«Una sera d’estate Joy, una ragazza nigeriana vittima di tratta, porta il proprio materasso fuori dalla cella del Centro di identificazione ed espulsione di via Corelli a Milano. Preferisce dormire nel corridoio, dove fa più fresco.
Durante la notte si sveglia di soprassalto: sul suo corpo le mani di Vittorio Addesso, ispettore-capo del Cie, che si è sdraiato sopra di lei.
Joy lo respinge con forza e decisione, altre donne la sostengono.
Un “normale” episodio di brutale e sessista amministrazione all’interno di un Cie, dove gli aguzzini dominano incontrastati, forti delle connivenze dei gestori di quei lager per immigrate/i.
Alcuni giorni dopo nel Cie di Milano scoppia la rivolta contro il “pacchetto sicurezza”. Joy e le altre donne che l’avevano aiutata vengono brutalmente picchiate, nude, dall’ispettore Addesso e colleghi, e arrestate: una chiara rappresaglia da parte di chi mette in atto ricatti sessuali e molestie e non intende accettare il rifiuto.
Durante le udienze del processo ai rivoltosi, Joy denuncia la tentata violenza da parte dell’ispettore. Hellen, sua compagna di stanza, conferma l’accaduto, diventando la sua testimone.
La Croce Rossa, nella figura del responsabile Massimo Chiodini, copre l’ispettore-capo di polizia. La giudice, voce della “giustizia” italiana, denuncia entrambe le donne per calunnia.
Tutte e cinque le donne imputate vengono condannate a sei mesi di carcere per la rivolta. A febbraio, terminata la pena, vengono riportate in un Cie, dove a tutt’oggi si trovano rinchiuse tutte tranne una con la prospettiva di essere deportate in Nigeria, una prospettiva che per Joy ed Hellen, come per tante/i altre/i, equivale ad una condanna a morte.
L’8 giugno a Milano si terrà l’incidente probatorio, udienza durante la quale si troveranno faccia a faccia Joy, Hellen e Vittorio Addesso.
Con Joy, dietro a Joy, vi sarà tutto il mondo dei Cie, fatto di controllo, intimidazioni, abusi e violenze sui corpi rinchiusi. Dietro Vittorio Addesso starà tutta la gerarchia degli aguzzini, fino ad arrivare in alto, al ministero dell’interno e ad uno stato che vuole, gestisce e controlla quei lager. Uno stato che, nella figura di un suo servo, si troverà per l’ennesima volta come parte accusata in un’aula di tribunale da cui, molto probabilmente, ne uscirà assolto.
Ma non è da quell’aula di tribunale che ci aspettiamo una rottura con un consolidato meccanismo di violenze, abusi e ricatti, meccanismo che si esplicita quotidianamente dentro le mura di ogni Cie. È urgente la presa di posizione di ognuna/o di noi contro le complicità che permettono l’esistenza di un lager di stato e coprono gli abusi che vi avvengono quotidianamente.
Per questo l’udienza che si terrà a Milano l’8 giugno, preceduta da una settimana internazionale di lotta contro le deportazioni, chiama tutte e tutti a fare una scelta di parte, ad opporsi e ad esserci.
Una mobilitazione fattiva che arrivi a concretizzare il vero obiettivo: la lotta per la distruzione di tutti i Cie, che è anche lotta per la nostra libertà e la nostra autodeterminazione all’interno di un paese-laboratorio sociale governato da uno stato di polizia. Invitiamo chi non può partecipare al presidio, che si terrà a Milano in tale data, ad organizzare iniziative nel territorio in cui vive.»
Leggimi in francese.
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«Sono obbligato a gestire una situazione che supera ampiamente le mie capacità e la mia volontà. […] Credevamo, come associazione cattolica di poter essere in qualche modo di aiuto a questi infelici e di contribuire anche a un miglior quadro legislativo nei loro confronti. Ora assistiamo sbigottiti a una crescita incontenibile di violenze verbali e materiali che impongono scelte».
Come sapete, il “business umanitario” campa di mascheramenti ideologici, appalti sostanziosi e pacche sulle spalle. E così Daniele Giovanardi, il Governatore della Confraternita della Misericordia di Modena, qualche anno fa ha curato addirittura un opuscolo per giustificare da un punto di vista cattolico ben osservante gli affari che lui e i suoi uomini fanno gestendo i Cie emiliani. Dategli una occhiata e, più che nausea o sorpresa, proverete una specie di vertigine: la vertigine dello slittamento pauroso di senso, per cui posti circondati da sbarre (da dove non si può uscire e dove nessuno entra volontariamente ma solo trascinato a forza dalla Polizia) diventan luoghi dove rifugiarsi in cerca di “accoglienza, un letto e un pasto caldo” oppure dove… portare a termine gravidanze altrimenti difficoltose! Neanche menzogne, ma parole che divorziano dai propri significati e che se ne vanno in giro per il mondo a piantar confusione.
