25 ottobre. Una trentina di antirazzisti ha manifestato la propria solidarietà alle recluse e ai reclusi nel Cie di corso Brunelleschi a Torino, dando vita a un presidio con musica, petardi e interventi al microfono. Da dentro hanno risposto con grida, fischi e telefonate. Attraverso una diretta da Radio Blackout la voce di un recluso a Milano li ha informati che nel Cie di via Corelli era in corso una protesta per ricevere le dovute cure contro un’epidemia di influenza.
Questa settimana dentro al Cie di via Corelli è scoppiata un’epidemia di influenza, ovviamente aggravata dalla pietosa condizione igienica e sanitaria nella quale sono costretti a vivere i prigionieri. Alcuni di loro, costretti a letto dalla febbre alta, hanno dovuto essere trasportati in infermeria a braccio dai propri compagni visto il rifiuto netto dei medici della Croce Rossa di entrare nelle gabbie. Le cure, come al solito, sono superficiali e per protestare già da venerdì 28 prigionieri hanno indetto uno sciopero della fame. Sei di loro, che evidentemente rompevano troppo le scatole, sono stati picchiati dalla polizia mentre la Croce Rossa ha continuato a minimizzare, somministrando un po’ di tachipirina, un po’ bicarbonato per fare gargarismi e molti psicofarmaci.
Il nervosismo dentro alle gabbie è salito ulteriormente sabato mattina quando è arrivata la notizia che tre dei prigionieri del Centro – un marocchino e due tunisini – erano stati deportati in… Algeria! E così ieri sera la disperazione ha preso il sopravvento. Prima solo uno, poi anche altri quattro prigionieri della sezione hanno cominciato a tagliarsi, nella speranza di essere portati al Pronto soccorso per ricevere le cure necessarie; si sono tagliati il petto, le braccia, uno è arrivato a incidersi un taglio sul collo… I crocerossini, però, non hanno mosso un dito fino al pomeriggio di oggi quando, dopo essersi accorti che i reclusi sono in contatto costante con l’esterno, hanno mandano un infermiere dentro alle gabbie per medicare le ferite più profonde. Poco dopo alcuni poliziotti entrano nelle camerate consigliando ai presenti di smetterla di lamentarsi e minacciando ritorsioni: i prigionieri a questo punto scoppiano davvero e in due sezioni portano fuori dalle celle i materassi e li incendiano. La polizia entra nelle gabbie con i manganelli e spegne i fuochi, tre reclusi vengono portati dall’ispettore capo del Centro ed uno torna nelle camerate con sul viso i segni degli schiaffi e delle percosse.
In serata sono solo in tre a proseguire lo sciopero della fame e la polizia presidia i corridoi. In più è tutto il giorno che i riscaldamenti sono spenti. Questo è il numero del centralino di Corelli 02 70001950. Telefonate per fare pressione perché i reclusi feriti e malati vengano portati in ospedale e perché il riscaldamento venga immediatamente riacceso.
Ascolta il collegamento registrato da Radiocane nel pomeriggio, che bene rende l’idea di che aria si respira quotidianamente dentro ai Centri.
Ascolta anche il collegamento di Radio Blackout con i reclusi di Milano, trasmesso in diretta anche durante il presidio che in quel momento si stava tenendo di fronte al Centro di Torino:
[audio:http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/corelli-25-ottobre.mp3]
Aggiornamento 26 ottobre. Al risveglio i tre reclusi ancora in sciopero vengono convocati dall’Ufficio immigrazione del Centro e viene garantito loro che saranno curati e che i sanitari ricominceranno a dar loro i farmaci non appena riprenderanno a mangiare. Intorno a mezzogiorno, però, ritorna il fuoco nel Centro: è un prigioniero che, dopo aver parlato con il proprio Console, brucia dei materassi per protesta.

