7 settembre. Blitz della polizia municipale contro i venditori abusivi in centro, tra via Garibaldi e via Roma. Una ventina di agenti agli ordini di Piero Vergante ha effettuato 27 multe e 11 sequestri di merce contraffatta; 6 venditori abusivi sono stati denunciati, e per tre di essi è scattata anche l’espulsione, per uno, l’arresto perché clandestino.
7 settembre. Un marocchino di 17 anni, detenuto presso il carcere minorile Ferrante Aporti, si è arrampicato sul muro di cinta durante l’ora d’aria per tentare la fuga. Due guardie per tentare di fermarlo lo afferrano per i piedi, ma l’evaso li prende a calci in facciavevsi libera Saltato dall’altra parte, si accorge di essere stato visto dal custode, riscavalca il muro e si nasconde dentro una vecchia serra, dove verrà purtroppo trovato dagli agenti dopo due ore.
6 settembre. Seconda battuta di caccia all’Alpino, sabato mattina a Porta Palazzo. Un gruppetto di antimilitaristi, non molto numeroso, ma a dire il vero più nutrito di quello del giorno prima (si sarà sparsa la voce che il divertimento è garantito?) sorprende una pattuglia grigio-verde dentro un bar di corso Regina e comincia un assedio molto più lungo di un qualsiasi caffè lungo, attirando rumorosamente l’attenzione dei passanti sull’occupazione militare di Torino e sulle torture commesse all’estero dai “nostri ragazzi”. Dopo diversi minuti di incertezza e di imbarazzo, con il prezioso conforto della polizia politica giunta sul posto, il plotoncino rompe gli indugi e decide una sortita, per continuare la sua ronda tra le bancarelle del mercato. Gli antimilitaristi li seguono a ruota, facendo il solito baccano, fino a quando per gli Alpini non è ora di ritirarsi in questura per il rancio.
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Una storia allucinante quella di Joel, peruviano, da anni residente in Italia, con un mutuo da pagare e una fidanzata incinta. Come tanti, ha problemi a rinnovare il permesso di soggiorno ed entra, senza volerlo, in clandestinità. Viene arrestato a Rimini e tradotto al Cpt di via Corelli, a Milano. Ma dopo pochi giorni, a causa di un errore formale della questura, il giudice ordina di scarcerarlo. Ma la polizia non ci sta a veder vanificato il suo lavoro, e aspetta Joel fuori dal Cpt, per chiedergli i documenti. E Joel torna dentro.
Ora, a noi non stanno particolarmente simpatici i giudici, e non abbiamo mai creduto alla favoletta democratica della divisione dei poteri, nemmeno quando la insegnavano a scuola. Però noi ce lo chiediamo lo stesso, retoricamente: “ma la polizia crede di poter fare il cazzo che vuole?!”
Ascolta l’intervista di Joel dal Cpt di Milano a Radio Blackout:
[audio:http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/joel-da-corelli.mp3]
Ma cosa c’entra Gheddafi con i campi di pomodori a Foggia e con gli alpini a Porta Palazzo?
Qualche ipotesi di risposta in una chiacchierata con Gabriele Del Grande, redattore del sito Fortress Europe. A partire dall’accordo firmato da Berlusconi e Gheddafi qualche giorno fa, un viaggio nella “fabbbrica della clandestinità” che produce manodopera a un costo sempre più basso di cui i padroni italiani e libici non hanno mai abbastanza, un filo rosso che unisce la caccia agli immigrati in Libia e la guerra agli stranieri nelle nostre città.
Ascolta l’intervista:
[audio:http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/dal-deserto-libico-a-porta-palazzo.mp3]
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Italia – Libia: firmato l’accordo. Presto i pattugliamenti
5 settembre. Caccia all’alpino questa mattina a Porta Palazzo. Alcuni antimilitaristi – armati di megafono, trombette, volantini e foto di prigionieri torturati da militari italiani all’estero – hanno giocato al gatto e al topo con i soldati in missione al mercato. E a fare la parte del topo, ovviamente, sono stati proprio questi ultimi: scortati da una decina di agenti della Digos, infatti, gli alpini hanno evitato accuratamente di incrociare i contestatori, fino al punto di faticare a rientrare al mercato, una volta che se ne erano allontanati. Per ben due volte, infine, il plotone ha optato per una ritirata strategica in questura: per il troppo baccano, la loro presenza era diventata ormai inutile. Dovrà dunque intervenire il Sismi?
