A cosa serve esattamente un Centro di Identificazione ed Espulsione? E a cosa serve la macchina intera delle espulsioni e, contemporaneamente, la propaganda razzista che ne olia i meccanismi?
La risposta – non l’unica risposta, certamente, ma una di quelle centrali – ve la facciamo dare da questo gruppo di operai di Brembio, nei pressi di Lodi. Tutti stranieri, tutti dipendenti di una cooperativa che perde l’appalto e viene sostituita, tutti trattati alla stregua di servi da spremere e gettare. Di lì in poi: il consueto tradimento dei sindacati, l’ostinazione di una lotta che continua e blocca lo stabilimento, e poi le botte della polizia e gli arresti. Su tutto: la polizia che gioca a carte scoperte, che dopo le cariche chiede i documenti minacciando di “revocare i permessi di soggiorno” degli scioperanti.
Ascolta questo racconto collettivo fatto da Brembio ai microfoni di Radio Blackout:
[audio:http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/brembo.mp3]
Riportiamo qui sotto una breve – e sicuramente incompleta – cronologia di fatti occorsi in Francia e in Belgio negli ultimi due mesi di lotta contro i Centri di detenzione per senza-documenti e contro le galere. Ve la proponiamo perché dimostra una vivacità e una varietà di pratiche che alle nostre latitudini sembrano essersi smarrite: siamo certi che questa nostra sia una défaillance momentanea, ma è pur vero che è resa ancora più evidente dal notevole scarto che c’è con il livello di determinazione espresso in Italia dai prigionieri (con o senza i documenti) da quest’estate in avanti. Sia come sia: se pensiamo che il nostro esserci dichiarati complici e parte in gioco di queste lotte debba esser cosa concreta e possa pesare sul corso futuro degli eventi, allora guardare a cosa succede a Nord del confine può darci perlomeno qualche buon suggerimento. E ce n’è, come leggerete, per tutti i gusti. Soprattutto quando si bada alla sostanza e alla precisione del proprio agire e ci si mantiene lontani, come in questo caso, da pesantezze ideologiche, formalizzazioni organizzative e tremendismi verbali francamente un po’ stantii.
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Si chiamava Diego Da Costa Santos, almeno così c’era scritto sui suoi documenti. Il nome che aveva scelto per se stessa non lo sappiamo ancora. «Non la conoscevo prima che entrasse qui dentro. L’hanno portata a Corelli 5 giorni fa. I giornali parlano di una persona di 34 anni ma non è vero, ne avrà avuti al massimo 24, era praticamente una bambina». Inizia così il racconto di una sua compagna di cella, reclusa nella sezione per transessuali del Cie di Milano. Era stata portata in Italia dall’uomo che la costringeva a prostituirsi. Il “debito” da saldare era di 7.000 euro e lei li aveva pagati con il suo corpo fino all’ultimo centesimo. Le minacce per costringerla a pagare altri soldi l’avevano portata a sporgere denuncia nei confronti del suo sfruttatore. La polizia, che le aveva promesso la libertà e la protezione, dopo poco l’ha arrestata durante una retata e l’ha rinchiusa nel C.ie ignorando completamente la documentazione che certificava la denuncia. Le minacce hanno continuato a perseguitarla lì dentro, tra le mura del lager per migranti di Milano, dirette anche contro i suoi familiari in Brasile. La violenza del racket prosegue, questa volta negandole di riavere indietro il passaporto che le avrebbe permesso di uscire da quella gabbia. Intrappolata tra due forme di potere, una di chi voleva sfruttarla e l’altra dello Stato che ha ignorato la sua condizione continuando a perseguitarla, ha preso un lenzuolo e si è tolta la vita.
È questo il prezzo da pagare per la libertà?
In questi giorni si susseguono le notizie di atti di autolesionismo e tentativi di suicidio nei Cie di Roma e Milano… il segnale che ci stanno lanciando è chiaro. Ma quanti altri morti dovremo aspettare prima di chiudere questi lager?
Queste sono le parole di presentazione della puntata speciale di “Silenzio assordante” dedicata a queste giornate di Natale dentro ai Cie.
Ascolta la puntata.
Ascolta la corrispondenza con il Cie di Milano.
