Nel fiume

5 febbraio. Continuano invano le ricerche di Luca J., rom slavo del campo di strada dell’aereoporto, scomparso il 31 gennaio dopo essere scampato ad un controllo dei carabinieri. La sua giacca è stata ritrovata dentro alla Dora e molti testimoni affermano che i carabinieri abbiano sparato durante l’inseguimento. Da parte loro, i carabinieri tacciono, nella speranza che di questa storia se ne parli il meno possibile: avranno qualcosa da nascondere, come al solito.

Intolleranti alla Lega?

5 febbraio. Nella notte tra martedì e mercoledì ignoti vandali imbrattano la serranda della sede della Lega Nord in Largo Saluzzo a San Salvario per ricordare a tutti chi si nasconde al suo interno. Intolleranti alla Lega? Ma che cattivi!

Ufficio razzisti

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Mario Cornelio Levi infarinato

4 febbraio. Una decina di giovani, stanchi delle parole dei politici che si divertono a prendere di mira sempre i poveri e gli stranieri – parole cui seguono sistematicamente aggressioni agghiaccianti – si sono tranquillamente introdotti nella sede della Circoscrizione 8 a San Salvario per tirare alcune pagnotte e diversi sacchetti di farina al presidente della Circoscrizione Mario Cornelio Levi e, per non sbagliare, un po’ a tutti i consiglieri. Il gruppetto si è quindi rapidamente dileguato prima dell’intervento delle forze dell’ordine. Questa “infarinatura” può essere interpretata come una risposta alle ultime velenose dichiarazioni del presidente, che ha invitato la polizia municipale a prendere provvedimenti contro i venditori di pane abusivi di via Nizza. Se il sig. Levi non nasconde di voler essere anche lui “cattivo con i clandestini”, ebbene noi ci auguriamo che sia celiaco.

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Imbarazzi

2 febbraio. Irruzione di questurini nel municipio di Venaria, dove l’assessore Vincenzo Russo – fascia tricolore al collo – stava per celebrare un matrimonio. I poliziotti si portano via lo sposo, un albanese senza permesso di soggiorno, con il proposito di espellerlo mentre la sposa, una giovane italiana, se ne rimane lì, senza parole. «Una situazione davvero imbarazzante», ha commentato l’assessore.

Onda

2 febbraio. Torna in piazza il movimento degli studenti, e percorre la città nel tentativo di disturbare l’apertura dell’anno accademico. Il centro è blindato, gli studenti sono troppo pochi per sfondare davvero i cordoni della polizia, avvertita per tempo delle intenzioni degli studenti. La città comunque è bloccata e c’è qualche tafferuglio con i celerini, che si possono sfogare dopo la figura barbina fatta la settimana precedente con gli aitanti profughi dell’ex-clinica San Paolo. Due contestatori riescono comunque ad interrompere la cerimonia e lanciare una fiala puzzolente verso i convenuti. Un manifestante, fermato in piazza, viene denunciato e rilasciato.

Oggi come ieri

In mancanza di scontri, scoppi di petardi o occupazioni di binari, anche nel presunto “flop” di un presidio di 300 persone tra profughi e italiani solidali – un “flop” che si è trasformato in corteo spontaneo di 500 persone che ha «di fatto paralizzato il centro» – ci vanno di mezzo, guarda un po’, gli anarchici. Almeno secondo il Giornale del Piemonte.

Nella foto pubblicata sull’edizione odierna, potete ammirare il «purismo nella marginalità», di questi «pochi e isolati da tutto», forse «un tempo attivissimi», ma «ormai semiscomparsi». Insomma sempre le solite chiacchiere buone per dar aria ai denti di chiunque apra bocca e dia fiato. E sempre i soliti anarchici, che non cambiano mai, nonostante tutto. Almeno… da un annetto a questa parte.

Clicca sulla foto di oggi…

…e su quella di ieri.

Ringraziamenti

1 febbraio. Mario Cornelio Levi, presidente dell’Ottava circoscrizione, scrive al comandante dei Vigili Urbani pretendendo «provvedimenti urgenti» contro lo smercio abusivo di pane sotto ai portici di via Nizza, «intollerabile» attacco ai negozianti della zona. La crisi galoppa, difatti, e non sono pochi gli abitanti di San Salvario che per risparmiare due lire sono diventati clienti fissi di quei vecchietti maghrebini che se ne stanno tutta la sera impalati al freddo, con le loro buste e i loro trolley, a vendere pane, menta ed esotici salami di pollo. E così, se oltre alla crisi, in questi giorni ci saranno pure le nerborute guardie comunali a galoppare – ma dietro ai venditori di pane – si saprà bene chi ringraziare.
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Un mese a Torino

Un mese intenso, questo gennaio torinese appena passato. Ve lo raccontiamo solo ora in due parole perché, coi tempi che corrono, non riusciamo sempre ad esser celeri nel tenervi aggiornati.

