22 luglio. Tre disoccupati sui trent’anni, sposati con figli, praticamente incensurati, evidentemente stanchi di guadagnarsi da vivere con qualche lavoretto precario, da quindici mesi avevano deciso di rapinare banche. Sono stati purtroppo arrestati dalla polizia dopo l’ultimo colpo da dieci mila euro alla banca Sella di Nichelino. Sono accusati di aver costituito un’associazione a delinquere e di aver compiuto rapine in altre undici banche e un ufficio postale, per un totale di circa 150 mila euro. Se fate due conti, si tratta del minimo sindacale per non dover pagare la loro crisi, come direbbero gli studenti…
Alcune questioni intorno al rapporto NATO “Urban Operations in the Year 2020”
Nelle pieghe oscure del tempo forse non c’è nulla
se non il tocco muto delle nostre dita.
E le nostre azioni.
(John Berger)
21 luglio. Durante un controllo di polizia in piazza Sabotino a Torino, un marocchino di 36 anni è stato denunciato perché non in regola con il permesso di soggiorno. A San Mauro, invece, un marocchino di 22 anni è stato arrestato dai carabinieri in quanto clandestino e già colpito da un ordine di espulsione.
21 luglio. Altre scritte contro la violenza poliziesca sono state rinvenue questa mattina a Torino. Sul monumento al carabiniere si leggeva «Lo Stato uccide. Carlo Giuliani vive», mentre sulle colonne della stazione ferroviaria Lingotto qualcuno ha scritto «Giustizia per Gabriele», «Sbirri infami» e «Digos boia» .
20 luglio. Questa mattina sono state rinvenute in alcuni angoli del centro di Torino diverse scritte, come «Carlo, Gabbo, Aldro, Lonzi uccisi dallo Stato», «Vendetta per Carlo, Aldro e Gabbo» e «20.07.01 – Carabinieri porci assassini». Evidentemente qualcuno s’è ricordato che otto anni fa a Genova durante gli scontri del G8 moriva Carlo Giuliani, ucciso dal carabiniere Mario Placanica, poi assolto. E non si è dimenticato delle altre vittime della violenza dello Stato: Gabriele Sandri, Federico Aldrovandi, e Marcello Lonzi. E ce ne sarebbero altre ancora, di vittime da vendicare. Ma sicuramente non bastano i muri di una città per farlo.
Ancora una testimonianza dal Centro per stranieri senza documenti di Bari Palese. Lo scorrere della vita quotidiana nelle gabbie condensata in pochi episodi, tanto per far cogliere l’aria che tira in questo Centro che ha veramente tutto della galera, blindati e celle comprese. I pestaggi perché non parli l’italiano – come vi abbiamo raccontato qualche giorno fa; la sveglia mattuttina affidata alle buone maniere di poliziotti con guanti, manganello e mascherine. I casi di autolesionismo non curati. Figuratevi che chi da Torino viene trasferito laggiù – e succede spesso a chi è sospettato di essere algerino – finisce per rimpiangere Baldacci e la Croce Rossa, il che è tutto dire.
Per contro il Centro di Bari Palese è sempre stato terreno di lotte determinate. Nel marzo scorso, laggiù, lo sciopero della fame contro la norma che portava a sei mesi la reclusione nei Centri era stato particolarmente esteso ed aveva assunto anche tinte forti, tanto che alcuni reclusi si erano cuciti la bocca per protesta. E solo pochi mesi prima era stato teatro di una delle sommosse più spettacolari della storia dei Centri: una settantina di prigionieri, coordinati, dopo aver ricavato spranghe dai letti e passamontagna dalle lenzuola hanno caricato la polizia nel tentativo di guadagnare l’uscita. In trenta ce l’hanno fatta mentre gli altri, rimasti chiusi dentro, hanno continuato la rivolta, provocando decine di migliaia di euro di danni, fino a quando si son ritrovati di fronte i soldati del Battaglione San Marco della Marina militare, arrivati a dar manforte a poliziotti e carabinieri di guardia.