Ascolta la corrispondenza con il Cie Ponte Galeria a Roma.
Una mezzoretta fa ci è arrivata una telefonata da dentro uno dei Cie qui del nord Italia: gira voce, ci hanno detto, che in via Corelli sarebbe morto un recluso, suicida. E proprio mentre cominciavamo a fare qualche verifica abbiamo rintracciato in rete questo lancio di agenzia:
«Un trasessuale brasiliano di 34 anni, bloccato domenica scorsa perché irregolare, si è impiccato nel Centro di identificazione ed espulsione di via Corelli a Milano. Per uccidersi ha usato un lenzuolo, fissato alle sbarre della finestra della sua stanza al Cie. Il cadavere è stato scoperto intorno all 15,30 da un altro immigrato trattenuto nel centro, che ha dato l’allarme.
Secondo la prima ricostruzione, il transessuale sarebbe entrato nella sua stanza attorno alle 14 e da quel momento nulla di strano è stato notato fino alla tragica scoperta del suo gesto. Liberato dalla stretta del lenzuolo, il trans è stato subito portato in infermeria dove sono iniziate, senza esito, le manovre rianimatorie. Quando è arrivata l’ambulanza, il rianimatore non ha potuto fare altro che constatare la morte. Ignota al momento la causa del suicidio. La polizia tiene a sottolineare che in questi giorni il Cie non è particolarmente affollato.»
Aggiornamento ore 23.oo. E già. Nel reparto trans di via Corelli, riaperto da pochissimo, una reclusa si è impiccata. Era stata catturata cinque giorni fa e, dai racconti che siamo riusciti a raccogliere fino ad adesso, prima di uccidersi avrebbe chiesto senza essere ascoltata di essere trasferita in un’altra sezione.
Ascolta questo racconto a più voci, raccolto da Macerie per Radio Blackout, di alcuni reclusi di via Corelli:
[audio:http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/natale-in-via-corelli.mp3]
Aggiornamento 26 dicembre. Un rumoroso presidio di fronte al Centro porta, questo pomeriggio, la solidarietà degli antirazzisti milanesi ai reclusi di via Corelli. Un altro, più piccolo e improvvisato, si era svolto già ieri sera. Mentre fuori dai cancelli si batte e si fa rumore, da dentro si infittiscono le telefonate e si chiariscono i fatti di questi giorni. La reclusa suicida era in “isolamento” perché ultimamente era un po’ troppo agitata: il suo passaporto era in mano alla persona sbagliata, che la terrorizzava. E se arrivi dal Brasile, e sei trans, e sei nelle mani di questurini bugiardi il tuo passaporto è una questione di vita o di morte. E poi un fiume di storie, un po’ dal “reparto trans” di via Corelli appena riaperto, un po’ dal reparto delle donne: tentativi di suicidio, scioperi della fame, disperazione e prepotenze della polizia.
Ascoltate queste due testimonianze agghiaccianti, raccolte telefonicamente dalle redattrici di “Silenzio assordante”, la trasmissione di Radio Onda Rossa dedicata alle lotte nei Centri:
[audio:http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/da-corelli-26-dicembre.mp3]

È uscito il secondo numero di “Rompere i muri del silenzio”, il numero 1. Da Milano, un bollettino per dare voce a chi è rinchiuso dentro ai Centri.
Scarica, stampa e diffondi il numero 1.
Scarica, stampa e diffondi il numero 0.
«È una persecuzione, fanno come ha fatto Hitler con gli ebrei. Sono senza pietà con noi». Questa è la conclusione del breve racconto che ci ha fatto al telefono un giovane ospite del Cie di Ponte Galeria questa sera. Ieri un suo compagno di gabbia ha provato a darsi fuoco per protesta nell’infermeria del Centro. Sbarcato da poco in Italia, una mano paralizzata a causa di una operazione malriuscita fatta nel suo paese, stava chiedendo al responsabile sanitario del Centro se era possibile farsi curare in Italia, ricevendone in cambio, più o meno, questa cortese risposta: «non ce ne frega niente della tua mano, è un un problema vecchio, vai da Berlusconi e fatti aiutare da lui». Per fortuna il fuoco è rimasto circoscritto al petto, causando pochi danni.
