Una corsa, delle fiamme (e delle scarcerazioni)

18 aprile. Un’altra evasione da corso Brunelleschi. Questa volta è toccato a Nabil, uno dei reclusi trasferito a Torino da Roma dopo la grande rivolta della fine di marzo e da allora tenuto in isolamento. Lo stavano cambiando di blocco, ieri sera, ma lui è riuscito a sgattaiolare tra le sbarre e poi a dribblare il carceriere che gli si era parato davanti per impedirgli di avanzare. Una corsa e via, fino a guadagnare la strada.

Poche ore prima una sessantina di persone avevano dato vita al consueto presidio mensile contro i Centri, giusto là davanti: urla, battiture, mortaretti e messaggi di lotta e di solidarietà al microfono.

Aggiornamento 19 aprile. Alla fine i poliziotti sono riusciti a fermarla, la corsa di Nabil. L’hanno preso poco dopo la fuga, alla fermata dell’autobus, poi se lo sono tenuto in Questura per tutta la notte e solo stamani l’hanno riportato nelle gabbie. Per contro, questo pomeriggio una quindicina di prigionieri sono stati liberati senza una spiegazione, dopo mesi di detenzione e con un decreto di espulsione in tasca.

Aggiornamento 20 aprile. Di nuovo fiamme dentro in corso Brunelleschi. Ieri sera, poco dopo le 22, i reclusi hanno dato fuoco alla sala mensa dell’aerea bianca. Non sappiamo se ci siano stati danni alla struttura, e quanti, ma sappiamo che non c’è stato nessun motivo particolare per questa esplosione di rabbia, se non l’esasperazione per la reclusione.

Aggiornamento 21 aprile. Ancora 10 liberazioni, ieri, da corso Brunelleschi. È evidente che la Questura voglia fare spazio, sicuramente per “accogliere” un grosso trasferimento da qualche altro Centro – si dice da quello di Crotone. A quanto pare, è stata proprio la grossa liberazione di lunedì pomeriggio a “provocare” l’incendio della sera: «Perché noi siamo ancora qui?», si saranno chiesti i reclusi rimasti prigionieri. E la notizia di questo giro di liberazioni ha creato un bel po’ di tensioni anche a Ponte Galeria, dove i reclusi se la sono presa con le guardie e con il personale di Auxilium: anche qui la gente si chiedeva «Perché noi siamo ancora qui?». La situazione a Roma, ieri, è stata appesantita anche da due ore di perquisizione a tappeto e dalla notizia di un nuove violenze, anche da parte dei dottori, e nuovi gesti di autolesionismo. Da giorni in sciopero della fame, è sempre B. che continua ad ingoiare pile. Questa volta ha rifiutato il ricovero in ospedale: vuole la libertà, non una lavanda gastrica.

Ascolta la testimonianza raccolta da Radio Onda Rossa:

[audio:http://www.autistici.org/ondarossa/archivio/silenzioassordante/100421_pontegaleria_b.mp3]

 

Leggimi anche in lingua francese.

