tra i 9 richiedenti asilo trovati sul mercantile “Vera D” nell’aprile scorso. Quella sera una cinquantina di persone, tra cui il comboniano Alex Zanotelli, si riunirono all’esterno dell’ufficio stranieri con l’intenzione di impedire l’uscita della volanti con dentro i migranti.
Gli antirazzisti sorridono all’accusa di “adunata sediziosa”, «ma dove l’hanno ripescata?», si domandano. In un comunicato gli attivisti spiegano di essere stati denunciati per aver « “ostacolato” la deportazione nel CIE di Brindisi dei profughi bambini e di aver preso manganellate senza (evidentemente) autorizzazione». Nella ricostruzione del movimento si spiega che: «dopo le lunghe giornate di mobilitazione per veder finalmente riconosciuto il diritto a far richiesta d’asilo dei nove profughi confinati sulla nave Vera D, arrivò la decisione di deportare comunque i richiedenti asilo nel CIE». La Rete respinge le accusa e spiega che palesi e gravi irregolarità sono state caso mai compiute dalle forze dell’ordine: «In prima battuta la polizia di frontiera, quando la vicenda non è ancora pubblica, notifica il decreto di respingimento ai nove profughi, malgrado sei avessero dichiarato la minore età e senza effettuare alcun esame medico. Un provvedimento illegittimo, illuminante sulle procedure che in questi casi violano sistematicamente il diritto d’asilo e la tutela dei minori. Quando si solleva il polverone i ragazzi sono portati a fare i discutibilissimi esami biometrici all’ospedale Santobono, che è messo quindi nelle condizioni di dover accreditare una verità già scritta o certificare un’iniziativa illegittima della polizia. Quando infine a gestire i rifugiati sarà l’ufficio stranieri di Napoli, il dirigente Battista preferirà eseguire la deportazione malgrado gli stessi esami, come è stato possibile appurare con l’ospedale, ipotizzano un età di circa 18 anni e siano quindi compatibili con il dubbio di minore età. Una nuova decisione illegale per rispettare gli input ideologici che arrivavano dal ministero dell’Interno e malgrado era evidente che ci si trovava di fronte a dei ragazzini! Ma magari il dottor Battista, per amore di giustizia, si autodenuncerà per mancato rispetto del diritto dei minori».
Solidarietà alla Rete antirazzista è pervenuta dal consigliere regionale Corrado Gabriele: «L’antirazzismo non può essere definito come reato, e mi dichiaro convinto che in sede dibattimentale gli attivisti coinvolti sapranno dimostrare la loro totale estraneità alle accuse»: e dal consigliere comunale Francesco Nicodemo: «È francamente difficile comprendere come gli attivisti che tentarono di non far compiere un errore grave alla Questura di Napoli oggi vengano denunciati per l’obsoleto reato di “adunata sediziosa”», dichiara il consigliere al Comune di Napoli (Pd) Francesco Nicodemo. «Gli attivisti denunciarono, come poi confermato da un giudice di pace, la presenza di minorenni fra i 9 migranti della Vera D. Il Comune di Napoli e le cooperative sociali incaricate diedero disponibilità di prendere in affidamento i minori, come previsto dalla leggi in vigore. La forzatura del trasferimento voluta probabilmente dal Viminale (questo sì non consentito dalle leggi sulla tutela dei minori) risultò poco comprensibile a tutti: sindacato, amministrazione e associazioni antirazziste. Già alla luce di quella sventurata vicenda oggi risulta difficile capire come possa essere così pretestuosamente colpita la coscienza civica della nostra comunità cittadina», conclude Nicodemo.
La nave liberiana «vera D» attraccò al porto di Napoli il 12 aprile scorso. L’imbarcazione venne bloccata in quanto al suo interno vennero scoperti nove migranti di origine nigeriana e ghanese, cinque dei quali affermavano di essere minorenni. La Questura di Napolichiese il respingimento (vietato per i minorenni) sotto fortissima pressione del Viminale mentre gli stranieri manifestavano la volontà di richiedere asilo politico. In solidarietà dei migranti, affinché non avvenisse un respingimento coatto in barba al diritto internazionale in materia di asilo politico si mobilitarono movimenti e sindacato. I minorenni vennero sottoposti agli esami biometrici dai medici del Santobono che affermarono che i giovani avrebbero avuto all’incirca 18 anni. L’esame biometrico ha un margine e questo, da parte della Questura, fu interpretato naturalmente per difetto. Il Comune di Napoli manifestò l’intenzione di accogliere i ragazzi ritenuti minorenni in strutture appartenenti a cooperative sociali adatte all’affidamento. Vennero avviate le procedure per lo “Sprar” (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). La trattativa sui migranti da nave mercantile si trasferì a terra, prima volta in Europa a detta del sindacato internazionale dei marittimi. Fu allora che avvennero le cariche della polizia mentre, nella notte del 14, gli attivisti provarono a impedire l’uscita delle auto della polizia che intendeva tradurre tutti i migranti, minorenni compresi al Cie di Brindisi. In Puglia avvenne l’ultimo colpo di scena che smentì la regolarità della procedura eseguita dalla Questura: nell’udienza di convalida della richiesta di respingimento, il giudice di pace, Mario Gatti, riconobbe come «presunti minorenni» sei immigrati e li liberò. Il padre comboniano Alex Zanotelli dichiarò all’ ami come i dirigenti della Questura ammisero la possibilità che tra i 9 migranti ci fossero minorenni.
(ami)
La testimonianza di Mamadou, uno dei due ragazzi senegalesi picchiati e arrestati nell’aeroporto di Malpensa il 4 di maggio scorso. Come ricorderete, la polizia aveva garantito a uno di loro che sull’aereo avrebbe trovato anche i propri familiari in modo da rientrare in Senegal insieme e non lasciarli da soli in Italia. Ovviamente la polizia mentiva: da lì la resistenza e poi il pestaggio. Il suo compagno di viaggio ha provato a difenderlo, così se le è prese pure lui e sono finiti in carcere insieme.
Dopo una prima udienza il 7 di maggio, la settimana successiva il giudice di Busto Arsizio li ha condannati ma, dopo essersi fatto garantire che sarebbero partiti presto dall’Italia, ha sospeso la pena e li ha “rimessi in libertà”: ovviamente i due ora sono di nuovo in via Corelli, da dove li abbiamo sentiti.
[audio:http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/mamadou.mp3]