E poi ci sono tutte le altre storie di Ponte Galeria: il riscaldamento che non va, i tentativi continui di suicidio, l’autolesionismo diffuso, la brutalità della polizia, il cibo scadente.
Ascolta una testimonianza, in francese:
[audio:http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/da-ponte-galeria-22-dicembre-francese.mp3]
Ed un’altra, in italiano:
[audio:http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/da-ponte-galeria-22-dicembre_italiano.mp3]
Aggiornamento 23 dicembre. Continua la tensione dentro a Ponte Galeria: anche oggi un recluso si è ferito gravemente per protesta, questa volta alle braccia. In infermeria gli hanno dato parecchi punti di sutura ed ora è di nuovo nelle gabbie insieme ai suoi compagni.
Va un po’ meglio al Cie di Bari Palese. A quanto pare, gli Operatori Emergenza Radio che gestiscono il Centro sono venuti a conoscenza delle testimonianze registrate negli ultimi giorni, lo hanno detto ai reclusi e hanno ricevuto questa risposta: “embè? è la verità e anche voi lo sapete”. Quali che siano le ragioni del loro timore, i gestori hanno promesso un vitto migliore, dei vestiti, e il recluso che da quasi due mesi non mangia e non parla è stato finalmente portato in ospedale. Merito della “contro-informazione”? Chissà. E soprattutto, chissà fino a quando basterà…
Ascolta una diretta con un recluso del Cie di Bari – Palese
[audio:http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/cie-bari-un-po-meglio-20-dicembre-2009.mp3]
20 dicembre. Una trentina di antirazzisti sfidano le temperature polari e per due ore si piazzano – come ogni terza domenica del mese – sotto al Cie di corso Brunelleschi. All’inizio è il gelo e nessuno capisce se dentro qualcuno sente il baccano. Ma poi, a forza di slogan, petardi, fuochi artificiali, musica, superalcolici e balli anticongelamento il ghiccio si rompe e i reclusi cominciano a farsi sentire telefonando ai solidali fuori e a radio Blackout, che come sempre ha dato loro voce.
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Mercoledì 23 dicembre la Corte d’Appello di Torino deciderà se confermarci o meno la “sorveglianza speciale”.
Siamo accusati di batterci contro il razzismo di Stato e per la chiusura dei Centri di identificazione ed espulsione per immigrati senza documenti, con l’aggravante di ostinarci a raccontare – su questo blog, su radio Blackout 105.250, in strada – la storia di questa lotta, i suoi metodi e i suoi risultati, e di lottare anteponendo il nostro senso di giustizia ai limiti imposti dalla Legge. Proprio in un momento in cui per Legge anche l’illusione della libertà e dell’uguaglianza di tutti viene abrogata giorno dopo giorno, emergenza dopo emergenza, pacchetto dopo pacchetto.
Ben sapendo che questa città cammina sempre sul filo dell’esplosione, la Questura si è messa in testa che gente socialmente pericolosa come noi non se ne debba andare troppo in giro, per evitare di far diventare socialmente pericolosi anche altri, per evitare che il pericolo dilaghi. I questurini han chiesto al Tribunale di limitare la nostra libertà, quasi che fossimo un focolaio di influenza da isolare o un principio di incendio da circoscrivere. Tesi tanto lusinghiera nei nostri confronti quanto risibile: ma sta il fatto che il Tribunale ha dato loro retta, e sono quasi due mesi che non possiamo partecipare a manifestazioni, non possiamo uscire di casa di notte, non possiamo frequentarci né frequentare chiunque abbia subìto una condanna, e altro ancora.
“Prevenire è meglio che curare” – avran pensato i giudici quando hanno deciso di serrare, almeno un po’, il chiavistello alle nostre porte. Ma hanno preso una cantonata, una cantonata colossale, e basta scorgere le cronache di questi due mesi per averne la prova. A debordare, ora che siamo “sorvegliati speciali”, sono proprio alcune delle pratiche delle quali – a torto o a ragione – i nostri faldoni sono colmi: dagli attacchi ai propagandisti razzisti alla complicità con le lotte dentro ai Cie, dalle presunte “istigazioni” alla resistenza nei quartieri proletari all’occupazione di stabili abbandonati.
