Guerra tra poveri
19 giugno. Si susseguono gli arresti per piccoli taccheggi nei supermercati: questa volta è stata direttamente una cassiera a telefonare al 113 e a far intervenire la polizia. È successo all’Ldl di via Ponchielli.
19 giugno. Si susseguono gli arresti per piccoli taccheggi nei supermercati: questa volta è stata direttamente una cassiera a telefonare al 113 e a far intervenire la polizia. È successo all’Ldl di via Ponchielli.
Ancora una volta piazza della Repubblica era piena di divise e lampeggianti. Questa sera da proteggere c’erano la Porchietto e il suo folto codazzo di supporter razzisti, leghisti e fascisti vari. Non abbastanza per cingere d’assedio la Porta Palazzo come si proponevano di fare, ma abbastanza per dare fastidio a chi pensa che anche solo il cattivo odore dei razzisti sia una provocazione, pare che tra militanti e militari la Porchietto sia riuscita alla fine a mobilitarne alcune centinaia. Ma anche i razzisti e polizia hanno avuto la loro buona dose quotidiana di fastidio. Da subito la manifestazione viene disturbata da una rumorosa samba band che tenta di avvicinarsi ai più indesiderati, i leghisti, ma viene tenuta a bada da un nutrito cordone di poliziotti. Qualcuno riesce a infilarsi e insultare Borghezio da distanza molto ravvicinata. Da un balcone su via Milano sventola uno striscione con su scritto chiaro e tondo “razzisti”. Qualcun altro la notte prima aveva scritto per terra “spezziamo le catene, cacciamo i razzisti!”.
All’improvviso, da corso Giulio Cesare arriva un autobus circondato da una nuvola di fumogeni e torce, usato come ariete da altri di antirazzisti. La polizia – colta di sorpresa – riesce a bloccare l’autobus e a respingere i contestatori, saranno una decina, a manganellate, e riesce a fermarne uno, malmenandolo finché non si accorgono che sono un pochino osservati. Ma in cambio di questo brillante risultato il fianco della manifestazione è lasciato scoperto, e la samba band è lieta di avanzare respingendo i leghisti oltre corso Regina Margherita, senza smettere di suonare. Poco dietro l’autobus oramai vuoto viene srotolato uno striscione che dichiara “nessuna pace per i razzisti”, si accende ancora qualche fumogeno e si grida “fuori i razzisti dai quartieri” e svariati insulti. Diversi stranieri si fermano dietro lo striscione, interessati. Qualche giovane figlio di Casablanca, ma nato e cresciuto a Porta Palazzo, chiede se ci sia l’intenzione di attaccare la polizia. Un altro passa in bicicletta vicino all’antirazzista fermato e grida “razzisti di merda!” come gesto di sfida. Molti guardano dalle finestre, altri scendono per vedere e chiedere cosa succede.
Stufi di fronteggiare uno stupido cordone di poliziotti, i manifestanti piegano lo striscione e si disperdono, momentaneamente. I razzisti nel frattempo si sono ridotti a poche decine, e il cordone di poliziotti arretra. Alla spicciolata, i manifestanti riescono a raggiungere corso Regina Margherita, ma vengono nuovamente respinti a calci e manganellate e si attestano di fianco al Palafuksas. Da qui, si vede passare, tranquillissimo, l’antirazzista che era stato fermato, scortato in commissariato da diversi celerini e poliziotti in borghese imbufaliti. Ora, assieme agli antirazzisti ci sono anche diversi stranieri, in tutto saranno ormai una cinquantina. Dopo un po’ di samba e un po’ di cori si decide di partire in corteo spontaneo attorno alla piazza, per spiegare e ribadire che a Porta Palazzo c’è spazio per tutti, ma non per i razzisti, e per chiedere la liberazione del compagno fermato, molto conosciuto in quartiere. Il corteo termina all’inizio di corso Giulio Cesare, e lì si scioglie. Diversi, italiani e stranieri, danno la propria disponibilità nel caso in cui il compagno non venga liberato la sera stessa, “tanto sapete dove trovarci”. Quindi strette di mano, strizzatine d’occhio, “grazie mille”, “no, grazie a voi”, qualche pezzetto di fumo, tanto affetto e la consapevolezza che quel che è successo stasera è stata una cosa veramente di tutti. E il compagno fermato? Beh, dopo un’oretta di provocazioni in commissariato, i poliziotti lo devono rilasciare senza neanche una denuncia. Anzi, per ripicca, gli fregano un coltellino così piccolo da non meritare neanche un verbale di perquisizione.