Fantasioso nella produzione ideologica, fortunato negli affari, Daniele Giovanardi ha avuto ultimamente qualche guaio con le pacche sulle spalle. Anche perché invece di pacche ogni tanto gli sono arrivate sberle: la più clamorosa è stata l’irruzione di dieci giorni fa dentro al Duomo di Modena di un gruppo di compagni che han voluto dimostrare di aver capito che a coprir la Misericordia e i suoi affari ci stanno anche gli apparati ecclesiali cittadini e che si può esser irrispettosi fino al punto di bussare pure a quella porta là. Spiazzato da questi sviluppi inattesi, Giovanardi ha passato una settimana intera a puntualizzare e a rassicurare, a scusarsi ed intanto pure ad accusare – fino a minacciare fittiziamente di gettare la spugna per difendere la sicurezza e il buon nome della curia cittadina.
Date una occhiata alla querelle modenese dell’ultima settimana su Scheggia.
Ascoltate la voce di questo recluso del Cie di Bologna, che ci racconta le condizioni di vita dentro al Cie gestito dalla Misericordia:
[audio:http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/bologna-11-maggio.mp3]
Leggete il riassunto che fanno i compagni bolognesi della situazione in via Mattei degli ultimi giorni:
«Ieri, 10 maggio 2010, un gruppo di solidali con i reclusi del Cie di via Mattei a Bologna si è ritrovato sotto le mura per un Presidio con musica e interventi. La risposta è stata immediata, con battiture e urla. (more…)
Bari, 11 maggio 2010 – Il Prefetto, Carlo Schilardi, nega l’ingresso al Cie, (centro di identificazione ed espulsione), alla Asl e all’ex assessore della prima giunta Vendola, Michele Losappio. E le denunce sullo stato di degrado del deputato del Pd, Dario Ginefra, assieme a una relazione di Medici senza frontiere, convincono un gruppo di giuristi baresi a scendere in campo per la tutela dei diritti degli immigrati.
Di questa mattina l’incontro tra i giornalisti e la Class action procedimentale. L’associazione ha redatto un documento al quale si può aderire on line, scaricandolo dal sito dei giuristi, finalizzato a smuovere le coscienze delle istituzioni e della società civile riguardo ai diritti internazionali dell’uomo.
‘Invitiamo gli enti locali, primi custodi dei diritti inalienabili dell’uomo e nell’esercizio delle loro attribuzioni istituzionali, a entrare nel Cie – spiega Luigi Paccione presidente della Cap – al fine di verificare attraverso i loro uffici tecnici l’effettiva applicazione degli standards minimi di vivibilità stabiliti dalla richiamata normativa vigente e dalla giurisprudenza comunitaria. E diffidiamo il ministero dell’Interno, nella persona del ministro Roberto Maroni, e il prefetto Carlo Schilardi, a porre in essere con immediatezza, e comunque non oltre 90 giorni dal ricevimento del nostro documento, tutti i rimedi per assicurare il rispetto degli standard minimi di vivibilità per gli ospiti del Cie’.
In caso contrario, la Class action procedimentale promuoverà senza ulteriori indugi, ogni rimedio giuridico idoneo a imporre l’applicazione delle regole del diritto universale, comunitario, nazionale e regionale al Cie di Bari.
E riguardo ai Cie Paccione ha aggiunto: “Sono dei ‘non luoghi’. Strutture carcerarie extra ordinem che mettono in evidenza il contrasto tra la legislazione italiana e la normativa, anche internazionale, sulla tutela dei diritti dell’uomo. Non può esistere un luogo impenetrabile, protetto e imperscrutabile. Si violano così l’ordinamento europeo e quello internazionale”.
(Barisera.net)
«In prima serata, durante una corrispondenza con Ponte Galeria, ci raccontano che una delle persone costrette nelle gabbie della sezione maschile, dopo aver chiesto di ricevere delle cure per una malattia che ha bisogno di assistenza sanitaria continua, ha ingerito 4 accendini per farsi portare in ospedale. L’unica risposta che ha ricevuto è stato un pestaggio in cella da parte della celere. Nella sezione maschile questa sera si rifiuta il cibo per protesta.