Intanto, Gaza. Nel giro di poco più di una settimana, quando ancora i bombardamenti si susseguivano sopra alla Striscia, tre cortei hanno percorso la città. Cortei partecipati e rabbiosi, energici come raramente se ne vedono in città. Tutte partite da Porta Palazzo – per due volte spezzoni si sono formati proprio in piazza, o all’angolo di via Cottolengo – queste manifestazioni hanno mobilitato, dopo cinque anni di silenzio, migliaia di immigrati arabi. Ma questa volta niente imam in testa, né racket religiosi a dirigere le danze: fianco a fianco, ragazzi di strada e massaie, a contendersi slogan e microfono. E chi tra gli organizzatori italiani era abituato a trattare con preti e capetti di quartiere per negoziare egemonie mediatiche e di piazza ha avuto le sue belle difficoltà a controllare la situazione.
Cortei con tutto in mezzo, dai discorsi a sfondo tremendamente religioso ai ragionamenti sovversivi. Cortei che, se non sono riusciti a fermare la mano assassina dell’esercito dello Stato di Israele, hanno fatto intravedere alcune dinamiche delle lotte che nel prossimo futuro uniranno – lo speriamo! – italiani e stranieri dentro al tessuto urbano. Dinamiche contraddittorie, senza dubbio, ma sulle quali siamo obbligati a riflettere perché solo se quelle lotte saranno comuni nei fatti, e non tanto nelle dichiarazioni, potranno disinnescare i discorsi identitari e, con questi, quelli religiosi. In questo senso, gli accenni di scontro tra la gente di strada – che nei cortei portava la rabbia per le proprie condizioni di vita e non solo quella per i bombardamenti a Gaza – e i capetti della borghesia immigrata tutti impegnati a mantenere la protesta sul piano della politica estera, sono stati istruttivi. Storie di schiaffoni in strada, niente di piu’: ma anche di questo bisogna saper fare teoria. Per il resto sono stati lanci di uova e discorsi commoventi, spintoni con la polizia e scritte sui muri fatte con i vicini di casa. Un altro corteo, sottotono e innevato, e la fine dei bombardamenti hanno sepolto questo breve movimento torinese. Ma rapporti, esperienze ed affetti sono rimasti – insieme a molte robe sulle quali ragionare.

Due parole adesso sul mercato abusivo di via Cottolengo, del quale tanto vi abbiamo parlato nei mesi passati. I portavoce dei Comitati, spontaneamente razzisti e bugiardi, hanno cantato vittoria, ora che, anche di domenica, la via se ne rimane deserta e pulitina: il comune, addirittura, ci ha dipinto per terra le strisce blu dei parcheggi a pagamento, quasi a mimare una strada del centro. Quello che nessuno dice ad alta voce è che il vecchio “mercato abusivo di via Cottolengo”, dopo due mesi di resistenza paziente e determinata, è oramai diventato il “mercato abusivo di piazza della Repubblica” – che è un bel miglioramento. Molto più grande di prima, più vario e più sfacciatamente abusivo, circonda con le sue bancarelle una metà abbondante dell’orrido Palafucsas. Solo una volta, in questo mese, alpini e poliziotti hanno provato una mossa di disturbo. Arrivati in pattuglione, hanno intimato agli abusivi di andarsene – ma nessuno si è mosso. Poi hanno chiesto qualche documento in giro – e nessuno gliel’ha dato, neanche la gente in regola. E così se se ne sono dovuti andare, e con le pive nel sacco.
Insomma, se prima vi invitavamo a passar di lì la domenica per lottare, e assieme, ora vi invitiamo per puro piacere: il mercato è veramente un bel posto dove incontrarsi e dove conoscer gente, soprattutto nelle domeniche di sole. E, perché no, per partecipare ad una storia che nessuno conosce, ma che intreccia le storie di svariate centinaia di persone.