A testimonianza del fortissimo radicamento che i partiti della destra cittadina hanno conquistato a Porta Palazzo vi alleghiamo qua sopra una foto del gazebo elettorale che la Porchietto ha fatto allestire di fronte alla Tettoia dell’Orologio, proprio durante il famoso mercato organizzato domenica scorsa dall’Associazione per la rinascita di Porta Palazzo. Sotto il sole cocente il gazebo è deserto, quasi assediato dai mezzi militari che lo proteggono. Gli unici che sembrano prenderlo in considerazione sono un carabiniere in divisa e poi quel tizio che si intravede laggiù, giusto di fronte al muso della camionetta dell’esercito – ovviamente, si tratta di un agente in borghese del Commissariato delle Porte Palatine. Neanche il giovanotto barbuto responsabile della propaganda se la sente di starsene lì sotto, da solo in mezzo al deserto. Se ne sta invece all’ombra dell’Orologio, a chicchierare con il solito Carlo Verra ed un gruppo di alpini. Inutile ricordarvi che, proprio dall’altro lato della Tettoia, al mercato dei contadini ci si doveva far largo a forza di gomiti, tanta folla c’era tra abusivi e gente del quartiere che se la rideva. Verra stesso dovrà ammettere la magra figura, dopo le minacce della settimana precedente, in una lettera ai giornali. Sul momento, però, si limita scapparsene via furibondo non appena vede da lontano gli antirazzisti, facendo ditone in mezzo al deserto.
17 giugno. Nella notte, un gruppo di antimilitaristi anarchici cosparge di sterco l’AMX Ghibli che da due settimane è parcheggiato sulla rotonda di viale Certosa a Collegno. Sotto l’aereo, una targa: “pericolo assassini – pericolo fabbrica di morte”. Attaccato al basamento un altro cartello: “merda alla guerra!”. Il cacciabombardiere in disarmo era stato donato dall’Alenia in occasione dei World Air Games che si sono tenuti proprio lì di fronte. (more…)
16 giugno. “Non sapevo bene come si faceva, poi ho imparato”. Un cinquantenne disoccupato, vittima come tanti della crisi, ha spiega con queste parole agli investigatori che lo avevano appena arrestato com’è che ha iniziato a rapinare banche. Quasi tutte nei dintorni di casa sua. “Ma non ho mai fatto male a nessuno”.
16 giugno. È quasi sera, e i celerini nascosti nelle viuzze del centro di Torino sono nervosi. Gli abitanti di alcune delle case occupate della città hanno infatti annunciato che si prenderanno Piazza Castello per allestirvi in forma abusiva la cena che da tempi immemorabili tengono settimanalmente all’Asilo occupato, e gli uomini in divisa debbono impedirglielo. Da sempre la cena del martedì è in solidarietà con gli “inguaiati con la legge”, e questa volta al cibo si aggiunge la sfida: dopo le minacce di sgombero lanciate da Chiamparino qualche settimana fa, le occupazioni hanno deciso di occupare per sette sere le piazze della città – e Piazza Castello, da sempre, è la più difficile da espugnare. All’ora stabilita un gruppo di amici delle case occupate si presenta sul lato della piazza di fronte al palazzo della Regione e gli agenti della Digos si affrettano a circondarli minacciandoli: “in piazza Castello non si mangia”. Ma proprio in quel momento, il grosso degli organizzatori sbuca dal lato opposto, all’angolo di via Po, e in un battibaleno riesce a montare un intero ristorante abusivo sul selciato, alle spalle degli agenti. La gente si avvicina ai tavoli e la beffa è completa. La Digos minaccia un’azione di forza, poi lascia stare per non creare casini, e si limita a guardare da lontano queste centinaia di persone che mangiano, chiacchierano e vivono nel bel mezzo della piazza proibita.
15 giugno. Due operai albanesi e due rumeni salgono in cima ad una gru in un cantiere di Villanova canavese e minacciano di buttarsi. Erano senza stipendio da sette mesi.
15 giugno. Piccola offensiva antiproletaria scatenata dai Carabinieri della cintura Nord di Torino tra Venaria, Settimo e Caselle. Nel giro di due giorni arrestano una donna accusata di furto di scarpe, un’altra di furto profumi, e poi un tre ragazzi stranieri, uno per aver fornito false generalità e gli altri due perché già espulsi sono rimasti nel nostro Paese.
15 giugno. Ignoti danno fuoco ad una lussuosa Maserati biturbo parcheggiata in corso Brunelleschi, proprietà di un ricco commerciante della zona.
15 giugno. Nella notte, compaiono «scritte rivoluzionarie contro il governo peruviano sui muri del consolato del Perù in via Pastrengo in piena Crocetta. Si sospetta che gli autori siano aderenti a gang quali Ms13». Secondo i fini analisti di un noto quotidiano locale queste scritte sarebbero «l’ennesima testimonianza di focolai di protesta che contagiano tutte le etnie presenti in città. Scritte sui muri per esprimere disagio, protesta e per ricevere, come sta accadendo, il sostegno di gruppi antagonisti, squatter e anarchici.» Da quel che si vede sulle foto pubblicate sul quotidiano le scritte in questione affermano che Alan Garcia, il presidente del paese andino, è un assassino e che assassine sono pure le multinazionali. Scritte sagge, dunque, condivisibili dai membri meglio informati di qualsiasi gang latina.
Perché? Ascoltate questo racconto, trasmesso la settimana scorsa dagli studi di Radio Blackout grazie ai potenti mezzi tecnici dei cugini di Radiocane.
[audio:http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/perudefinitivo.mp3](Nei giorni successivi si è scoperto che sui muri del consolato, oltre alle scritte, c’era anche una grossa macchia di vernice rosso sangue. Scomparsa, invece, l’insegna con lo stemma del governo peruviano.)