26 settembre. Ignari del fatto che oggi ricorra il centenario della fondazione del corpo militare delle crocerossine, un gruppetto di antirazzisti passeggia a cuor leggero nel centro di Torino quando, all’improvviso, si imbatte in un una specie di plotone di suore in giarrettiera schierato davanti al Duomo. Quale occasione migliore per chiedere spiegazioni sulla morte di Hassan, avvenuta esattamente 4 mesi e 2 giorni fa, e sui continui maltrattamenti subiti dai detenuti del Cpt di corso Brunelleschi? Nessuna. Infatti, gli antirazzisti sfoderano il megafono che avevano (casualmente, incredibile ma vero) con sé e guadagnano rapidamente la scalinata per rivolgere la domanda alle dirette interessate, che non si degnano di rispondere. Il chiassoso gruppetto viene circondato dalla polizia, colta ancora una volta di sopresa. Gli antirazzisti non demordono e cominciano a chiedere ai passanti di entrare in chiesa e chiedere al colonnello Baldacci cosa sa della morte di Hassan: una signora solidarizza (ma è un’ex studentessa di scienze politiche), una ragazza promette che si informerà da un suo conoscente che lavora all’Onu (ma sa cosa vuol dire prendere psicofarmaci controvoglia), un ragazzo entra sul serio e torna con preziose informazioni… La situazione precipita quando qualcuno porta delle pizzette, e la polizia spinge i contestatori fuori dalla piazza, sequestrando loro il megafono e una bicicletta, che saranno restituiti solo alla fine della messa. Niente male, per una passeggiata in centro.
26 settembre. Sono le quattro del pomeriggio quando un gruppetto di antirazzisti nota diverse camionette della polizia ferme in via Berthollet all’angolo con via Nizza: nel cuore di San Salvario sta per cominciare una retata. In pochi minuti alcuni di loro recuperano un megafono e percorrono il quartiere avvertendo i passanti del pericolo. Altri invece girano per le strade bisbigliando di stare attenti, oppure ancora espongono un piccolo cartello: «Attenzione retata in corso – Police check». Tra gli stranieri c’è chi coglie al volo il pericolo e cambia strada, e c’è chi ringrazia. Tra gli italiani c’è chi sorride solidale, chi si ferma a chiedere come sta andando, chi passa indifferente e chi disapprova con un cenno del capo. E c’è anche la solita tabaccaia di San Salvario che, da vecchia e nota reazionaria bionda quale è sempre stata, urla qualche insulto ai nemici delle retate e invoca – ancora! – più polizia. Dopo più di un’ora di controlli – tra bar e negozi etnici – le camionette ripartono, con a bordo tre prigionieri.
26 settembre. San Salvario, tre del pomeriggio. Dal diciotto scende un ragazzo, giovanissimo e nero, tampinato da tre controllori. C’è anche una macchina di vigili urbani, e poi ne arriva un’altra. Il ragazzo, che non aveva il biglietto, ora è stretto alla ringhiera della fermata circondato da sei uomini in divisa. Comincia ad assieparsi gente a guardare la scena. I vigili prendono il ragazzo e lo spingono verso la macchina; lui fa resistenza, non vuole farsi portare via. I vigili lo prendono per la testa per farlo entrare in macchina. Dalla gente alla fermata un uomo, con in mano le borse della spesa, comincia ad urlare contro i vigili, una donna lo segue: «Vergogna, per un euro di biglietto!». Si mettono in mezzo alla strada, insultano i controllori. Il traffico è fermo. I vigili provano a bloccarli, ma poi dalla fermata un’altra donna comincia ad urlare: «Razzisti! Razzisti!». Un’altra ancora riprende l’urlo. Poi arriva anche un altro, e urla anche lui. Il ragazzo, recalcitrante, oramai è chiuso in macchina, e le due pattuglie di vigili scappano via. Il traffico in strada riprende e i controllori, ricoperti di insulti, salgono veloci sul primo autobus e vanno via.