Un ultimo elemento, ora, per dirvi di questo mese, è la lotta dei profughi che occupano l’ex-clinica San Paolo di corso Peschiera e l’ex-comando dei Vigili di via Bologna. Proprio nella settimana della “evasione di gruppo” dal Cpa di Lampedusa e delle cariche di Massa, uno dei molti presidi organizzati sotto al Municipio dai profughi torinesi e dal Comitato che li sostiene è finito in cariche della polizia proprio sul portone della prefettura in piazza Castello. Là, molti dei presenti hanno risposto all’attacco dei questurini con la dignità di chi non ha nessuna intenzione di farsi prendere a bastonate e agisce di conseguenza. I giornali hanno parlato di panchine divelte, sampietrini tirati e di un cantiere saccheggiato: insomma, di gente che resiste. E questo dovrebbe insegnare qualcosa anche a noi e a tutti quelli che – insieme a noi – hanno nella memoria degli ultimi anni torinesi solo gente che scappa, con una compostezza da galline, al primo accenno di carica.
Voci di movimento, poi, ci raccontano di numerosi blocchi stradali nella zona di Porta Palazzo proprio nel momento in cui i celerini riuscivano ad allontanare – a forza di lacrimogeni – profughi e solidali da piazza Castello. E anche questa è una buona indicazione sulla quale i più avvertiti saranno costretti a sviluppare qualche riflessione di tipo, per lo meno, “tattico”: cosa fare quando la polizia attacca e si è troppo lontani per arrivare per tempo nel campo da gioco? La scelta, spesse volte, è tra un “io c’ero” abbastanza simbolico e affannato e un appoggio pratico che invece potrebbe pesare veramente sulla battaglia in corso – bloccando pezzi di città e costringendo, se ce n’è la determinazione, i manganellatori a disperdesi su più fronti. Convinti come siamo che si stia aprendo un’epoca, bene o male, di scontro aperto e diffuso, dovremmo indagarli, questi temi, per non far troppe brutte figure nel prossimo futuro.
Forse non ci crederà nessuno, ma alle nostre orecchie di scafati navigatori di bassifondi i segnali di apprezzamento in strada per tutta questa vicenda sono arrivati non tanto perché della lotta dei profughi si comprendano temi e motivazioni – è triste dirlo ma a molti, pur poveri e clandestini, questi paiono ancora cazzi loro – ma perché finalmente qualcuno le ha date alle guardie. C’è sempre un bello scarto tra ciò che è giusto, che è vero, e quello che viene realmente percepito dentro alla città e spesso i percorsi del reciproco riconoscimento sembrano strampalati, o tortuosi. Insomma: quale sarà la porta attraverso la quale questa lotta specifica dei profughi possa diventare una lotta più concretamente universale, al di là delle dichiarazioni di buona volontà che ci sono state sin dall’inizio, non lo sappiamo bene. Ma siamo sicuri che questa porta ci sia, da qualche parte, e che prima o poi qualcuno la aprirà.

Coi tempi che corrono

I lettori più affezionati si saranno senz’altro accorti che da qualche tempo //macerie (e storie di torino)// viene aggiornato più irregolarmente del solito. E non è di certo un caso che ciò avvenga proprio ora, coi tempi che corrono, in cui ci sarebbero moltissime cose da dire: le mobilitazioni studentesche, i cortei spontanei, gli scioperi dei lavoratori, i blocchi stradali e ferrioviari, la rivolta in Grecia, la rabbia degli stranieri di fronte al massacro nella striscia di Gaza e tante altre storie di lotte e resistenze, individuali o collettive. Davvero un peccato, certo, ma non potrebbe essere altrimenti. Perché i redattori di questo sito non sono giornalisti, né di professione, né dilettanti, e il poco tempo e le poche forze di cui dispongono preferiscono senza dubbio impiegarli per fare, piuttosto che per raccontare.

C’è poco altro da aggiungere. Una tempesta di dimensioni inimmaginabili comincia ad affacciarsi all’orizzonte, tremenda. Ne sentiamo il suono, sordo e grave, ma il suo profilo è ancora confuso, indistinto, offuscato dai bagliori di un mondo in declino e nascosto dalle rovine di una società in frantumi. Già si intravedono i suoi fulmini, prime avvisaglie di una catastrofe epocale che sconvolgerà tutto e tutti, per lasciare dietro di sé solo macerie. I tempi corrono, quindi. Verso dove, ancora non si sa. Verso la Grecia, o verso la Jugoslavia? Verso le banlieue francesi, o verso la striscia di Gaza? Verso il baratro, o verso la libertà? Nessuno lo sa con certezza. Nemmeno i padroni del mondo lo sanno, ma già da tempo si stanno preprarando alla guerra, loro.

E noi? Nessuno, coi tempi che corrono, può permettersi il lusso di perdersi in chiacchiere.