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30 agosto. In serata, ancora un presidio notturno e fulmineo sotto le mura del Cpt. Da fuori, battiture e fuochi artificiali; da dentro, grida, fortissime, più di ogni altra volta. I fuochi piacciono, evidentemente.
30 agosto. In mattinata, prima di un presidio al Balon, alcuni impazienti antimilitaristi hanno attraversato il mercato a caccia di militari, spiegando ai presenti perché non vogliono l’esercito in città. I numerosi interventi al megafono hanno suscitato il rancore di qualche nostalgico del coprifuoco, ma anche l’approvazione di molti, italiani e stranieri. Putroppo, di militari neanche l’ombra: erano stati mandati a fare un sopralluogo, in macchina, in corso Principe Oddone. Saranno anche abituati ai fischi dei proiettili, ma non sopportano i fischi del dissenso.

Arrivano i nostri! Nonostante l’Italia sia il paese con la più alta densità di forze di polizia al mondo – uno ogni ottanta adulti in età da lavoro – si proclama che la sicurezza non è ancora sufficientemente garantita, si invocano rinforzi. Ed eccoli finalmente, questi militari, in tuta mimetica o in divisa color beige, con la mitraglietta o con il manganello, fianco a fianco dei loro colleghi vestiti di blu. A vederli nei parchi e per le strade di Torino non sembrano neanche gli stessi che sparano sui civili in Afghanistan e in Iraq, torturano i genitali dei prigionieri in Somalia, stuprano le ragazzine in Kosovo. Forse non abbiamo visto proprio tutto, e la televisione, si sa, rende tutti più belli. Eppure perché non dovrebbero essere gli stessi? Se la guerra è ufficialmente dichiarata “operazione di polizia internazionale”, perché la difesa dell’ordine pubblico non può essere garantita anche dall’esercito? E allora, di che stupirsi? E soprattutto, di che lamentarsi? Viene il sospetto che sia solo l’ennesima trovata del marketing governativo.
Emergenza! Schierare i militari per contrastare un’emergenza dai contorni sempre più vaghi rassicura soltanto chi li comanda. Perché il soldato è il cittadino modello di una società disciplinata, autoritaria e gerarchica – un incubo per chi ci vive, ma l’ideale per chi la vuole amministrare – un cittadino che marcia al passo senza discutere gli ordini, che non protesta se la paga è bassa e se il rancio è pessimo e pure caro, che non si lamenta se muore sul lavoro e stupra e uccide pure, quando serve. Ma siamo sicuri che si tratti esclusivamente di uno show, lungo sei mesi prorogabili per altri sei? Allora basterebbe solo aspettare la fine della missione, stando attenti a non farsi malmenare dai vigili urbani, a non affogare scappando dalla polizia, a non morire come un cane in un centro di detenzione, a non bruciare in un campo rom. Perché in questa escalation di violenza contro gli ultimi, contro gli abusivi, gli irregolari, i clandestini, gli stranieri e gli italiani purché poveri o dissidenti, siamo davvero tutti più sicuri, sì. Sicuri da morire.
Allarme! Oltre che un simbolo, la militarizzazione del territorio è anche la risposta concreta dello Stato alla minaccia della rivolta aperta della popolazione. Schierati a sorvegliare le rivolte degli stranieri prigionieri nei centri e a proteggere le discariche della Campania, i soldati non si tireranno di certo indietro quando sarà ora di costruire la Tav in val Susa, dove la polizia davvero non è bastata. E come ogni guerra è camuffata da una propaganda che la dipinge come umanitaria, così anche i soldati nelle città si presentano oggi con un volto umano, rassicurante. Ma se non li respingiamo ora, potremmo svegliarci domani al grido di “altolà!” per vedere il loro volto più feroce, quello che sfonda le porte, terrorizza, stupra e ammazza. La frontiera passa già attraverso i nostri mercati, la guerra è sotto casa. Intralciamo i loro piani e smascheriamo le loro malefatte, e i loro punti deboli. Prima che sia troppo tardi.
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28 agosto. Per la seconda volta in pochi giorni, un altro detenuto del Cpt di Torino ha tentato di impiccarsi, di “fare la corda” come dicono molti stranieri. Un gesto estremo per chiedere di tornare in Marocco, qui in Italia ha già subito troppo. Ai suoi compagni di cella ha detto che è meglio patire la fame nella sua terra che subire continue violenze ed umiliazioni in questo bel paese democratico.