Corelli bis

Poteva essere un’udienza noiosa, quella che  martedì17 novembre si è svolta al Tribunale di Milano. La prima del processo ai quattro reclusi del Cie di via Corelli a Milano, arrestati dopo la rivolta del 7 novembre. Scelta tra rito abbreviato o rito ordinario, richiesta di prove (tra cui il regolamento del Cie, di cui si vocifera peraltro l’inesistenza), richiesta di testimonianze (tra cui quella sicuramente preziosa dell’ispettore-capo Vittorio Adesso, di cui si vocifera la particolare attenzione verso le recluse). Insomma le solite robe da tribunale. Ma ci ha pensato il giudice, Antonella Bertoja, a ravvivare la cerimonia con un colpo di scena finale, lasciandosi scappare come, secondo lei, “l’esultanza per il lancio di oggetti è già un concorso in reato”. Affermazione che è peraltro tutta da dimostrare, ma che rivela una discreta inimicizia del magistrato nei confronti degli imputati. Cose che si sanno, vostro onore, ma non si dicono.

Per saperne di più, ascolta un’intervista con uno degli avvocato degli imputati

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Uomini in viaggio

Adel, una delle voci che da settimane narrano le rivolte dei lager italiani, uno dei loro protagonisti, è stato espulso sabato scorso, il 14 novembre 2009. Viene svegliato all’alba da caschi e bastoni bene in mostra, prelevato dalla gabbia e condotto d’urgenza  a Genova. Prima dal console tunisino, che frettolosamente firma il nulla osta per l’espulsione; poi al porto, dove viene imbarcato in catene sul traghetto delle 18.00 della Compagnie Tunisienne de Navigation. E c’era pure chi lo salutava, Adel, e una lunga mano che gli lasciava un pacchetto di sigarette. La gelida mano della burocrazia italiana gli lascia un foglio di via che gli promette carcere se rientra in Italia, e due accuse di resistenza e danneggiamento che non sono niente in confronto. Tant’è che i magistrati non avranno il piacere di interrogarlo, per questi processi. Buon per loro, si risparmieranno racconti di tentate evasioni collettive e violenti pestaggi di rappresaglia, di gesti di protesta estremi fino alla mutilazione e di guardie indifferenti, e della rabbia di uomini e donne chiusi in gabbia per mesi senza motivo e trattate peggio delle bestie. In effetti non è una storia così sorprendente. E non è neanche l’unica, se pensiamo a tutte le volte che uno o un gruppo di reclusi scavalca e fa perdere le proprie tracce, o a tutti le volte che intere sezioni insorgono e demoliscono tutto quello che possono per difendersi dalle cariche.

Mimì è uscito dal Cie lo stesso giorno in cui hanno espulso Adel. Anche lui un rompicoglioni per l’amministrazione dei Centri, temeva fino all’ultimo che gli tirassero qualche brutto scherzo. Racconta che la cosa peggiore, la vera tortura del Cie è l’incertezza della fine che farai, né del momento in cui arriva. E che nell’ultimo periodo, da quando al Centro è passato il console marocchino, le espulsioni sono state tante, una decina contro le solite due, o addirittura una a settimana. Anche Mimì ha ricevuto un ricordino dal Cie: un bell’ordine di allontanamento dall’Italia in cinque giorni. La Questura non ce l’ha fatta e, stizzita, se lo ribecca mette dentro. Peccato che anche Mimì abbia dei conti in sospeso con la giustizia italiana: ha denunciato di essere stato picchiato dai militari fino a perdere un dente, e di aver subito forti pressioni per ritirarla, quella denuncia, “tanto un clandestino non può vincere contro lo Stato”. In un’aula di tribunale è praticamente escluso, ci pare di capire. Ma dentro al Cie di Torino la voce che circola dal pomeriggio è che Mimì è uscito a forza di rompere i coglioni alle guardie e alla crocerossa. E in serata si ricomincia, braccia tagliate e televisori rotti, grida e proteste, e un presidio volante fuori dal Cie di una ventina di solidali, con petardi e fuochi artificiali.

Ascolta il riassunto della giornata trasmesso da Radio Blackout, all’interno dello “Speciale Cie” di domenica mattina:

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E ascolta la voce di un recluso trasmessa in diretta da Radio Blackout durante il presidio di domenica

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Attesa a Ponte Galeria

Sono ore di attesa queste, dentro al Cie di Ponte Galeria a Roma. Una attesa carica di tensione, perché da venerdì scorso i reclusi non hanno più notizie di un loro compagno di prigionia che si era sentito male dentro alle gabbie ed era stato portato via d’urgenza dalla Croce Rossa. Faid si chiama, e tutti sanno che è malato di cuore.
Già ieri dentro alle gabbie si era sparsa la voce che Faid fosse morto ancor prima di giungere all’ospedale. Oggi, poi, un avvocato ha confermato questa notizia ad un suo cliente dentro, ed anche ad alcuni solidali che si sono intereressati alla vicenda. La Croce Rossa, al contrario, nega tutto come al solito. Ci aspettiamo di conoscere la verità nelle prossime ore.
Questa mattina, invece, i crocerossini hanno fatto “irruzione” in una gabbia per prelevare un ospite malato, probabilmente affetto da influenza A. I crocerossini erano tutti protetti da mascherine su viso e naso, quando invece i reclusi sono rimasti a contatto per giorni con il virus, al freddo, sotto l’acqua piovana, in spazi angusti e senza alcuna precauzione. I compagni di cella dell’ammalato hanno chiesto di essere visitati anche loro, ma senza alcun risultato. Così, per protesta, buona parte degli internati della sezione maschile hanno rifiutato il pranzo.
A presto aggiornamenti.