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Rispunta l’ipotesi Bovolone

Verona, 20 aprile 2010I bookmaker dell’immigrazione clandestina puntano nettamente su Bovolone. E’ lì che dovrebbe non tanto sorgere – visto che le strutture ci sono già -ma se non altro essere «posizionato» il Cie, il centro d’identificazione ed espulsione del Veneto, in quello che ormai è un vero e proprio risiko degli immigrati da cacciare. Prima la porzione villafranchese di Caluri, poi quella no perchè ci sono le cisterne da bonificare. Allora quella parte che fa capo a Sommacampagna, già bella e che pronta, con le «casette » che ospitavano i militari dell’aeronautica. Perchè è lì che si va a comporre la mappa dei siti ospitabili. Nelle caserme dismesse o in via di dismissione. Proprio come quella di Bovolone.
E chi raccoglie le puntate non si è agitato più di tanto, alle dichiarazioni del sindaco Tosi che ha già preparato un elenco di possibilità tutte cittadine. La chiave di volta è che, a Verona o in provincia, sono pochi quelli che sorridono all’idea di vedersi piazzare un Cie, che dovrebbe ospitare almeno 300 extracomunitari al giorno, nelle vicinanza di casa. «Non volerlo è da irresponsabili», ha tuonato il sindaco Tosi contro il collega veneziano Giorgio Orsoni, «reo» di aver detto che no, che quella struttura sul suo territorio non sorgerà mai. Niente di meglio, per il ministro dell’Interno Maroni, che la provincia «amica» per antonomasia, quella veronese. Quella che già due anni fa il borgomastro Tosi gli aveva offerto. Ma questa volta la parte del pifferaio magico, capace di attrarre a sè le folle, non è detto che al sindaco riesca. A opporsi a quella che ormai è una tiritera dai classici tempi italici, che aveva il dictat del «subito» e dopo anni è ancora tutta da inquadrare, sono le realtà antirazziste non solo veronesi, ma anche regionali. Perchè per loro non è tanto una questione di Cie a Verona o in Veneto. O in qualsiasi altra parte. Per loro non dovrebbe esistere neanche l’acronimo. «Di questo centro si parla con cadenza regolare da anni – commenta l’avvocato Roberto Malesani di Cittadinanza Globale -. Se fosse vero che si fa a Verona sarebbe gravissimo. Vuol dire che si continuano a non ascoltare le voci dell’antirazzismo, che escludono la costruzione di posti come quelli. Per quanto ci riguarda metteremo in atto e parteciperemo a qualsiasi iniziativa di contrasto a un’eventualità del genere».
E il tutto a ridosso di un 25 aprile che a Verona dovrebbe vedere come protagonisti proprio gli immigrati. «E’ inquietate che a ridosso della Liberazione – dicono dal collettivo La Chimica – si stia costruendo un carcere per loro. Perchè il Cie questo è, un carcere. E il 25 aprile si parlerà anche di questo». Ma c’è anche chi non ne fa solo una questione politica e tira in ballo un argomento caro ai veronesi, quello dei schei. «Vadano a vedere cosa succede nelle zone attorno ai Cie già esistenti. A come si deprezzano terreni, case». Al collettivo Metropolis la situazione di Modena la conoscono bene. «Noi quei centri li riteniamo illegittimi. Posti dove la gente viene imprigionata per sei mesi, quando non si capisce che quello della migrazione è un fenomeno inarrestabile. Faremo di tutto per contrastare la costruzione del centro, ma i primi ad opporsi dovranno essere i residenti. Porteremo in quella zona gli abitanti di Lampedusa, quelli di Modena, quelli di via Corelli a Milano. E gli faremo raccontare cosa vuol dire vivere vicino a un Cie. Perchè quei centri sono un problema anche per le comunità che li “ospitano”. La Lega che si sporca la bocca con la parola democrazia, che dice di fare il bene dei cittadini, indica un referendum. E faccia scegliere a loro se vogliono un Cie o no».
«Il problema è che i Cie invece che per i delinquenti servono per gestire la crisi», spiega Nicola Grigion, responsabile del progetto Melting Pot, rete per i diritti di cittadinanza attiva in Veneto e nel Nord Italia. «Un modo per risolvere il problema di quelli che vengono ritenuti degli “esuberi” e che invece sono esseri umani. In Veneto ci sarebbe da fare una seria politica dell’integrazione, una politica abitativa vera. E’ lì che andrebbero spesi i soldi dei Cie. In una regione che è già massacrata dagli imperativi della Lega Nord, noi ci opporremo in tutti i modi». Sulle barricate politiche sale anche il Pd, che oggi terrà una conferenza stampa. «Siamo visceralmente contrari – taglia corto il consigliere provinciale Vincenzo D’Arienzo -. Si tratta di un “carcere semestrale” la cui responsabilità politica, se verrà attuato, è di una persona sola, Flavio Tosi». Che due – se non consensi – «apprezzamenti», li incassa. Quello del coordinatore cittadino del Pdl, Massimo Giorgetti per il quale «qualcuno se ne deve fare carico, visto che è un centro strategico per il contrasto dell’immigrazione clandestina. Fondamentale è, al di là del luogo dove sorgerà, che ci siano gli strumenti per governarlo ». L’altro, a fargli da spalla, è il presidente della commissione provinciale sulla sicurezza, Ivan Castelletti della Lega. «In linea di massimo sono d’accordo, ma va approfondito con i cittadini. Tosi come si è espresso?».

 

(Corriere del Veneto)

