“Così c’avete compagnia!”. Questa la risposta data da un agente della Guardia di Finanza alle recluse di Ponte Galeria che protestavano per i topi che scorazzano abitualmente intorno alla merda che trabocca dai servizi igenici sempre intasati della sezione femminile. Finezze da uomo-in-divisa che illuminano più di mille altri commenti le condizioni concrete di vita dentro a Centri che il governo vorrebbe sempre più grandi, numerosi e colmi di gente. Lenzuola mai lavate, vermi nel cibo, acqua razionata, impossibilità di comunicare con l’esterno la propria situazione… ascoltate l’intervista che segue, e avrete una idea chiara di cosa c’è esattamente dietro quelle maledette sbarre. Sullo sfondo dell’intervista, la vicenda del malato di cuore algerino, “scomparso” in seguito ad un pestaggio esattamente una settimana fa, il ruolo indegno delle ditte che si arricchiscono sulla pelle dei reclusi e la necessità della coesione tra prigionieri di differenti provenienze – cosa che è sempre difficile da costruire e che, per lo meno a Ponte Galeria, sembra ancora un fatto lontano, a differenza della “Babele” di via Corelli, a Milano.
Ascolta l’intervista ad Anna:
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Si allarga la protesta nei Cie contro l’entrata in vigore delle norme del pacchetto sicurezza. Ed è la volta di Gradisca d’Isonzo, e questa volta è una sommossa: tutti sul tetto. Intanto, a Milano e a Roma prosegue la mobilitazione. Da Roma arriva un altro particolare, inquietante. Lunedì sera, gli algerini arrivati nel Centro da Bari Palese erano in quindici. Quelli rimpatriati l’altro giorno, dopo essere stati tutta la settimana in isolamento, quattordici. Ne manca uno: un elemento in più che conferma la convinzione dei reclusi che il malato di cuore scomparso in realtà sia morto.
Su Gradisca vi riportiamo qui sotto il testo di un lancio di agenzia, ma prestissimo vi offriremo un racconto di prima mano, mentre sulle rivendicazioni delle detenute di Ponte Galeria vi ricopiamo un comunicato tratto dal nodo romano di Indymedia
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9 agosto. Un sudanese di 26 anni, dopo essere stato “soccorso” dai carabinieri intervenuti per una rissa sulla terrazza della ex clinica San Paolo, li ha aggrediti quando lo hanno accompagnato in questura perché senza documenti. Quando ha capito che sarebbe stato espulso il ragazzo si è scagliato contro i carabinieri. È stato arrestato per violenza e resistenza a pubblico ufficiale.
9 agosto. Un ingenuo bengalese senza documenti è stato sorpreso dalla polizia mentre sporgeva incautamente denuncia per una rapina che aveva subito poco prima. I rapinatori, tre rumeni, sono stati arrestati, e il rapinato ha rimediato… un decreto di espulsione. Alla prossima denuncia che sporgerà, sarà arrestato.
Continua, compatto, lo sciopero della fame al Cie di via Corelli a Milano. «Nessuno è caduto» ci dicono, da dentro, i reclusi. Per ora, continuano a rifiutare il cibo due intere sezioni, la femminile e una maschile. Hanno chiesto assistenza medica continua alla polizia e ai volontari, ma gli è stata negata. Così come poliziotti, volontari e gestori del centro continuano a negare che l’estesione della reclusione a 180 giorni sia retroattiva. Ma poco importa, i reclusi sono determinati a continuare a lottare.
Intanto le autorità continuano a fare finta che lunedì sera a Ponte Galeria non sia successo nulla. I reclusi sono convinti che il ragazzo algerino malato di cuore sia morto in seguito alle percosse e che i responsabili del Centro abbiano nascosto il corpo. “Qui è come Guantanamo”, – dicono – “manca solo la tortura!”. La tortura fisica, perché quella psicologica c’è già. Ascoltate in proposito questa testimonianza trasmessa ieri da Radio Onda Rossa:
[audio:http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/090807pontegaleria1.mp3]
Una Babele in gabbia, quella che si sta rivoltando a Milano mettendo in campo uno sciopero della fame e della sete che sembra compatto e determinato. “Vamonos hasta el final, hasta el final”, dice qualcuno: arriveremo fino alla fine. Lo sciopero è iniziato alle cinque di questo pomeriggio e per ora tocca una sezione intera del CIE di via Corelli più buona parte della sezione femminile. I reclusi protestano contro le condizioni materiali di vita del Centro ma soprattutto contro l’entrata in vigore del “Pacchetto sicurezza”: e protestano nonostante siano ancora convinti che il passaggio dai due ai sei mesi di detenzione amministrativa toccherà soltanto chi verrà fermato da domani in poi. E già, perché la strategia utilizzata un po’ in tutta Italia dai gestori dei Centri per placare gli animi dei reclusi è mentire sul futuro degli “ospiti”: “voi non c’entrate, voi farete al massimo due mesi”. Non è così, noi lo sappiamo, ma dentro alle gabbie molti ci stanno credendo ancora, concentrando su questa menzogna tutte le proprie speranze. Fra qualche giorno, quando chi si aspetta di uscire dopo due mesi passati dietro le sbarre si vedrà negare la libertà ne vedremo delle belle.
