Ottavo giorno di sciopero della fame nel Cie di via Corelli, a Milano. La fame si fa sentire, molti non si alzano più dal letto, la situazione è dura e la tensione cresce, ma la protesta continua compatta. I reclusi continuano a nutrirsi solamente con i succhi di frutta e le bevande energetiche che ogni giorno alcuni solidali gli portano. Nonostante le difficoltà e la stanchezza, vogliono continuare la lotta almeno fino sabato, quando decideranno se proseguire lo sciopero, probabilmente a staffetta.
Intanto possiamo registrare una piccola ma importante vittoria. La ragazza marocchina che si era sentita male un paio di giorni fa è stata rilasciata, dopo le pressioni fatte da fuori e le proteste delle sue compagne di cella. Ora è finalmente libera, libera come lo può essere una donna senza permesso di soggiorno oggi in Italia.
Intanto grazie all’ininterrotta corrispondenza con dentro le storie, le più assurde, si moltiplicano.
C’è la storia di un ragazzo nigeriano che ha ottenuto l’asilo politico in Italia. Di ritorno da un viaggio in Germania durato alcuni mesi, dove è andato a trovare dei parenti, viene fermato all’aeroporto di Linate. Con il foglio dell’asilo politico scaduto viene portato in Corelli, e il giudice gli ha convalidato il fermo.
C’è quella di un ragazzo rom rumeno finito nel mezzo di una retata, fermato e portato nel centro. Ha la moglie incinta, un contratto d’affitto regolare e un lavoro. Il giudice, cosa più unica che rara, non gli convalida il fermo. Lui esce libero dal centro la mattina, fa poche centinaia di metri e viene fermato da una pattuglia di polizia che lo riporta in questura. La sera è di nuovo dentro al centro di via Corelli, con i suoi compagni di cella che ci chiamano increduli. Un altro giudice ha deciso il nuovo verdetto: dovrà passare i prossimi sei mesi nel centro.
Infine la storia di un ragazzo dello Zambia. Con un permesso di soggiorno spagnolo per motivi di salute finisce prima in carcere e poi nel centro di via Corelli. Lui vuole tornare in Spagna, ma niente, non lo mollano. Da dentro ci chiamano dicendo che sta male, ha dolore a tutte e due le gambe, non riesce a camminare e non riesce a dormire dal dolore: deve essere operato e non dovrebbe stare in un Centro. I suoi compagni di cella chiamano la Croce Rossa, chiedono che venga ricoverato, ma niente.
E per finire, i ringraziamenti. Gli scioperanti del lager di via Corelli, ringraziano tutti per la vicinanza e la solidarietà espressa: le radio che li hanno intervistati e che ogni giorno li chiamano, i compagni e le compagne che da fuori portano loro le bevande, tutti quelli che in qualche modo stanno lottando per l’abbattimento di questi muri. «Insieme possiamo farcela!», questo il loro appello.
Situazione calda in Inghilterra nei centri di detenzione per immigrati clandestini. A Londra continuano le proteste, in particolare dentro e fuori i lager di Yarl’s Wood e Hardmonsworth, e per giovedì 11 marzo è previsto un volo speciale per la Nigeria che probabilmente deporterà molte delle donne protagoniste di questo mese di lotte. Una storia cominciata più di un mese fa a Yarl’s Wood, dove è iniziato uno sciopero della fame per chiedere la fine di tutte le umiliazioni che avvengono nei centri di detenzione. Ecco una breve cronologia.
5 febbraio. Nel centro di detenzione per immigrati clandestini di Yarl’s Wood ottantaquattro donne iniziano uno sciopero della fame per chiedere la fine di tutte le umiliazioni che subiscono ogni giorno.
8 febbraio. Le guardie della Serco, che gestiscono il lager, attaccano violentemente le donne in sciopero della fame: settanta donne vengono chiuse nel corridoio per otto ore senza acqua, cibo, bagno e senza assistenza medica. Molte spariscono nel nulla, espulse o trasferite, e una ventina di donne che avevano tentato di evadere dalle finestre vengono picchiate e messe in isolamento. Cinque di queste, considerate le “leader” della protesta, vengono arrestate e incarcerate nella prigione di Holloway a Londra.
10 febbraio. Un gruppo di studenti entra negli Uffici della Serco, a Londra, e iniziano uno sciopero della fame in solidarietà con le immigrate recluse.
12 febbraio. Una cinquantina di persone si ritrovano davanti agli uffici della Serco e fanno un presidio rumoroso, per denunciare le responsabilità dell’azienda. Intanto a Londra e Bedford decine di militanti no-border iniziano altri scioperi della fame in solidarietà con le immigrate recluse.
17 febbraio. Manifestazione di solidarietà sotto il carcere di Holloway, a Londra, dove sono detenute le cinque di Yarl’s Wood.
21 febbraio. Manifestazione di solidarietà fuori dal lager di Yarl’s Wood.
22 febbraio. Denise, una delle cinque recluse arrestate dopo le proteste, riesce a far uscire una testimonianza e delle foto che testimoniano le botte subite dalle guardie della Serco. Il materiale viene pubblicato dal quotidiano londinese The Guardian.
26 febbraio. Manifestazione di protesta fuori dagli uffici londinesi della Serco.
2 marzo. Nel lager di Hardmonsworth più di cinquanta reclusi iniziano uno sciopero della fame per protestare contro le condizioni di vita nel centro e contro le leggi sull’immigrazione inglesi.
4 marzo. Continua lo sciopero della fame nel lager di Yarl’s Wood iniziato un mese prima, portato avanti da una trentina di donne. Per fermare la protesta le guardie della Serco isolano le recluse, rendendo difficili i contatti con l’esterno.