Dal carcere al Cie la storia di Nuer nell’Italia del diritto

Roma, 20 aprile 2010Il ministro dell’Interno Roberto Maroni, la scorsa settimana, ha confermato la propria intenzione di aumentare di mille unità i posti disponibili all’interno dei Centri di Identificazione e di Espulsione. E ha già ipotizzato che le quattro regioni finora sprovviste di Cie (Veneto, Campania, Toscana e Marche), potrebbero diventare i luoghi prescelti per aprirne degli altri (immaginiamo che le regioni e i loro abitanti ne sentissero la mancanza). C’è da dire che Maroni, a parte questo aspetto, non pare occuparsi troppo di quello che accade in questi centri. Per esempio: lo sa, il ministro, che nel Cie di Via Corelli a Milano da parecchie settimane molti trattenuti sono in sciopero della fame? E che sono in sciopero della fame i trattenuti del Cie romano di Ponte Galeria? E che, da qualche giorno, si sono uniti a questa forma di protesta 50 reclusi nel Cie di Bologna? E che un “ospite” del Cie di Torino ha provato a togliersi la vita settimana scorsa (per fortuna senza riuscirci)? Immaginiamo di no, dato che a riguardo non vola una mosca. Forniamo noi alcune notizie: Nuer, il tunisino che ha tentato il suicidio mercoledì scorso, è stato in carcere per due anni, accusato di violenza privata, fino a quando non è arrivata l’assoluzione e la conseguente scarcerazione. Da lì, come sempre più spesso succede, è stato mandato al Cie, senza neanche avere i cinque giorni di tempo che il decreto di espulsione prevede per lasciare l’Italia. Questo perché dopo due anni di carcere aveva perso, ovviamente, il permesso di soggiorno. Allo stato attuale, Nuer, non è neanche certo di riuscire ad ottenere il rimborso per ingiusta detenzione. Conserverà, immaginiamo, un buon ricordo dell’Italia “culla del diritto”.

(l’Unità)

Muri

quarto 18 aprile

Sui muri di Quarto, Napoli.

Incazzati neri

A Bologna, i reclusi del Centro sono incazzati neri. Lo sono da tempo, e ne hanno tutte le ragioni. Ieri, grazie ad un presidio organizzato  oltre le mura dai compagni, hanno ripreso saldamente i contatti con fuori. E hanno pure preso coraggio: da questa mattina  in cinquanta sono in sciopero della fame.
Ascoltate quante e quali cose aveva da urlarci in faccia questo pomeriggio Mohammed, che abbiamo sentito ai telefoni di Radio Blackout:
[audio:http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/bologna-in-sciopero_mohammed.mp3]

E ascoltate come una compagna bolognese, questa mattina, ci descriveva la situazione:

[audio:http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/la-situazione-a-bologna.mp3]

 

I prigionieri di Corelli, da parte loro, hanno accolto la notizia dello sciopero a Bologna con urla di gioia e di lotta. A un compagno del Comitato di Milano hanno dettato questo improvvisato “comunicato”:

«Vogliamo  che tutti sappiano che la solidarietà tra i reclusi è sempre forte e presente, e vogliono poter comunicare con quelli di Bologna… Per noi che stiamo facendo questo sciopero della fame da un mese e mezzo è molto importante sapere che  la lotta se allarga, e accogliamo con molto calore (anche se siamo rinchiusi in queste gabbie  fredde), che sono altre 50 tra  donne e uomini che lottano  insieme noi per la chiusura di questi lager. Importante è lottare e non  stare addormentati come vogliono loro. Un grande abbraccio a tutti gli scioperanti di Bologna.»

 

Aggiornamento ore 21,30. Un presidio è in corso in via Mattei, a Bologna, fuori dal Cie, in solidarietà con gli scioperanti. La situazione è molto calda e da dentro i reclusi si fanno sentire urlando e bruciando masserizie: via Mattei è piena di fumo…

Ascolta la diretta con una compagna bolognese dal presidio:

[audio:http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/fumo-in-via-mattei.mp3]

 

Leggi come i solidali bolognesi hanno sintetizzato la situazione di via Mattei, aggiornata al presidio di oggi, e leggi gli aggiornamenti della notte. (more…)

Nuer e gli altri

Tentato suicidio nella sezione bianca del Cie di Torino. Nuer, un ragazzo tunisino, mercoledì mattina ha tentato il suicidio impiccandosi con una corda, soccorso in tempo e portato in ospedale da cui è stato dimesso in giornata. La sua storia è l’ennesima storia disperata frutto delle leggi assurde di questo paese. Nuer è stato detenuto in carcere per violenza privata per due anni, fino a quando non è arrivata l’assoluzione e la conseguente scarcerazione. Certo non si aspettava di passare da un carcere ad un altro centro di detenzione: il Cie di Corso Brunelleschi, perché dopo due anni di carcere aveva perso il permesso di soggiorno, quantomeno si aspettava di avere i cinque giorni di tempo che il decreto di espulsione concede per lasciare l’Italia. All’attuale non è neanche certo che riesca ad ottenere il rimborso per ingiusta detenzione.
La storia di Nuer ce l’ha raccontata Mustafa, un signore in Italia da vent’anni, che, a fine anni Novanta, insieme al lavoro ha perso anche il permesso di soggiorno, ed è stato quindi espulso. Ha deciso di tornare subito in Italia, ed ora è recluso nel Cie.
Nella stessa sezione di Nuer e Mustafa, la bianca, c’è anche Mohammed, che mercoledì ha interrotto lo sciopero della fame che portava avanti da ventitré giorni. Martedì era stato portato al repartino psichiatrico del Martini, e dopo un breve colloquio con la psichiatra, colloquio al quale ha partecipato anche la Guardia di Finanza che lo stava piantonando, alla faccia della riservatezza tra medico e paziente. Quello che Mohammed chiedeva era la visita di un medico che gli misurasse la pressione e che gli facesse un prelievo del sangue, quello che ha ottenuto è stata una psichiatra che gli ha confermato la sua salute mentale. Il commento di un crocerossino al suo ritorno nel Centro è stato: “Tu stai rischiando la vita, ti conviene smettere di fare lo sciopero, tanto non ti fanno uscire”.
Abbiamo anche saputo che quattro marocchini sono stati rimpatriati in settimana.

