Deadline

5 settembre: una trentina di studenti e solidali ha presidiato dalla mattina gli accessi del laboratorio Manituana, situato di fronte a “Palazzo Nuovo”, in segno di protesta contro la decisione dell’Università di rientrare in possesso degli spazi occupati tre anni fa e da allora utilizzati come aule studio e non solo. Nessuno sgombero è stato eseguito in giornata ma la sorte del Manituana è ancora incerta data l’intenzione dell’Università di ristrutturare gli spazi per adibirli, casualmente, ad aule studio.

Sotto casa

3 settembre. Nella notte nel quartiere Aurora, sotto la sua abitazione in via Cremona, il senatore M5S Alberto Airola è stato aggredito da due ragazzi nordafricani che andandosene gli avrebbero portato via il cellulare. Non è chiaro se a scatenare il tutto sia stato un precedente alterco.

L’episodio, oltre a scatenare la solidarietà bipartisan di colleghi e affini del senatore, è stato il pretesto per etichettare Aurora come “terra di nessuno” e chiedere per questo la chiusura dei parchi di zona e presidi fissi di polizia.

In gran segreto

3 settembre. Al circolo Anatra Zoppa, nel cuore di Barriera di Milano, si è tenuto un incontro a porte chiuse tra la sindaca Appendino e il suo entourage di consiglieri per rinsaldare le fila post pausa estiva. Tra i vari temi scottanti affrontati ci sono le sorti della linea 2 della metro, il rinnovo dei vertici Smat e l’ipotesi di amministrazione controllata per far fronte all’affaire Gtt.

Di carcere si muore

30 agosto. Un detenuto del carcere Lorusso e Cotugno di Torino si è tolto la vita nella sua cella impiccandosi con delle lenzuola. Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) commenta: la colpa è della mancanza di organico.

Nella stessa giornata nel carcere pisano Don Bosco un altro detenuto di 21 anni si è impiccato scatenando la rivolta degli altri reclusi che nella notte hanno gettato oggetti nei corridoi, allagato alcuni locali e dato fuoco a lenzuola e cuscini.

Con questi due suicidi sale a quaranta il numero di detenuti morti nelle patrie galere da inizio 2017.

Notizie da Greg

 

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Arrivano con lentezza le lettere che Greg ha spedito dal carcere di Gorizia. Nelle poche arrivate fino a ora racconta della vita ristretta in una struttura detentiva piccola quale è quella friulana in cui i reclusi sono attualmente 36. “Le celle sono aperte dalle 9 alle 18. La sezione è composta da due celle da sei, abbiamo un calcetto in corridoio, facciamo l’aria dalle 9 alle 11 e dalle 13 alle 15. In cella ci sono cucina inox, due camping gas, bagno con bidet e doccia grande, acqua fredda e calda immediata.” Un carcere talmente piccolo che “le cose che non si possono prendere attraverso la spesa le si può avere, via domandina, in un paio di giorni; in pratica i due lavoranti vanno al supermercato vicino al carcere!”.

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La polizia terrorizza e uccide

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Vi segnaliamo un appuntamento per questa domenica a cui ci sembra importante partecipare. Alle ore 16, alla stazione di Bardonecchia, un presidio in solidarietà a due ragazzi finiti all’ospedale dopo aver incontrato sulla propria strada l’arrogante agire della polizia.

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Contro l’abitudine

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Ecco qua una lettera scritta da Antonio, arrivata una manciata di giorni fa dal carcere, prima che il Tribunale del Riesame modificasse le misure.

 

“Vallette, 05 agosto 2017


Ed eccoci di nuovo qui, nelle celle di un carcere.

Siamo accusati nuovamente di esserci messi “in mezzo”, di aver tentato d’impedire l’ennesimo rastrellamento d’immigrati nel quartiere in cui viviamo.

Bloccare una retata è un obiettivo molto arduo e le forze dell’ordine, ormai, si presentano in tenuta anti-sommossa, a cavallo addirittura, come successo a Milano, e svolgono una vera e propria operazione militare.

Solidarizzare con in fermati e rendere “visibile” il rastrellamento sono, ahimè, il magro risultato che si riesce ad ottenere.

