Lo sguardo dalla strada

Facendo due passi per le vie di Borgo Dora stamane si poteva assistere a una scena piuttosto scontata di questi tempi ma che mantiene la sua eloquenza. All’ex casa occupata di canale Molassi, sgomberata l’anno passato, i depositi al piano terra sono stati ripuliti e degli affaccendati commercianti stavano sistemando là dentro le loro costose mercanzie: quadri, lampadari art déco, sedie vintage.

Per il nuovo volto del Balon in molti si sono spesi, dall’associazione dei commercianti fino ad arrivare al progetto The Gate, e l’intento di cacciare i miserabili e far posto al mercato colorato da cartolina è stato perseguito con minuzia e costanza. Cacciati i venditori abusivi e gli occupanti di case, rastrellati con continue retate i senza-documenti, lo spazio è abbastanza ripulito per far posto a botteghe di pregio, localini per l’aperitivo e studenti di storytelling.

Dalla settimana scorsa poi, dopo i tristi fatti di cronaca che hanno interessato il suq della domenica, anche l’esistenza di una parte del Balon del sabato è stata messa in discussione. Si tratta di quella che è stata ribattezzata dall’amministrazione pentastellata “Barattolo”, come il suq domenicale, e che è stata differenziata dalle altre vie gestite dall’Associazione Commercianti.  Per il momento, e a detta della giunta, per due settimane la parte di mercato che si snoda tra San Pietro in Vincoli e il vecchio cimitero, la parte più povera del Balon, verrà sospesa seguendo le sorti del suq di via Carcano. Almeno questo è quello che il palazzo comunale ha riferito alla delegazione di ambulanti che mercoledì mattina, dopo un corteo partito dal cuore di Borgo Dora, si sono presentati sotto il Comune per protestare contro la sospensione del mercato, per molti unico e mal assortito modo per sostentarsi. Staremo a vedere se le promesse verranno mantenute, e se, aspetto sicuramente più interessante, gli ambulanti si organizzeranno di nuovo nel caso in cui ciò non dovesse avvenire.

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La storia di Florence – parte II – sfratto e carcere

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Stamattina Florence, mentre accompagnava i figli all’asilo nella fascia oraria di permesso giornaliero, è incappata nei soliti carabinieri addetti al controllo dei suoi arresti domiciliari. Non le hanno fatto “troppe cerimonie” come quando qualche giorno fa le hanno messo le mani addosso per intimarle di lasciare la casa sotto sfratto in cui abita, ma con fare vago le hanno detto di recarsi alla stazione di c.so Regio Parco per alcune notifiche. Lei coscienziosamente si è preoccupata di doversi recare nella tana di costoro e ha espresso le sue perplessità.

“Non si preoccupi signora, deve solo parlarle il maresciallo Capobianco. Stia tranquilla anche se sfora il suo orario di permesso di uscita, lasci i bambini a scuola e passi in caserma”, le è stato risposto.

Ha capito subito che c’era poco da star tranquilla.

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Attenzione!

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Da poco è stata raccontata la storia di Florence, una donna senza alcuna garanzia a cui aggrapparsi per vivere tranquilla. Come in tanti altri casi se i problemi si affrontano da soli si è costretti a mollare, a cedere alle minacce del padrone, alla violenza delle procedure. Si pensa, invece, che i legami di solidarietà possano essere un’àncora per non naufragare nella realtà. Essere in parecchi davanti agli uffici degli Ufficiali Giudiziari, in corso Vittorio Emanuele 130, è l’occasione per difendere Florence, per rispedire indietro le minacce che molto spesso chi non riesce a pagare un affitto riceve e manifestare la rabbia che l’ansia di uno sfratto a sorpresa crea.

L’appuntamento è per un presidio là davanti, venerdì 3 novembre, dalle ore 10.

La storia di Florence

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Il tetto sopra la testa a rischio, che sia una procedura in corso di sfratto o di pignoramento, spesso non è che la punta di un grosso iceberg che in tanti si trascinano dietro nelle periferie della città.

Salta il lavoro, viene diagnosticata una malattia, il compagno o la compagna se ne va, arrivano guai giudiziari da scontare. Per chi non ha riserve non è concesso avere imprevisti. Spesso questi rappresentano l’ultimo colpo che avvia un effetto domino, un peggioramento esponenziale delle già precarie condizioni di vita, fino alla deriva di quell’iceberg di problemi.

Vicissitudini che accomunano molti – si diceva – e che sentiamo quotidianamente dagli uomini e dalle donne con cui decidiamo di lottare, per quanto pensiamo che l’obiettivo sia elaborare percorsi di conflitto comuni, allargare la prospettiva dal personale alla complicità di classe senza necessariamente far emergere la particolare vicenda di qualcuno.

Ci sono tuttavia storie che sono un vero groviglio di rogne e che sono esemplificative della condizione in cui si può finire nell’ambiente urbano dell’atomizzazione, della marginalità e dello sfruttamento. Come la storia capitata in via Casella, nella Barriera, a due passi da piazza Respighi, all’interno di un’intera palazzina che è stata venduta e i cui inquilini sono finiti sotto sfratto nel cambio di proprietà.