L’aggiornamento di questo momento [22,30] è che questa persona sta morendo senza ricevere alcuna attenzione. Facciamo tutt* il minimo indispensabile, chiamiamo la direzione del lager della capitale e non restiamo in silenzio.
06.65854224 PER ESIGERE LE CURE IMMEDIATE»
Ascolta la corrispondenza registrata da Radio Onda Rossa:
[audio:http://www.autistici.org/ondarossa/archivio/silenzioassordante/100509pontegaleria.mp3]
Aggiornamento 10 maggio. Il recluso che ieri sera era stato picchiato nel Cie di Ponte Galeria è stato ricoverato in ospedale. Ha subito un intervento chirurgico per togliergli gli accendini dallo stomaco. Dopo quattro o cinque giorni di convalescenza sarà “libero” di… tornare a Ponte Galeria.

Scarica, stampa e diffondi la locandina dell’iniziativa.
Dal colonialismo, alle migrazioni, all’incendio del Centro per senza-documenti più grande di Francia in una passeggiata nel bosco di Vincennes.

Un personaggio ingombrante, del quale sbarazzarsi al più presto possibile. È questo quel che l’Ufficio immigrazione della Questura di Torino pensa di Falloul, il recluso marocchino che solo due settimane fa era riuscito a scavalcare le mura del Centro e ad allontanarsene – anche se per poche ore. Soprattutto perché Falloul è un testimone scomodo della vita in corso Brunelleschi, uno che ha voluto reagire ai pestaggi e alle angherie denunciandoli ad alta voce. E così questo pomeriggio Falloul è stato prelevato dall’area gialla del Centro – area che è stata compatta in sciopero della fame per più di una settimana dopo il tentativo di evasione di due settimane fa e il relativo pestaggio poliziesco – e portato all’areoporto di Caselle, dove lo aspettava un aereo per Roma e da lì un altro per il Marocco. Inutile ricordarvi le responsabilità del console del Marocco a Torino, sempre prono alle esigenze – di immagine e di sostanza – della Questura sabauda, e il complice e sorridente silenzio della Croce Rossa, vero e proprio lubrificante sugli ingranaggi della macchina delle espulsioni.
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I due punti estremi dello stivale e la stessa voglia di libertà, in due lanci di agenzia.
«Due immigrati sono stati arrestati a Trapani dopo un tentativo di fuga dal Centro di identificazione ed espulsione “Serraino Vulpitta”. Hanno opposto resistenza e procurato lesioni al personale in servizio nella struttura intervenuto per bloccarli. I due tunisini erano riusciti a eludere la sorveglianza e, dopo avere scavalcato il muro di cinta, erano scappati. Immediatamente rintracciati, hanno aggredito i poliziotti. Al termine del rito direttissimo, l’arresto e’ stato convalidato e il processo rinviato.»
«Nove ospiti del Centro di identificazione ed espulsione (Cie, ex Cpt) di Gradisca d’Isonzo (Gorizia), perlopiù di origine maghrebina, sono fuggiti nella tarda serata di ieri dalla struttura. I nove – a quanto si è saputo dalla Questura di Gorizia – facevano parte di un gruppo di una trentina di immigrati che hanno tentato la fuga. Una ventina di loro, però, è stata trattenuta dal personale di vigilanza, mentre gli altri nove hanno forzato, danneggiandola, una grata in ferro posta nell’atrio esterno ad una camera e dopo averla attraversata, hanno raggiunto il tetto della struttura e superato le ”barriere”, dileguandosi nella notte. »<!–
(A detta di un sindacato di Polizia, c’era proprio da aspettarselo che col ritorno della buona stagione sarebbero aumentati i tentativi di fuga dei reclusi di Gradisca, «i quali altro non hanno da fare che pensare a come tentare di dileguarsi dalla struttura anche brandendo, cosa avvenuta l’altro giorno in ospedale, l’asta della flebo per colpire il poliziotto addetto alla vigilanza o allontanandosi dall’ambulanza che lo sta portando d’urgenza in ospedale fermatasi ad un semaforo»)
Aggiornamento 8 maggio. Ecco una testimonianza da dentro al Cie di Gradisca, un po’ sulla fuga dell’altro giorno, un po’ sulla situazione quotidiana del Centro. Ascoltatela, è di un vecchio amico:
[audio:http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/sofian-da-gradisca.mp3]
Gorizia, 06 maggio 2010 – La fuga di nove ospiti dal C.I.E. di Gradisca d’Isonzo avvenuta ieri sera ripropone temi già denunciati dalla Segreteria Provinciale di Gorizia che ha diramato una nota che di seguito riportiamo.
