Sempre più inviperiti per non poter più guardare la televisione, i reclusi del Cie di corso Brunelleschi a Torino oggi per protestare hanno gettato tutta l’immondizia per terra e hanno impedito l’ingresso agli addetti alle pulizie. Il Direttore del lager, con disprezzo, dice loro di chiedere il decoder “ai vostri amici che vi telefonano.” E Torino Cronaca ironizza sulle “assurde pretese di chi non dovrebbe neppure essere in Italia.” Ma al posto di leggere l’editoriale di Andrea Monticone, leggete la storia di un recluso nel Cie di Torino, tratta dal sito Fortress Europe.
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9 ottobre. In mattinata una ottantina di rifugiati somali, che dallo sgombero di corso Peschiera vivono nella base della Croce Rossa militare a Settimo Torinese, bloccano per ore l’imbocco dell’autostrada Torino-Milano, sventolando pure uno striscione realizzato con un lenzuolo monouso. Il Prefetto è colto di sopresa, lui che sperava di non dover più sentir parlare di questa storia dei profughi, ed è costretto a mandare un autobus della Gtt per portarli fino in piazza Castello, rimanendo fino all’ora di cena ad ascoltare le loro rimostranze. Il problema, pare, è che nel Centro di accoglienza di Settimo ai rifugiati sembra di essere a Guantanamo.
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9 ottobre. Un gruppetto di antirazzisti fa irruzione negli uffici della Camst, in corso Svizzera, ed interrompe il normale tran-tran di impiegati e segretari. Megafono alla mano, in giro per le stanze vengono lasciati un sacco di volantini abbastanze espliciti, proprio come questo qua:

Dieci minuti e via. Giusto per dire anche a loro: “se continuate a far soldi sul Cie non vi passa più”.
Se questo volantino ti piace, scaricalo e fanne buon uso.
Questa mattina, dentro ad un Palazzo di Giustizia blindatissimo, si è tenuta l’udienza per la Sorveglianza Speciale dei due redattori di //Macerie//. Dopo aver sentito un particolarmente sciatto e frettoloso Padalino, la lunga e approfondita arringa dell’avvocato difensore e le dichiarazioni dei due involontari candidati a questa antipatica misura di prevenzione, i giudici si sono presi tutto il tempo per decidere. Giorni o settimane, vedremo.
Ma proprio mentre nell’aula deserta del Tribunale è in corso l’arringa della difesa ai telefoni di Radio Blackout arriva una notizia significativa: nella sede della Camst, in corso Svizzera, sono appena entrati un gruppo di antirazzisti che con megafono e volantini hanno disturbato per un po’ il normale tran-tran dell’ufficio rinfacciando ai presenti (a quanto pare particolarmente insensibili al tema) il brutto affare che ha fatto la loro azienda appaltando la mensa del Cie di corso Brunelleschi. Fino ad oggi, insomma, la minaccia della sorveglianza maroniana non ha spaventato proprio nessuno.
A proposito di Sorveglianza Speciale ascolta un piccolo approfondimento registrato da Radio Blackout insieme ad una compagna della redazione di “Scheggia”, il bollettino bolognese contro ogni forma di reclusione.
[audio:http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/scheggia-su-sorveglianza-speciale.mp3]
Leggi anche:
I pesci di Maroni
Sorvegliati di ieri e di oggi
e le dichiarazioni fatte oggi in aula degli imputati
Vi ricordiamo che il prossimo appuntamento contro la “sorveglianza speciale” e il Pacchetto sicurezza sarà domenica prossima, dalle 10.00, in piazza della Repubblica, per un presidio a Porta Palazzo.