Eppure, i reclusi di Milano sono già scesi in sciopero. “Anche per chi verrà dopo di noi”, dicono, e lo dicono in tutte le lingue del mondo. E già perché la Babele che sta rinchiusa nelle gabbie sta trovando la forza per esprimersi, e ci tiene a farlo. Sembrano non esserci più le vecchie divisioni per nazionalità o lingua, che bene o male hanno segnato la storia delle lotte nei Centri anche recentemente. Ora gli appelli alla lotta e alla solidarietà vengono pronunciati in italiano, in arabo, in castigliano, in edo, in rumeno, in albanese – nessuno potrà più dire di non averli afferrati. Ognuno con le sue storie, ed ognuno con la sua lingua: ma tutti assieme per lottare.
Ascolta i brani di questa lunghissima chiacchierata radiofonica dall’interno di via Corelli. (more…)
7 agosto. Un giovane italiano di 22 anni sopreso senza biglietto su un autobus riesce a divincolarsi e a sfuggire per ben due volte, prima ai controllori della Gtt, poi dagli agenti di polizia. Salito sul suo scooter per dileguarsi defintivamente, è stato però raggiunto dai poliziotti che lo hanno denunciato a piede libero.
7 agosto. Un uomo di 33 anni di origine marocchina è stato aggredito in via Po da un gruppo di quattro italiani, che lo hanno picchiato con calci e pugni e accoltellato al torace mentre passeggiava con una sua amica. Pochi minuti più tardi un venditore ambulante bengalese di 33 anni è stato aggredito, sempre in via Po e sempre da quattro italiani, con l’unica differenza che al posto delle coltellate l’immigrato è stato preso a sprangate in testa.
7 agosto. Una pattuglia di vigili urbani che stava sgomberando un senza-casa dalle scalinate di una chiesa del quartiere borghese della Crocetta è stata affrontata da un gruppo di giovani addetti alla pulizia del mercato. Gli spazzini sono intervenuti circondando e insultando la pattuglia quando, per la violenza degli agenti, il clochard ha sbattuto contro un cassonetto ferendosi alla testa. Tre dei giovani solidali sono stati denunciati e uno è stato arrestato con l’accusa di resistenza, per aver tirato un pugno ad un agente.

«In due modi si raggiunge Despina: per nave o per cammello. La città si presenta differente a chi viene da terra e a chi dal mare. Il cammelliere che vede spuntare all’orizzonte dell’altipiano i pinnacoli dei grattacieli, le antenne radar, sbattere le maniche a vento bianche e rosse, buttare fumo i fumaioli, pensa a una nave, sa che è una città ma la pensa come un bastimento che lo porti via dal deserto, un veliero che stia per salpare, col vento che già gonfia le vele non ancora slegate, o un vapore con la caldaia che vibra nella carena di ferro, e pensa a tutti i porti, alle merci d’oltremare che le gru scaricano sui moli, alle osterie dove equipaggi di diversa bandiera si rompono bottiglie sulla testa, alle finestre illuminate a pianterreno, ognuna con una donna che si pettina.
Nella foschia della costa il marinaio distingue la forma d’una gobba di cammello, d’una sella ricamata di frange luccicanti tra due gobbe chiazzate che avanzano dondolando, sa che è una città ma la pensa come un cammello dal cui basto pendono otri e bisacce di frutta candita, vino di datteri, foglie di tabacco, e già si vede in testa ad una lunga carovana che lo porta via dal deserto del mare, verso oasi d’acqua dolce all’ombra seghettata delle palme, verso palazzi dalle spesse mura di calce, dai cortili di piastrelle su cui ballano scalze le danzatrici, e muovono le braccia un po’ nel velo e un po’ fuori dal velo. Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone; e così il cammelliere e il marinaio vedono Despina, città di confine tra due deserti.»
Da una parte Despina, città che riflette i desideri di chi le si accosta da lontano, e dall’altra la città senza nome dei muri e delle gabbie dove ogni desiderio si annulla: due idee-limite di città che fanno da sponda alla città reale che oscilla tra l’uno e l’altro estremo spinta da forze diverse e contrapposte. È a queste forze che dedicheremo un certo spazio, da ora in poi, qui su //Macerie e storie di Torino//. A come stanno lavorando, a come stanno scavando Torino, a come la stanno ridisegnando spingendola verso domani. È chiaro: buona parte di questi processi hanno un campo d’azione che è planetario più che cittadino, e i testi che pubblicheremo per descriverli a volte neanche pronunceranno il nome della metropoli sabauda. Ma tant’è: starà a noi – e all’intelligenza vostra che ci leggete – capire come ricalcarli sulla mappa di Torino.
I testi che vi faremo conoscere saranno di foggia e provenienza differente. Qualche materiale nostro d’archivio radiofonico, qualche articolo in nulla dissimile dagli ordinari “Diari” di //Macerie e storie di Torino//, scritti di compagni ma anche ricerche di studiosi che se ne stanno piazzati giusto dall’altro lato della barricata sociale. Insomma: nessun privilegio alla scienza urbanistica e ai suoi cantori, per lo meno sulle nostre pagine. A disegnare le città, del resto, ci pensano gli sbirri altrettanto che gli urbanisti e per intravvedere il futuro, a volte, bisogna osservare più gli spostamenti delle truppe che disegni e plastici.
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