24 ottobre. Per impedire un volantinaggio indetto pubblicamente dai neofascisti di Casa Pound, alle tre di pomeriggio circa 150 compagni si radunano in piazza San Carlo. Dopo un po’, qualcuno si accorge che i camerati stanno ben nascosti a un isolato di distanza, oltre il cordone di celere: i manifestanti fanno velocemente il giro dell’isolato e attaccano i fascisti di sorpresa. Di questi, una decina scappa subito, mentre tre o quattro rimangono e si prendono le botte, fino a quando la polizia non accorre in loro aiuto e respinge i gli antifascisti, dividendoli in due tronconi. Dopo qualche minuto di tensione, i manifestanti si riuniscono di nuovo in piazza San Carlo e attendono che i fascisti se ne vadano, con le pive nel sacco. Risolto il primo problema, si pensa immediatamente alla Lega Nord, che poco distante aveva allestito un gazebo con lo striscione “no alle cliniche nelle stalle” per protestare contro l’ambulatorio popolare Fatih aperto nel centro sociale Gabrio. Ma l’indegna provocazione dura ancora poco.
(more…)

Apprendiamo dai siti internet di alcuni quotidiani che, dopo due settimane, il Tribunale di Torino ha sciolto la riserva sulla richiesta della Questura di applicare la misura della sorveglianza speciale a due redattori di macerie (e storie di Torino). La sentenza prevede rispettivamente un anno e due mesi a uno, un anno e quattro mesi all’altro. E mentre Roberto Maroni telefona a Giancarlo Caselli per complimentarsi, mentre Spartaco Mortola brinda assieme ad Andrea Padalino per il grande risultato ottenuto con così poco sforzo, in attesa di conoscere anche noi le motivazioni e i dettagli del provvedimento, vi riproponiamo due scritti sull’argomento:
È passato esattamente un mese da quando, su Macerie (e storie di Torino) e su altri siti e poi addirittura sulla prima pagina di un quotidiano nazionale, hanno cominciato a circolare le immagini del massacro nel Cie di Gradisca d’Isonzo del 21 settembre scorso. A occhio e croce, solo nelle differenti riproposizioni apparse su youtube, almeno diecimila persone hanno potuto vedere i feriti distesi a terra in mezzo al sangue, gli occhi gonfi, i segni delle manganellate, i soldati coi caschi e con gli scudi che caricano senza pietà della gente chiusa dentro a quella specie di pollaio infernale costruito e tenuto aperto con il beneplacito di tutti gli schieramenti politici.
Ingenuamente, un compagno nostro, nel vedere in anteprima il breve filmato, ci ha detto convinto: «guardate che siamo ad una svolta, ora che tutti possono vedere cosa sono i Centri, come sono fatti, cosa succede al loro interno, ecco… ora qualcosa deve cambiare per forza!» Uno dei vecchi assiomi della controinformazione: quando il mostro è eccessivamente mostruoso basta illuminarlo di fronte al grande pubblico e scomparirà da sé, quasi si vergognasse di esistere, proprio come i fantasmi della notte alle prime luci dell’alba.
E invece qui nessuno si vergogna di nulla.
(more…)
A Lione, i reclusi del locale Centro di detenzione per senza-documenti sono scesi in sciopero della fame il 15 ottobre scorso. Già il giorno dopo la polizia ha deportato 8 di loro e nei giorni successivi lo sciopero si è frantumato. Martedì scorso, 20 ottobre, erano rimasti solo in 5 a scioperare. In loro appoggio c’è stato un presidio improvvisato e rumoroso domenica e una manifestazione dovrebbe essersi tenuta ieri. Di questa storia della quale non ne sappiamo molto, siamo in grado di farvi leggere la lettera collettiva che i reclusi hanno scritto al direttore: un misto di rivendicazioni immediate e parziali, inframezzate però, da un urlo senza condizioni, «libertà!».
(more…)
22 ottobre. Cinque giovani universitari leghisti piazzano un banchetto fuori dalla facoltà di Scienze Politiche. L’avevano annunciato qualche giorno prima, e in tanti si presentano per contestarli: studenti democratici più o meno pacifisti, nostalgici dell’Onda dell’anno passato, semplici antirazzisti o normalissimi studenti meridionali, disgustati dai discorsi dei giovani padani. Giovani, i leghisti, ma più vecchi dei loro leader: ce l’hanno ancora con i terroni, colpevoli di occupare i posti nei collegi universitari torinesi. Tra i contestatori qualcuno distribuisce volantini contro l’intolleranza dei leghisti, qualcuno discute animatamente con i giovani padani, trincerati dietro al loro banchetto e scortati da agenti in borghese. Volano parole grosse e qualche spintone, alcune fialette puzzolenti dimostrano quanto i leghisti puzzino di merda e dal banchetto leghista spariscono volantini, adesivi, una bandiera e anche l’autorizzazione, con il calendario dei prossimi banchetti.
