21 ottobre. Nottata antimilitarista nel torinese. Alla Fiat Avio, all’Alenia, alla Moreggia e all’Iveco – quattro tra le principali aziende che producono armi e che hanno sede in provincia, tra Torino, Rivalta e Collegno – compaiono scritte, fantocci insanguinati, striscioni. In un caso la strada privata che porta ad una di queste viene simbolicamente chiusa.
21 ottobre. Intorno alle 7.30 del mattino un gruppo di solidali con il Velena Squat appena sgomberata ha tirato metri di catena e due striscioni sul ponte di Sassi, dimostrando che anche in pochissimi si può bloccare il normale tran tran cittadino, difendersi e dire la propria.
21 ottobre. Il Senato Accademico del Politecnico deve approvare la tanto contestata riforma, che dall’anno prossimo chiuderà sedi decentrate e corsi di laurea, introdurrà soglie e sbarramenti e sostituirà alcuni corsi con lezioni videoregistrate. Temendo l’arrivo dei barbari, il rettore Profumo chiama diversi agenti della digos e due camionette di celere per proteggere il Senato. Questa volta gli studenti sono soli, ma sono di più: in oltre duecento da Torino, Mondovì e Vercelli si ritrovano per protestare. Dopo un breve ma rumoroso corteo interno, condito da cori da stadio, trombette e fischietti, i contestatori si precipitano in rettorato e irrompono nel Senato. Gli agenti in borghese, colti di sorpresa, vengono calpestati e spinti via: la seduta, appena iniziata, è bloccata.
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20 ottobre. Qualche decina di anarchici e amici delle case occupate si raduna di fronte a Palazzo Nuovo e improvvisa un corteo spontaneo per protestare contro lo sgombero del Velena Squat, già sgomberata e ri-occupata qualche mese fa. Muovendosi lungo via Po, volantinando e alternando musica e interventi al microfono, arrivano fino sotto al Municipio e di lì, dopo qualche momento di tensione con la polizia, entrano in piazza della Repubblica, dove in molti hanno potuto osservare come sia possibile manifestare, anche in pochi, le proprie ragioni.
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Ve la ricordate la Air Italy? Di questa compagnia aerea vi avevamo parlato brevemente nel febbraio scorso perché in quei giorni si era messa a disposizione del ministro degli Interni, ansioso di disperdere il più velocemente possibile i ribelli di Lampedusa in giro per i Centri di mezza Italia. Non era stato un grande affare, quello, per il Ministero: proprio quel pugno di tunisini che aveva appena distrutto un bel pezzo del Cie lampedusano avrebbe portato il seme della rivolta in giro per lo stivale dando il via ad una ondata di lotte, evasioni e rivolte che si sarebbe placata soltanto due mesi dopo.
Ora ne sentiamo riparlare, della Air Italy. E già, perché il comandante Giuseppe Gentile, proprietario della compagnia, ama talmente fare soldi sulle deportazioni da cercare clienti anche in altre capitali della Fortezza Europa. E così è stato un suo aereo, il 14 ottobre scorso, a far ripiombare 39 iracheni proprio in mezzo alla guerra dalla quale erano scappati: in Inghilterra, dove erano arrivati dopo mille peripezie, non c’era posto per loro e i funzionari inglesi si erano fatti quattro risate di fronte alle loro richieste di asilo. Questo dei voli delle deportazioni è uno degli ingranaggi della macchina delle espulsioni che, in altri paesi e in altri tempi, i nemici delle frontiere hanno cercato di inceppare – con presenze negli aeroporti, attacchi contro le sedi delle compagnie, inviti alla non-collaborazione rivolti al personale di bordo e agli altri passeggeri, invasioni delle piste, ecc.-, a volte anche con successo.
Insomma, è un elemento questo sul quale bisognerà focalizzare l’attenzione per capire quel che si può fare. Per intanto tenetevi a mente che Miguel è stato riportato in Perù con un volo dell’Alitalia, i reduci della battaglia di Corelli sono stati traferiti a Bari e a Brindisi con un aereo targato ItAliairlines, gli scomodi testimoni della morte di Hassan con un volo della Air Maroc.