Per farvi una idea delle condizioni di vita dentro al Centro di Ponte Galeria, ascoltate il servizio trasmesso da Radio Blackout, all’interno dello “Speciale Cie” di questa mattina:

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Aggiornamento 16 novembre. Secondo la direzione sanitaria del Centro e il Garante dei detenuti del Lazio, Faid sarebbe ancora ricoverato – in prognosi riservata – all’ospedale Forlanini di Roma. La stessa notizia è stata confermata da un articolo pubblicato questa mattina dall’edizione romana del Corriere della Sera. Ulteriori informazioni sulla giornata di domenica nel Cie di Ponte Galeria le potete ascoltare in questa diretta registrata da Radio Onda Rossa.

Aggiornamento 17 novembre. Un certo via vai dal Centro, e arriva qualche notizia in più. Faid, secondo il vicedirettore del Centro, sarebbe ancora ricoverato, grave ma non gravissimo, colpito da una ischemia celebrale. Non si hanno ancora notizie, invece, su quale tipo di influenza ha contagiato il ragazzo portato all’ospedale domenica mattina: quello che si sa è che lui, fatti gli esami, si è allontanato dall’ospedale e non si è fatto più vedere.

Un corteo che c’è

È il primo pomeriggio di sabato, in corso Giulio Cesare. Improvvisamente si materializzano una cinquantina di manifestanti, armati di striscioni, volantini, megafono, manifesti e vernice. Bloccano l’incrocio e cominciano a parlare, a spiegare perché sono lì e perché protestano; intanto qualcuno oscura una telecamera di sorveglianza e si prepara ad accecare tutte quelle che troverà sul suo cammino. Poi partono per un lungo giro tra Borgo Dora e Porta Palazzo: è un vero e proprio piccolo corteo. La Celere non c’è, e neanche la Digos: per questo corteo nessuno ha chiesto l’autorizzazione, né è circolato alcun appello. Un corteo che c’è e basta, blocca il traffico e gira industurbato a Porta Palazzo fino nel centro del mercato e poi dentro a Borgo Dora. L’aria si riempie di discorsi e slogan, i muri di manifesti e scritte: contro le espulsioni, contro la violenza della polizia («Zelante come uno sbirro che uccide», recita uno degli striscioni), contro gli sgomberi, contro i razzisti della Lega e contro la “sorveglianza speciale”. Si parla molto dell’espulsione di Adel, ma anche della morte di Stefano Cucchi e dell’arresto in Grecia di Alfredo Bonanno e Christos Stratigopoulos. Dopo un’oretta di strada, i manifestanti si disperdono. La volante che aveva seguito il corteo – lasciandosi depistare varie volte e senza mai osare avvicinarsi – rimane da sola. Solo dopo un po’ arriverà la Digos e si apposterà a sorvegliare il niente, tentando di digerire l’ennesimo smacco.

Intorno a San Vittore

Ripubblichiamo qui sotto la cronologia fatta da alcuni compagni milanesi delle vicende occorse nella loro città in appena una settimana. Vicende che hanno visto intrecciarsi, sul piano della lotta prima, poi su quello repressivo, ma poi ancora su quello della lotta i reclusi dei Cie, il movimento degli studenti e poi il “movimento” in generale. 

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E cinque

La quinta sommossa in poco più di una settimana. Dopo le due di Torino, quella di Milano e quella di Brindisi, ora a scendere in campo sono i prigionieri del Cie di Pian del Lago a Caltanissetta, che – secondo quel che raccontano la polizia e i soldati – avrebbero tentato una evasione di massa nella notte tra venerdì e sabato. Eccovi il resoconto che ne fa l’Adnkronos:

«Rivolta al Cie di Pian del Lago a Caltanissetta. La notte scorsa poco dopo le due un gruppo di extracomunitari, dopo aver divelto il piano superiore in cemento armato di un tavolo dalla mensa ha tentato di sfondare i cancelli laterali del Cie, utilizzando il tavolo come ariete. Lancio di oggetti attraverso le sbarre al personale delle forze di polizia e dell’Esercito Italiano intervenuto per sedare la rivolta. A quel punto gli extracomunitari si sono allontanati dalla recinzione in ordine sparso spostandosi all’interno dei tre padiglioni dormitorio e hanno appiccato il fuoco a tutti i materassi e ad altri oggetti. Sul posto sono intervenuti anche i Vigili del Fuoco per spegnere le fiamme.

Al termine dei disordini nessun immigrato si è allontanato dalla struttura e non si sono registrati feriti né tra gli stranieri né tra le forze di polizia. Sono al vaglio degli investigatori della Polizia le posizioni degli extracomunitari responsabili di danneggiamento.»

Scritte

14 novembre. Scritte contro i Cie e chi li gestisce compaiono nel pomeriggio sui muri della Misericordia a Collegno, del consorzio Kairos e della Croce Rossa in via Bologna a Torino.

Sfilata

14 novembre. Sfilata antirazzista in giro per Borgo Dora e Porta Palazzo, in mattinata, dietro allo striscione «Cie = lager. Rompere le gabbie». Un antirazzista è travestito da padrone, altri due – in gabbia – da lavoratori immigrati senza permesso di soggiorno. Il capitalista arringa la folla, vantandosi dei soldi fatti sulle spalle di chi lavora, magari in nero, senza permesso e ricattato ogni giorno grazie alle leggi razziste fatte dai governi. La gente del mercato riconosce nelle storie raccontate le proprie storie, capisce e applaude.