Ascolta il racconto di Samad:
[audio:http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/samad-bari_domenica.mp3]
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Bocche cucite
Rivolta nel cie di Bari Palese
18 luglio. In mattinata, il Tribunale del riesame ha disposto la scarcerazione di tutti gli arrestati dell’operazione Rewind. Tutti fuori quindi, dopo 12 giorni, chi in libertà, chi con obbligo firma, chi con obbligo di soggiorno presso il comune di residenza, chi ai domiciliari.
16 luglio. Dopo che un correntista disperato ha “gambizzato” la direttrice dell’Unicredit di Venaria, c’è chi parla ormai di «clima di astio e tensione nei confronti delle banche». Strano! E qualcuno si accorge che ignoti, nei giorni scorsi, hanno scritto «tira le pietre, non la cinghia» su due banche di via Madama Cristina. E su una banca poco più in là, campeggia ancora lo slogan «non pagheremo la vostra crisi». Per non parlare della vernice gettata su alcuni bancomat, tempo fa, ma sempre in zona. E la digos indaga.

Alla fine, il Presidente della Repubblica l’ha firmato, il «pacchetto sicurezza». L’ha firmato, pur essendo molto «perplesso e preoccupato» – come scrive in una lettera a Governo e Parlamento – per le ronde e per il reato di immigrazione clandestina. Il resto, evidentemente, gli piace. Qualcuno sperava che non firmasse, altri gliel’avevano chiesto. Qualcun altro più modestamente lo implorava di aspettare almeno la regolarizzazione delle badanti e il condono dei badati. Ma il Presidente si è tolto d’impaccio così, con una firma e una letterina. A nostro avviso, Napolitano può star tranquillo: non passerà alla storia come quello che ha firmato la reintroduzione delle leggi razziali in Italia. No. Lui è già passato alla storia, come colui che, nel lontano 25 luglio 1998 (quando sedeva al posto di Maroni sulla poltrona del ministero degli Interni), firmò la reintroduzione dei lager, col nome di Centri di permanenza temporanea (che all’epoca era di “soli” 30 giorni). Chissà se undici anni fa quella firma era altrettanto incerta e titubante? Sono cambiati i tempi, o è il Parkinson che avanza?
(Tanto per dare sostanza alla firma dell’allora ministro degli Interni Napolitano in calce alla legge che istituiva undici anni fa i Centri per senzadocumenti vi incolliamo qui sotto una testimonianza che abbiamo raccolto oggi proprio in un Centro per senzadocumenti: quello di Bari. Costruito in una città e in una regione governate dai compagni di partito di Napolitano – se non addirittura da gente un po’ più a sinistra -, il Cie di Bari viene descritto da tutti come un supercarcere, dove vessazioni e pestaggi sono all’ordine del giorno. Le ultime violenze solo un paio di giorni fa, quando i poliziotti – “vestiti come nelle manifestazioni”, dice il nostro testimone – sono piombati addosso, a freddo, ad alcuni reclusi appena trasferiti dalla Sardegna. La loro colpa? Mah, probabilmente quella di non sapere l’italiano. E poi, reclusi ultrasettantenni, cibo immangiabile, caldo asfissiante… come in ogni Campo che si rispetti)
Ascolta la testimonianza raccolta da Radio Blackout:
[audio:http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/da-bari.mp3]
15 luglio. Ignara del fatto che la prostituzione è il fondamento della Repubblica italiana, Giosi Boggio, appena rieletta sindaco di San Giusto Canavese, rivela come ha fatto a cacciare «un gruppo di nuove prostitute che si erano insediate nella zona industriale, talmente vicino all’abitato che abbiamo deciso di intervenire radicalmente.» E come? Semplice, «siamo andati per diversi giorni di fila nel luogo dove lavoravano. Disturbandole, sottoponendole a controlli di identità, sanzionandole e in alcuni casi anche inseguendole per le strade di campagna.» Risultato? «Alla fine, non sono più tornate.»