Per farsi una idea di cosa sia, con più esattezza, un volo di deportazione, pubblichiamo qui sotto una intervista ad un poliziotto francese che di lavoro fa proprio “l’accompagnatore” durante i rimpatri coatti. È tratta dal sito Mediapart ed è stata diffusa in Italia già da Fortresseurope qualche giorno fa. Leggetela bene. Non solo con gli occhi dell’indignazione e della rabbia (questa testimonianza è, a tratti, inverosimilmente cruda e spietata). Ma anche con la curiosità indagatrice di chi si chiede: «e io, cosa posso fare, praticamente, per ostacolare questa gente?»
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Appena hanno saputo che un grosso corteo antirazzista stava percorrendo le strade della Capitale, i reclusi di Ponte Galeria si sono chiesti cosa fare per poter dare il proprio contributo alla mobilitazione. E una piccola risposta l’hanno trovata subito: hanno preso le lenzuola di carta nelle quali la Croce Rossa li costringe a dormire e ne hanno fatto degli striscioni da appendere sulle gabbie. Quattro striscioni, con due messaggi sopra: «Vogliamo libertà!» e «Non vogliamo i 6 mesi!». Poliziotti e soldati, dopo un primo momento di agitazione, sono tornati al proprio posto, e gli striscioni sono rimasti lì appesi a significare che, per quanto alte, le sbarre dei Centri non sono mai invalicabili – soprattutto quando si lotta.
Ascolta un resconto del corteo antirazzista di sabato, con una redattrice della trasmissione “Silenzio assordante”:
[audio:http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/sonia-roma-montato.mp3]
16 ottobre. Alcune migliaia di studenti, la maggior parte delle scuole superiori ma anche universitari, sfila per le strade di Torino. Nel loro striscione di apertura promettono rabbia, e ne danno qualche assaggio: vernice rossa contro la scuola militare dove studiano gli ufficiali, uova e gavettoni contro il MIUR e gli agenti della celere che lo difendono, gli agenti della digos cacciati dal corteo. Come da programma il corteo finisce a Palazzo Nuovo, ma con una piccola sorpresa: gli universitari occupano la presidenza della facoltà di lettere, per richiedere la riapertura di alcune sessioni d’esame.
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Ancora proteste al Cie di Torino. Apprendiamo dai giornali che nella sera di martedì i reclusi hanno iniziato a protestare per la mancanza di acqua calda all’interno delle celle. Prima di iniziare a parlare di “un problema di carattere logistico”, la direzione ha immediatamente chiamato rinforzi per sedare la protesta. Ma gli animi dei reclusi si sono immediatamente scaldati e le guardie sono state accolte da un lancio di oggetti che le ha fatte indietreggiare. La protesta è rientrata solo quando dai rubinetti ha ricominciato a uscire acqua calda.
Al telefono, i reclusi confermano questa storia. E aggiungono che ultimamente ogni giorno ci sono proteste di questo tipo e che la tensione è costante. Riemerge la consapevolezza che l’unico modo per affrontare un qualsiasi problema, dal decoder digitale ai boiler, è farsi sentire, far casino, lottare. Per qualcuno sarà un po’ come scoprire… l’acqua calda. Ma di questi tempi non è poco. Anzi è un ottimo segnale.
15 ottobre. Al Politecnico studenti e precari della ricerca si trovano per una volta a protestare insieme: i primi sono contrari alla riforma che dall’anno prossimo chiuderà sedi decentrate e corsi di laurea, introdurrà soglie e sbarramenti e sostituirà alcuni corsi con lezioni videoregistrate. I secondi chiedono l’apertura di un tavolo di trattativa per salvare i loro posti di lavoro. I precari portano da mangiare, gli studenti la birra e la musica. Finito il banchetto, oltre cento contestatori decidono di salire in rettorato, dove il Senato Accademico dovrebbe riunirsi a breve per approvare la riforma. La porta del senato viene chiusa e in tanti si siedono sulle scale per impedire l’ingresso ai senatori.
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13 ottobre. Dopo la sentenza di condanna per i rivoltosi di via Corelli, a Milano, numerose scritte in solidarietà con gli imputati compaiono in giro per Torino. Se ne vedono sopra sui muri della Rai, della Croce Rossa, dei Vigili urbani di piazza della Repubblica e su quello che anni fa era il famoso “Cpt per bambini” di via La Salle.