«Centro clandestini in Veneto ma Roma non imporrà il sito»

Belluno, 17 aprile 2010 Prima la commozione, nella giornata del ricordo per le vittime del Falco, poi l’immigrazione, ovvero la creazione di un Cie (Centro di identificazione ed espulsione dei clandestini) in Veneto. Il ministro dell’Interno, il leghista Roberto Maroni, assicura che presto verrà presa una decisione sul sito,ma nel contempo fa sapere che un Cie, in Veneto, ci sarà sicuramente. «Abbiamo un programma – spiega – per realizzarne uno in tutte le regioni dove attualmente non esiste e qualche verifica l’abbiamo pure fatta. Ma prima di comunicare con certezza i nomi dei luoghi destinati a ospitare i centri voglio aspettare che si insedino tutti i governatori per decidere assieme a loro e agli altri enti interessati. Garantisco che non sarà una decisione presa da Roma».
Via al federalismo, dunque, almeno sul tema dell’immigrazione e della sicurezza, due cavalli di battaglia su cui la Lega ha costruito il suo consenso. «Questo è sicuramente – annuisce Maroni – un metodo federalista, dato che presuppone condivisione delle decisioni e delle scelte. Avere un centro per l’identificazione e l’espulsione significa garantire maggiore sicurezza. Lo sa la gente cosa succede oggi in Veneto se viene fermato un clandestino? Lo mandano a Gorizia, o a Milano o a Bologna… masolo se c’è posto. Altrimenti, e questo credo sia proprio ciò che non vuole la gente veneta, se non c’è posto viene rimesso in libertà». In Veneto, come si sa, sono due le province che hanno le caratteristiche per ospitare il Cie: Verona e Venezia. Proprio ieri i sindaci del capoluogo scaligero e lagunare hanno espresso apertamente le rispettive posizioni. E se per il leghista Flavio Tosi, da sempre in grande sintonia con il ministro Maroni, non c’è alcuna difficoltà ad ospitare sul territorio scaligero il Centro, lo stesso non si può certo dire per il nuovo primo cittadino di Venezia, l’avvocato Giorgio Orsoni, espressione del centrosinistra.
Il quale, al «Corriere del Veneto», ha detto chiaramente che «va sottolineato, a prescindere dal sito prescelto, il dubbio sull’opportunità di realizzare i Cie a Venezia », lasciando intendere che nella capoluogo regionale sarebbe meglio smettere di cercare spazi idonei. A stretto giro di posta è arrivata la replica del ministro: «Il primo cittadino veneziano – dice – è un altro che ha la sindrome di Nimby, cioè va bene ma non a casa mia». E poi, subito dopo, ha specificato: «E poi, Venezia avrebbe potuto alzare il telefono e informarsi, evitando così inutili polemiche. Perché di certo, per quel che riguarda i siti, ribadisco che non c’è nulla». Tesi, quest’ultima, supportata anche dalle dichiarazioni del neo governatore Luca Zaia. «Con Maroni – dice – ci vedremo presto per risolvere questo problema. Il Cie in Veneto è una necessità e io sono convinto che ci aiuterà a controllare meglio il fenomeno dell’immigrazione. Basta con gli stranieri espulsi, con tanto di foglio di via in mano, che circolano liberamente nelle nostre città. Posso garantire che non esiste ancora un decisione sul sito prescelto, ma quello che si può aggiungere è che si troverà vicino a qualche aeroporto, non in aree già occupate ma nel contesto di situazioni gestibilissime. E, soprattutto, non saranno realtà in autogestione».
L’impressione è che, vista anche la ritrosia di Venezia (solo la presidente della Provincia, la leghista Francesca Zaccariotto, si è detta disponibile al dialogo) si vada verso una scelta che ricadrà sul Veronese. Con grande soddisfazione del sindaco Tosi, grande sponsor dell’iniziativa anche se dovesse concretizzarsi al di fuori delle mura comunali di sua competenza (si parla, infatti, di Villafranca, Bovolone e Sanguinetto). Sarebbe di sicuro la soluzione più indolore.

(Corriere del Veneto)