(more…)
Qualche aggiornamento dal Cie di corso Brunelleschi a Torino. Mimì, il ragazzo picchiato dai militari un mesetto fa, è in sciopero della fame da due settimane esatte, da solo, e chiede con insistenza di essere liberato, anche se recentemente la sua detenzione è stata prolungata da uno zelante giudice di pace.
Nel frattempo, questa mattina, le recluse della sezione femminile hanno malmenato e respinto tutte assieme un addetto alle pulizie. Non sono chiari i motivi della protesta, ma pare che la calma sia tornata solo dopo l’intervento della polizia con i manganelli bene in vista, anche se fortunatamente non ci sono stati feriti.
L’avevamo sentito venti giorni fa, e fino ad oggi non è cambiato niente. Proprio come allora non mangia. Allora era uno solo, ora sono quasi due i mesi di sciopero della fame di Elham Elalami, recluso nel Cie di Gradisca. Sciopera da solo, perché vuole un permesso di soggiorno che nessun funzionario sembra volergli concedere. Sciopera perché vuole avere in mano quel maledetto pezzo di carta, con il timbro e con la foto, e lo vuole perché si è fatto sfruttare per anni con contratti regolari, perché ha trovato una donna che ora lo aspetta a casa, perché con lei ha già due bambini e un altro è in arrivo, perché senza di lui tutti i suoi non sanno come pagare l’affitto e non sanno come tirare avanti. Non può stare senza di loro, e loro non possono stare senza di lui, ma senza quella foto e quel timbro non potrebbe stare con loro per davvero, sarebbe ancora una vita da braccati, una vita in fuga, una vita da solo. Questo, almeno, ci è parso di capire di lui e della sua ostinazione. Tante volte avrebbe potuto scappare, Elham Elalami, ma non l’ha mai fatto: dal Centro vuole uscirci con la foto e col timbro – oppure da morto. Fino ad ora ci ha guadagnato solo tre ricoveri all’ospedale, un tentativo di Tso, alimentazione forzata e ulteriore disperazione.
Figuratevi che noi, noi che stiamo qui a raccontarvi di lui che è disposto a morire per un permesso di soggiorno, noi siamo proprio quelli che nelle piazze urlano che «un pezzo di carta non vale una vita» oppure ancora che permessi di soggiorno e carte di identità sono solo pezzi di carta che bruceranno presto. Ecco, alla prossima piazza noi queste cose le urleremo ancora e le urleremo ancora più forte e lo faremo pensando anche a lui, a Elham Elalami, alla sua ostinazione, e a questo mondo infame che lo sta facendo morire per un timbro e per una foto su di un miserabile pezzo di carta.
«Una ventina di vandali mascherati hanno invaso, giovedì scorso, l’impresa edile Besix, nel comune di Sint-Denijs-Westrem in provincia di Gand, e l’hanno saccheggiata. Il fatto sarebbe stato causato dal malcontento provocato dall’annunciata costruzione di un nuovo Centro di reclusione per senza-documenti a Steenokkerzeel, accanto a quello già esistente, il “127bis”.
La banda è entrata nell’edificio di Besix, Kortrijksesteenweg, in tarda mattinata. I vandali hanno rovinato l’arredamento, gettato della vernice nera ovunque, hanno sciupato materiale d’ufficio, computer, quadri e flatscreen, hanno versato un prodotto maleodorante al suolo. Questo trattamento è stato riservato alla sala d’aspetto, a vari uffici dell’impresa e anche allo spazio dedicato alle conferenze. Degli slogan sono stati vergati in nero su di un muro: «No borders» e «127tris JAMAIS».
Gli energumeni hanno detto alla signorina della réception di stare calma e che non le sarebbe successo niente. Hanno anche dichiarato che il loro atto era «la logica conseguenza della costruzione di prigioni». Compiuto il misfatto, sono fuggiti senza che nessuno li inseguisse.
La polizia non ha elementi concreti per indagare nessuno, ma ha dichiarato che sicuramente si tratterebbe di anarchici.»
Het Nieuwsblad, 16 ottobre 2009