“Gli immigrati hanno forzato, danneggiandola, un grata in ferro posta nell’atrio esterno ad una camera, attraversata la quale hanno potuto fare agevolmente accesso al tetto della struttura e quindi portarsi in un attimo direttamente alle “barriere” che, insormontabili non sono, se è stato cronometrato vengono scavalcate in meno di sette secondi.
Eppure in altri C.I.E. (Cagliari docet) senza preoccuparsi troppo di studiare soluzioni peraltro mai attuate, hanno risolto la problematica elevando in altezza le barriere per poi ricoprirle internamente di plexiglas così da eliminare ogni possibile appiglio. Nessuna genialità ma unicamente studio e rimozione dei cd punti deboli. Un soluzione semplice ma evidente non adottabile a Gradisca d’Isonzo dove a oggi si è rimasti alle intenzioni”.
“Il fatto poi che le camere siano della vere e proprie zone franche dove soggetti diversi dalle Forze dell’Ordine dovrebbero esercitare un controllo segnalando le novità – prosegue la nota -, consente agli immigrati di “lavorare” al loro interno, evidentemente con cannucce e forchette di plastica (visto che non dovrebbero disporre di utensili) per forzare, danneggiandola una grata in ferro oppure togliendo le plafoniere”.
“Il fatto poi – conclude il comunicato – che ancora non funzioni il sistema anti-intrusione, idoneo a segnalare per tempo un tentativo di fuga – certamente aiuta l’attuazione di azioni come quella messa in atto nella serata di ieri.
Eppure era prevedibile che con il “bel tempo” sarebbe aumentata la genialità degli ospiti i quali, altro non hanno da fare, che pensare a come a tentare di dileguarsi dalla struttura anche brandendo, cosa avvenuta l’altro giorno in ospedale, l’asta della flebo per colpire il poliziotto addetto alla vigilanza o allontanandosi dall’ambulanza che lo sta portando d’urgenza in ospedale fermatasi ad un semaforo”.
(tgcom)
«Dovevano essere rimpatriati in Senegal e provenivano dal centro di identificazione ed espulsione di via Corelli a Milano ma una volta saliti sull’aereo hanno picchiato i 4 agenti che li accompagnavano. È accaduto ieri (martedì) a Malpensa su un volo diretto a Dakar: diverse le contusioni riportate dai poliziotti che avevano preso in carico i due giovani con il compito di portarli sull’aereo. In ospedale, dove gli agenti si sono recati subito dopo l’aggressione, i medici hanno diagnosticato 2,5,7 e 10 giorni di prognosi.
I due senegalesi, una volta saliti a bordo dell’aereo, hanno dato in escandescenze tirando calci e pugni. Dopo essere stati riportati alla calma il comandante del volo ha deciso di non accettare a bordo i due clandestini e così i poliziotti li hanno dovuti riportare al Cie di Milano. Per loro è scattata anche la denuncia di resistenza a pubblico ufficiale e saranno processati in direttissima domani mattina. Non è la prima volta che si verificano casi di questo tipo.»
da Varese News
(Adesso come adesso, di questa storia non sappiamo altro che quel che riporta la nota d’agenzia che pubblichiamo qua sopra. Conosciamo però Mamadou, uno dei due protagonisti, fino all’altroieri in prima fila nello sciopero della fame che è in corso in via Corelli dall’inizio di marzo)
Aggiornamenti 7 maggio. Si è svolta questa mattina al tribunale di Busto Arsizio l’udienza contro i due senegalesi arrestati. Uno di loro è da tempo in Italia e la polizia gli aveva garantito che sull’aereo avrebbe trovato anche i propri familiari, in modo da rientrare in Senegal insieme a loro e non lasciarli da soli in Italia. Ovviamente la polizia mentiva, ed è per questo – ha sostenuto in udienza – che ha fatto resistenza attirando su di sé la violenza della scorta. Il secondo, invece, in Senegal ci voleva ritornare e lo ha difeso mentre lo malmenavano. Tutti e due hanno rifiutato di patteggiare e la prossima udienza del processo è prevista per il prossimo 14 maggio, alle ore 10, sempre al tribunale di Busto Arsizio.
Leggimi in lingua francese.
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