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Una giornata amara per i leghisti di largo Saluzzo. Asserragliati nella loro sede per resistere alla giornata contro la sorveglianza speciale, prima chiedono alla polizia di allontanare una ventina di manifestanti che si erano appiccicati alla loro vetrina. Poi, galvanizzati, si lamentano per lo striscione “sorvegliateci i maroni” che era stato issato tra due lampioni. Dopo mezz’ora di telefonate, probabilmente col Viminale, la polizia chiama rinforzi e decide di sequestrare lo scabroso striscione. Ne nasce un parapiglia, qualche manganellata da una parte e qualche colpo di cavalletto dall’altra, ma alla fine lo striscione viene sequestrato. Poco male, i manifestanti ne tirano fuori un altro simile, ma con la faccia di Maroni un po’ più… flaccida. I leghisti, che invece ce l’hanno sempre più duro, escono allo scoperto e vengono colpiti da una raffica di castagne che li costringe a rientrare in ufficio. Poco dopo, tirano giù la serranda e i manifestanti esultano: ora che la sede è chiusa si legge chiaramente chi c’è dentro: dei “razzisti di merda”. I leghisti tentano di andarsene dal retro, di soppiatto, ma vengono riconosciuti e inseguiti, e se la filano a gambe levate.
Raggiunto l’obiettivo della giornata, è giusto farsi un giretto per San Salvario. Ma la polizia ritiene che non sia opportuno sfilare con un bel cazzone a forma di Maroni in testa al corteo. Allora lo striscione viene sostituito con un più sobrio “contro il razzismo azione diretta” e si può partire. Lungo il tragitto diversi stranieri ascoltano interessati, leggono i volantini, si uniscono alla manifestazione spontanea. E in via Madama Cristina salta di nuovo fuori lo striscione dello scandalo, e con molta intelligenza la polizia ferma il corteo bloccando il traffico per diversi minuti, in modo che tutti vedano per bene il Ministro sul pisello. Terminato lo spettacolo, i manifestanti ripiegano definitivamente lo striscione e ritornano contenti in largo Saluzzo. In via Baretti, si sentono distintamente due carabinieri che si chiedono: “ma perché non va bene lo striscione?”

Lo striscione sequestrato

Lo striscione di riserva
8 ottobre. Un gruppo di antimilitaristi anarchici si piazzano intorno alle sei di sera all’angolo tra corso Brescia e corso Giulio Cesare, proprio vicino a dove, da qualche tempo, una camionetta degli alpini usa stazionare ogni pomeriggio. Con sé hanno una mostra, dei volantini, dei tavolini e degli striscioni… bastano queste poche armi a convincere gli alpini a cambiare aria per un po’. Al loro posto un vecchio striscione:

Nonostante le porte chiuse dell’aula e di tutto il tribunale un gruppetto di antirazzisti è riuscito ad entrare dentro al Palazzo di Giustizia di Milano in occasione della nuova udienza del processo per la rivolta di via Corelli di agosto. Grande sconcerto della Digos e grosso movimento di truppe – che fino a quel momento avevano presidiato inutilmente l’accesso principale del palazzo -, ma oramai i solidali erano entrati e non c’è stato più niente da fare. Gli antirazzisti sono rimasti sulla soglia dell’aula durante tutta la giornata e a scambiare qualche parola con i detenuti, in particolar modo con i ragazzi che dalla settimana passata sono agli arresti domiciliari.
Dentro l’aula, ascoltati gli ultimi testimoni, è arrivata l’arringa del Pubblico Ministero che ha chiesto al giudice di assolvere uno dei quattordici imputati e di condannare tutti gli altri a pene che vanno dai 2 anni ai 2 anni e 6 mesi di reclusione. Mano pesante, insomma, e non è mancata l’aggravante di clandestinità. Inoltre il Pm ha chiesto alla Procura gli atti che riguardano la vicenda di tentato stupro da parte dell’ispettore capo Vittorio Addesso nei confronti di Joy. Se questa richiesta verrà accettata, sia Joy che la sua compagna di stanza – che in aula ne aveva confermato il racconto – saranno denunciate per calunnia.
La prossima udienza del processo milanese è confermata per martedì 13 ottobre, dalle ore 9.30. Quasi sicuramente sarà il momento della sentenza.
Intanto, dopo tre giorni di alti e bassi, è terminato lo sciopero della fame dei reclusi del Cie di Torino.
Leggi l’appello
Contro le violenze del razzismo di Stato, presidio al processo Corelli!