25 settembre. Parte la fase sperimentale del progetto “farmacie in rete”. Il comando dei vigili urbani si è impegnato ad inviare i propri agenti almeno una volta alla settimana in ogni farmacia per «rassicurare il territorio» e informarsi sulle «situazioni di disagio su cui intervenire». In soldoni, i vigili urbani avranno il compito di interrogare i farmacisti sulla quantità di siringhe e di lacci emostatici smerciati, per poi posizionare al meglio poliziotti e soldati.
24 settembre. Nuovo sgombero per la palazzina di corso Regio Parco periodicamente occupata da senza casa stranieri. I carabinieri hanno denunciato diciotto persone per occupazione abusiva e danneggiamento, arrestato un occupante per inosservanza di un ordine di espulsione ed un altro perché accusato di aver fornito false generalità. L’edificio è di proprietà dell’Università di Torino.
23 settembre. Alcune agenzie di stampa si premurano di segnalare di come le pareti di molte banche cittadine siano colme di scritte minacciose. Tra queste: «Brucio le banche» e «Fuoco alle banche».
22 settembre. Alle 13.45, qualcuno si accorge che su un marciapiede di via Rossini fa bella mostra di sé l’imbarazzante scritta ALPINI ASSASSINI, proprio sotto l’Auditorium Rai. Ne viene immediatamente informato il presidente del consiglio regionale Gariglio (PD), che dal camerino alle 13.47 dirama un secco comunicato di condanna per questo «atto vergognoso». La questura viene allertata. Sul posto si precipita la squadra pulitori, che gratta via la scritta. Gli autobus ricevono l’ordine improvviso di deviare il percorso, contrordine! tornare al percorso normale. «E, scusi, ma cos’è ‘sto casino, una manifestazione?» È la cerimonia di benvenuto alla brigata alpina taurinense, di ritorno dalla campagna in Afghanistan, un raduno di divise di ogni grado e colore, “borghesi” e celere inclusa, schierata alla fermata del tram. Non è la prima volta che tornano, gli alpini, ma oggi niente deve andare storto. Portapila è vicina, e pullula di scritte come quella e di cacciatori di alpini. Mai come oggi gli alpini hanno bisogno di questo show, a Torino. Un bello spettacolo, per chi lo sapeva e non disprezza il genere, messo su con tanta fatica e un po’ di fretta, da un giorno all’altro. Anche in guerra, l’immagine fa. Bentornati alpini! E arriverderci.
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Giovanissimi e incazzati. Tanto determinati da scavalcare di corsa le buone intenzioni dell’antirazzismo istituzionale e i cordoni della polizia. Gli amici di Abba in un sabato a Milano, nel racconto di Fabio del Comitato antirazzista milanese.
Ascolta l’intervista.
[audio:http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/fabio-su-manif-abba.mp3]
22 settembre. A metà mattinata, gli alpini sono di ronda a Porta Palazzo. Il selciato della piazza è segnato in vari punti da scritte ostili che li riguardano, ma loro fanno finta di nulla e tirano dritto effettuando qualche fermo ogni tanto. All’improvviso, proprio a metà di un controllo, vengono circondati da un gruppo di antirazzisti, armati come al solito di cartelli, volantini, megafoni e trombette a stantuffo. Per più di una settimana i militari erano riusciti a sfuggire ai cacciatori di alpini, ma finalmente eccoli beccati con le mani nella marmellata. I militari rimangono fermi per più di un quarto d’ora, fino a quando non arrivano, trafelati, alcuni agenti della Polizia politica. Ricominciano la ronda, protetti dalla Digos e tampinati dagli antirazzisti, ma senza potere effettuare fermi. I commercianti dei comitati spontanei, che solo una settimana prima avevano giurato al Ministro degli interni che avrebbero difeso l’onore dei soldati italiani con i propri corpi, si limitano a qualche insulto – ricambiato. Dopo un’ora che la squadretta gira a vuoto, la questura invia sul posto abbastanza funzionari della Digos da fermare ed identificare gli antirazzisti – permettendo agli alpini di fuggire. Per lo meno fino alla prossima battuta di caccia.

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