Può sicuramente sembrare strano sentir parlare di “visibilizzazione” di un evento enorme come una retata della polizia nel pieno centro di un quartiere, un contesto in cui volanti, camionette, celere con caschi e manganelli non passano certo inosservati.

Ed è proprio questo il punto. In questi tempi bui, i militari armati fino ai denti che passeggiano nelle nostre strade e i rastrellamenti su base etnica che tanto hanno fatto inorridire la democrazia del dopo guerra, sono le consuetudini della vita di tutti i giorni. La normalità, si sa, è fatta di barbarie.

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Avremmo voluto

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Di seguito le parole di una persona imputata dei fatti avvenuti la sera del 6 aprile.

“Avremmo voluto scacciare la polizia dal quartiere con bottiglie e blocchi stradali. Avremmo voluto impedire una delle sempre più frequenti retate contro i “sans papiers” a Torino. Saremmo stati felici di sabotare un controllo di documenti (sempre mascherato e venduto come azione antidroga) con lanci di pietre. Non ci sarebbe dispiaciuto che due poliziotti si ferissero davvero: avrebbero capito, forse, che la loro violenza continua ogni tanto trova la risposta rabbiosa di chi è stanco di questa militarizzazione.

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Sguardi incrociati – Aggiornato

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Da poche ore si è conclusa l’udienza davanti al tribunale del riesame per Kam, Fran, Antonio, Beppe e Lorenzo. In quella sede si è discussa l’imputazione che ha fatto catalpultare tra quattro mura i cinque compagni e messo al bando dalla città Monica e Michela, per valutare se modificare le misure affibiate loro in attesa del processo.

Nonostante l’udienza fosse a porte chiuse si è venuto a sapere che all’interno dell’aula si è incontrato un vasto assortimento di sbirraglia: i poliziotti in borghese del commissariato di Porta Palazzo, la Digos,  i secondini, le guardie del corpo di Padalino e Rinaudo e un banco di carabinieri. Sono giunti a sottolineare con la loro presenza la potenza che detengono all’interno di un’aula tribunalizia. Una potenza traslitterata nelle carte giudiziarie e nella ricostruzione della storia di quella sera, come le storie di tante altre sere, giorni o momenti, vissute negli anfratti di qualche commissariato o lungo le strade durante un controllo. Il prima, il dopo, la causa e l’effetto sono mescolati per creare un racconto che renda di più sulle carte, nella valutazione del reato e nella misura della condanna.

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Agosto in Barriera

 

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Esattamente un secolo dopo la sommossa popolare che caratterizzò l’agosto del 1917 torinese, vi proponiamo in forma integrale un racconto tratto da Invece, mensile anarchico di qualche anno fa, in cui si ripercorrono quelle giornate in cui le “barriere” operaie scoppiarono sotto il segno della rabbia contro la guerra, la fame, il lavoro, contro di fatto la vita urbana e le sue ripercussioni più tragiche.

I ragazzi della Barriera
Era di fronte all’Arsenale di Borgo Dora che la cavalleria serrava le fila. Da lì i soldati attraversavano il ponticello di legno e poi su al galoppo per il corso Vercelli fino all’altezza di via Carmagnola. Lì la corsa si arrestava, spesso rovinosamente: ancora prima della barricata fatta coi carri ferroviari rovesciati e i platani abbattuti i cavalli si incespicavano nei blocchetti di carbone sparsi per terra spaccandosi gli zoccoli, e pur di non ferire le loro bestie preziosissime gli ufficiali preferivano ordinar la ritirata e risparmiare così qualche sciabolata agli insorti.
Dall’altro lato della barricata, i ragazzi della Barriera di Milano. Quasi tutti operai, alcuni armati; i militanti dei circoli sovversivi del quartiere, certamente, ma anche i loro vicini di ringhiera, i loro compagni di officina, i loro amici della strada… i ragazzi della Barriera, appunto. Centinaia di ragazzi, anche quelli sui quali le belle coscienze dei rivoluzionari non avrebbero scommesso una cicca, anche quelli della razza di Toni il monco o di Censin Bonaglia, che tutti davano per persi nelle strettoie della vita dei poveri, irrecuperabili. Erano là in prima fila, pronti a saltar sulle barricate e a spingere tutti in avanti ad affrontar le baionette dei soldati e le palle dei fucili.

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