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Tentando la rabbia

 

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Avevamo scritto che al Cpr di Torino la calma degli ultimi tempi non era che apparente. Raramente tra i reclusi al fu Cie non c’è un movimento carsico in cui la voglia di libertà scava crepe nel funzionamento della struttura, a volte in maniera impercettibile, a volte palesemente, talvolta danneggiandola materialmente, talaltra affinando la complicità collettiva. Ci sono poi le grandi occasioni, quelle in cui l’organizzazione di tutti – o quasi tutti –  punta in alto, punta a una giornata di rivolta generale, come è accaduto qualche giorno fa.

I detenuti si erano organizzati  perché la domenica appena passata fosse il giorno in cui appiccare il fuoco a tutte le aree, ma avevano anche avvertito che alcuni tra di loro parlavano troppo, e con troppa propositività, con i lavoranti dell’ente gestore Gepsa e con le forze dell’ordine. Ecco perché non si sono stupiti quando venerdì, con la scusa di lavori di manutenzione, il campetto è stato chiuso e non hanno potuto incontrarsi oltre le divisioni di area. Un segnale evidente che l’amministrazione della prigione per senza-documenti aveva dei sospetti su possibili disordini.

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Una sortita

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Non è così chiaro come L’Atc voglia agire per riportare l’ordine nelle sue palazzine di Aurora, in quegli appartamenti che da luglio sono stati aperti e occupati da una serie di famiglie e persone che ne avevano bisogno. È sicuro, però, che i vigili e alcuni emissari dell’Atc da ormai una settimana hanno iniziato a cercare di mettere pressione a chi occupa in via Cuneo, andando a bussare alla porta, insistendo nel richiedere di andarsene di propria sponte e il prima possibile.

Due strade più in là in via Aosta sono invece arrivate tre lettere dell’Atc: chiede a tre degli occupanti di pagare i danni per l’occupazione abusiva, le spese di riscaldamento e del condominio.

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Bici alla mano

14 ottobre. Alcuni lavoratori in bicicletta di Deliveroo hanno manifestato nel centro città contro i vertici dell’azienda, che da mesi stanno ignorando completamente le loro rivendicazioni. La protesta è iniziata in piazza Carlo Alberto per poi attraversare, insieme ad alcuni solidali accorsi per l’occasione, via Roma e via Garibaldi. L’invito diffuso ai passanti e a chiunque voglia solidarizzare è stato quello di contattare il supporto clienti di Deliveroo e riportare le richieste dei rider.

Lettera di Beppe da Regina Coeli

Ciao a tutte e tutti.
Sono stato arrestato il 4 agosto con la misura cautelare di custodia nel carcere “Lorusso e Cotugno” di Torino insieme ad altr* 4 compagn* e due compagne con la misura cautelare di divieto di dimora dal comune di Torino e provincia per esserci frapposte all’ennesima retata nel nostro quartiere, ma già molto abbiamo detto al riguardo e non mi dilungherò oltre.
Dopo due settimane in carcere, il Tribunale della Libertà ha modificato la misura cautelare per i/le cinque arrestate alla custodia cautelare presso i domicili da noi presentati. Per quel che mi riguarda ho deciso di andare da una compagna presso il comune di Roma. Li i controlli si sono susseguiti di giorno in giorno fino al 22 settembre; giornata nella quale, alle sette del mattino circa si sono presentati alla mia porta vari poliziotti in borghese e due volanti per notificarmi un aggravamento di pena, richiesto dai carabinieri preposti al mio controllo della caserma di La Storta per una presunta evasione effettuata in daa 31 agosto. Da quel momento (22/9) sono quindi stato tradotto al carcere di Regina Coeli.
Non cercherò certo qui, tra queste righe, di difendermi da tale accusa, ma quanomento e approfitterò per salutare e abbracciare col cuore le mie sorelle e i miei fratelli, compagne e compagni. Ripetendo a me stesso che, nonostante la repressione, le angherie e i soprusi ci saremo sempre l’un per l’altra. Che non smetteremo di lottare. Che ci ritroveremo ancora sulle barricate, sorridenti, determinate e a testa alta. Che per quanto possano temporaneamente o meno togliere di mezzo una/o di noi, altre ed altri saranno lì a colmare il vuoto. Che non ci sarà pace ne tregua per chi ci opprime e reprime.

Con rabbia e amore, vostro compagno
Beppe

 Fonte: Distrozione

Per scrivergli

Giuseppe De Salvatore
c/o C.C. Regina Coeli
via della lungara 29
00165 Roma

Oltre le mura

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Un urlo fatto da tante voci si alza dal Centro di Permanenza per il Rimpatrio di c.so Brunelleschi. Sono i reclusi che rispondono con un roboante “Libertà!” ai solidali fuori in presidio nella domenica ottobrina. A dividerli la cinta di mura, le reti e un folto dispiegamento di forze dell’ordine, polizia e carabinieri insieme. Niente di nuovo, del resto.

Da dentro ci fanno sapere che sono tanti, tantissimi, circa centocinquanta ragazzi. Un numero tornato considerevolmente alto dopo anni in cui la struttura andava avanti a capienza notevolmente ridotta grazie agli incendi dei rivoltosi che l’avevano resa per buona parte inagibile.

Tuttavia la rabbia ancora striscia e s’accompagna a ogni giornata dentro al Cpr, a ognuno dei detenuti, aspettando i modi per palesarsi.