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Un bel pomeriggio di merda, questo pomeriggio a Porta Palazzo. Dalle due in avanti poliziotti, vigili urbani ed alpini cominciano a girare la piazza con una piccola colonna di mezzi. Ogni tanto i mezzi inchiodano e le guardie scendono di corsa per fare irruzione in un bar, o in un negozio, e caricare tutta la gente che trovano. Gente a caso, ovviamente, con una sola caratteristica in comune: essere stranieri. Alcuni li portano via senza neanche chieder loro i documenti, tanto al Commissariato delle Porte Palatine ci sarà il tempo di identificare tutti con calma e lontano da occhi indiscreti. Carichi umani prelevati in piazza e poi scaricati in Commissariato: su e giù, per tutto il pomeriggio. Ad un certo punto c’è qualche resistenza, e quattro alpini saltano addosso ad un ragazzo di colore, riempiendolo di calci e manganellate quando già è a terra. Sono contenti i militari: dopo un anno passato a tenere a bada i propri nervi e far la faccia buona finalmente possono scaldare un po’ i muscoli, dentro ai Cie e per le strade.
Ascolta il racconto in diretta di un redattore di Radio Blackout, in piazza durante la retata:
[audio:http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/diretta-radio_su_retata_7_ottobre.mp3]
Ascolta la testimonianza di un abitante del quartiere:
[audio:http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/retata-in-piazza-testimone.mp3]
Oramai sono scene abituali, queste, a Torino. Ve ne abbiamo già raccontate in passato e altre ve ne racconteremo in futuro. Vorremmo un giorno raccontarvi anche episodi di resistenza, di gente che si mette in mezzo e che urla «non è giusto!», di gente che riesce ad ostacolare almeno un po’ la corsa oscena degli sgherri del Ministro. Ma questi episodi sono ancora tutti da costruire, e la nostra stessa insistenza nel raccontarvi controlli e retate è dovuta alla consapevolezza che siamo noi – noi che scriviamo assieme a voi che ci leggete – a doverli costruire, insieme alla gente che vive nei nostri quartieri. Ci poniamo il problema, e ve lo giriamo: di sicuro fermi non si può stare.
E a questo proposito la redazione di Radio Blackout ha raccolto il racconto di un rastrellamento avvenuto due giorni fa al Pigneto, nel centro di Roma. Più che una retata, una spedizione punitiva dei finanzieri contro i senegalesi del quartiere. Questa volta, però, ci sono state delle reazioni, con urla dalle finestre contro gli agenti scatenati e gente in strada e di fronte alla caserma. Non abbastanza, ma qualcosa si muove. Ascoltate qua:
[audio:http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/caterina-su-retata-pigneto.mp3]
7 ottobre. Verso l’ora di pranzo un gruppo di fascisti di Casapound Torino si è ritrovato davanti alla sede centrale del Politecnico, per fare propaganda: inutilmente, però, perché un bel gruppo di studenti li ha fatti correre via velocemente.
Anche a causa di una epidemia di influenza, questa mattina lo sciopero della fame al Cie di Torino sembrava traballare, e solo una sezione ha rifiutato il pranzo. La lotta ha però avuto una ripresa in serata, quando nuovamente tutti i reclusi hanno rifiutato la cena. Il motivo? Oggi tutto il Piemonte è passato al digitale terrestre e tutte le tv del Cie, a parte ovviamente quella del Direttore, non prendono più nessun canale nonostante le ripetute promesse di comprare decoder per tutti. E allora sciopero.
Infine, dai giornali apprendiamo due notizie. La prima è che lunedì sera, mentre fuori dal Cie di Torino scoppiavano i fuochi d’artificio, il Direttore del lager ha chiamato gli artificeri per far brillare una cassetta degli attrezzi dimenticata da un idraulico sotto casa sua. Evidentemente non dorme sonni tranquilli. La seconda notizia, ben più interessante, è che il Direttore del Cie abita in corso Cosenza. Per questa informazione, fino ad ora top secret, ringraziamo sentitamente Torino Cronaca.