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9 marzo. Via i vecchi reduci dell’Associazione nazionale Alpini, largo ai giovani buttafuori dell’Hydra Service, guidati dal noto picchiatore Diego Simioli. Saranno proprio loro, i famosi responsabili del servizio d’ordine del Pd, a garantire la sorveglianza notturna della caserma di via Asti, dove sono alloggiati alcuni dei profughi e rifugiati politici protagonisti delle occupazioni di via Bologna e corso Peschiera. Il cambio della guardia è stato deciso dalla sinistra Fondazione Dravelli (legata all’Arci), che ogni mese incassa dal comune decine di migliaia di euro da spendere per il bene dei profughi. E sempre per il bene dei profughi, già da qualche tempo alcuni punti della caserma sono stati addobbati con del filo spinato.
Sono giorni difficili al Cie di Ponte Galeria, Roma. I reclusi che stavano facendo lo sciopero della fame a un certo punto non ce l’hanno fatta più e hanno smesso: «Solo in due o tre stanno continuando, ma per problemi personali. Noi altri abbiamo smesso perché la gente, ormai, ha cominciato a mollare. Non c’è più speranza. I motivi della protesta sono tanti… sia per la vita qui dentro, sia per il tempo che dobbiamo passare: sei mesi sono troppi». E poi il cibo «è una schifezza, non si può mangiare: io in due mesi ho perso otto chili e adesso ho paura di andare alla bilancia».
La vita dentro quel lager è una tortura continua: una tortura mentale, una tortura psicologica. Con l’arrivo dei nuovi gestori non è cambiato nulla: è cambiata la gente – dalla Croce Rossa ad Auxilium – ma la regola è sempre quella. Il cibo è sempre scaduto e privo di vitamine, mentre il riscaldamento continua a essere fuori uso. E poi questa legge è ingiusta – ripetono tutti – non è possibile che una persona che esce dal carcere venga riportata nel Cie, che è «peggio di un carcere… ti buttano qua come un animale».
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9 marzo. Ennesima retata a Porta Palazzo, questa volta sui tram della linea 4. Mentre gli alpini piantonano le porte dei mezzi, controllori e polizia chiedono biglietti e documenti. A seguire l’operazione, un paio di camionette della polizia. Tra chi i controllori c’è anche un uomo in borghese coi tratti nordafricani: potrebbe essere Mostafa El Daodi, uno dei cinque controllori di origine straniera assunti dalla GTT tre mesi fa. Ecco cos’è l’integrazione.
9 marzo. Dopo lo sgombero dall’alloggio ATC che occupava in corso Salvemini con la moglie e quattro figli, un uomo si è cosparso di benzina e ha minacciato di darsi fuoco nel cortile della circoscrizione 2.
Notte insonne per i reclusi del Cie di Gradisca d’Isonzo. Ieri sera le celle del centro sono state chiuse alle 19.30, con qualche ora d’anticipo rispetto al solito. Nel frattempo i militari in servizio sono saliti sul tetto e per diverse ora hanno fatto un gran rumore, battendo con sbarre di ferro sulla lamiera. Ai reclusi, che hanno reagito con una rumorosa protesta, è stato permesso di uscire solo alle 10.30 di questa mattina. Ma le sorprese non erano finite: usciti dalle celle, i reclusi si sono ritrovati la porta della sala telefono chiusa. Da dentro, raccontano che quella di stanotte è l’ennesima provocazione. A quanto pare le guardie sono parecchio nervose e da tempo cercano di provocare una reazione per giustificare i pestaggi. Due giorni fa, dopo una chiacchierata avvenuta tra i reclusi e il direttore del centro, un ragazzo è stato messo in isolamento. La sua colpa? Aver avuto da ridire sull’operato dei militari.
Ascolta la diretta con un recluso di Gradisca registrata da Radio Onda Rossa:
[audio:http://www.autistici.org/ondarossa/archivio/migranti/gradisca.mp3]
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Infine, qualche aggiornamento da Milano sullo sciopero della fame che i reclusi del centro di via Corelli stanno portando avanti ormai da sei giorni. Come nei giorni passati, anche ieri pomeriggio alcuni solidali hanno provato a portare bevande e succhi di frutta nel centro, ma questa volta gli è stato impedito. Forse anche per questo, proprio ieri, una ragazza marocchina in sciopero della fame si è sentita male. La Croce Rossa, da parte sua, si è rifiutata di portarla in ospedale e l’ha lasciata in infermeria.
Ascolta la diretta con una reclusa di via Corelli, registrata questa mattina da Radio Onda Rossa:
[audio:http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/100308corelli.mp3]
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8 marzo. Nella notte ignoti entrano nella sede elettorale dell’UDC, in via Cernaia 16, e portano via due computer con i dati della campagna elettorale e un telefono cellulare. Prima di andarsene, strappano i manifesti del partito e si accaniscono in particolare contro la sagoma in cartone che ritrae Alberto Goffi. «Spero davvero sia stato solo un atto di vandalismo» ha commentato Goffi, quello in carne ed ossa.
8 marzo. Se ne torna a casa con le pive nel sacco l’ufficiale giudiziario che questa mattina avrebbe voluto eseguire l’ennesimo sfratto dei suoi quindici anni di “onesto lavoro”, per usare le sue parole. A convincerlo a rinviare la pratica al 1 aprile ci hanno pensato decine di solidali della Rete per il diritto alla casa, accorsi per dar man forte ad una famiglia morosa che aveva deciso di non abbandonare l’alloggio.