Se, prima della profilassi, le contestazioni ai partiti razzisti coinvolgevano pochi compagni, subito dopo a rovesciare un gazebo della Lega Nord e a cacciare i fascisti ci hanno pensato fino a duecento persone tutte insieme, come è successo in piazza Castello a fine ottobre.
Se, prima della profilassi, le proteste dei reclusi nel Cie di Torino arrivavano a scioperi della fame e atti di autolesionismo, subito dopo quegli stessi hanno cominciato a demolire muri, vetri, arredi e a scontrarsi con le guardie.
Se, prima della profilassi, a portare insieme a noi solidarietà agli immigrati in lotta non c’era poi tanta gente, subito dopo, alla prima occasione, a radunarsi sotto alle mura del Cie per protestare contro l’arresto di tre reclusi ci sono andati in cinquanta, ed hanno pure pensato bene di tirare giù una telecamera di sorveglianza.
Se, prima della profilassi, le proteste in strada contro arresti e sgomberi coinvolgevano poche decine di compagni, ora si stanno allargando, non solo per numero ma anche per determinazione e coinvolgimento sociale. Solo due settimane fa, centocinquanta solidali sono rimasti in strada per difendere dallo sgombero L’Ostile Occupato, e soprattutto, ai balli che ne sono seguiti hanno partecipato anche ragazzi del quartiere e gente sconosciuta: chi preparando uno striscione, chi incendiando cassonetti, chi perlustrando in bicicletta la zona per informare i ribelli degli spostamenti della celere, chi dando consigli tattici. O anche applaudendo ed incoraggiando, o anche solo vivendo la strada in maniera diversa, improvvisando partite di pallone tra una carica e l’altra della polizia.
Piccole cose ancora, ma che prefigurano in miniatura le sommosse di dopodomani, il picco del contagio che tanto maldestramente Questura e Tribunale vorrebbero arginare. Contagio che non parte certo da noi, ma cui abbiamo partecipato e cui partecipiamo ancora, nonostante gli obblighi che ci sono stati imposti e che tra qualche giorno vorrebbero confermarci. Contagio che sta nelle cose e che di giorno in giorno dilaga in mille angoli della città: ora come ora, a Torino, basta avere diciassette anni per dimostrare che si può tenere la testa alta di fronte alla polizia che carica, e venti per suggerire che i responsabili delle nostre miserie possiamo andarceli a cercare a casa loro, senza mediazioni.
Se questi sono i risultati delle attenzioni di questurini e giudici di guardia nei nostri confronti, immaginiamo il loro imbarazzo quando li dovranno illustrare al loro Grande capo. Noi, da parte nostra, al Grande capo ci rivolgiamo direttamente e gli diciamo quel che gli dicevamo in occasione dell’udienza di primo grado: «Il mondo vi sta scoppiando tra le mani, ed è lampante che non sapete che pesci prendere». E continuiamo a dirglielo ridendo, come al solito: sorvegliateci i maroni.
i due sorvegliati
Nel Cie di Bari Palese va sempre peggio. Pare che prima di Natale non uscirà più nessuno e dopo natale forse rimpatrieranno alcuni ragazzi che sono stati ripresi dalle telecamere mentre erano sul tetto la notte della rivolte. Come se non bastasse, gli addetti alle pulizie (almeno in alcuni moduli), non si fanno vedere da giorni, i reclusi puliscono le gabbie come possono ma la spazzatura resta lì comunque, perché nessuno la porta via. Un paio di moduli invece vengono tenuti “leggermente” meglio, nel caso arrivasse un parlamentare curioso.
Un recluso ieri pomeriggio ha fatto la corda, ma i militari – non si sa con quanta gentilezza – gliel’hanno impedito. I termini di paragone che i reclusi usano per descrivere la loro situazione sono ormai ricorrenti, ovunque: peggio di Guantanamo, peggio di un lager nazista, peggio del G8 a Genova 2001. Sempre peggio, appunto.
Ascolta un’intervista con un recluso del Cie di Bari
[audio:http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/cie-bari-sempre-peggio-19-dicembre-2009.mp3]