L’aria che si respira

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Ecco una lettera inviataci da Antonio in cui descrive le condizioni di reclusione all’interno del blocco C delle Vallette. Ne approfittiamo per ricordarvi che il nostro compagno ha iniziato uno sciopero della fame ad oltranza mercoledì 21 giugno, per protestare contro la Gip Arianna Busato che gli ha negato la possibilità di uscire agli arresti domiciliari. Nelle motivazioni si afferma che la casa scelta è troppo piccola e che la ragazza che dovrebbe ospitarlo non è in possesso di un contratto di lavoro.
Vi ricordiamo poi l’indirizzo cui è possibile scrivere ai tre compagni rinchiusi nel carcere delle Vallette:

Antonio Pittalis

Antonio Rizzo

Francisco Esteban Tosina

c/o casa circondariale Lorusso e Cutugno

via Maria Adelaide Aglietta 35

10151 Torino

«Ciao a tutti/e,

vi scrivo dal blocco C del carcere Lorusso e Cotugno di Torino, vi spiego un pò in che situazione mi trovo e che aria si respira qua dentro.

Nella mia sezione, la 11a, la maggior parte delle celle sono inagibili e ci sono alcune persone in isolamento, siamo pochi.

L’aria la facciamo insieme alla sezione 3a, un’ora e mezzo il mattino e un’ora e mezzo il pomeriggio; il resto della giornata la passo in cella da solo, niente attività – la nostra è la sezione più punitiva di tutto il carcere –.

Le celle puzzano di morto ed è pieno di blatte e topi, le blatte cadono anche dal soffitto.

Quando piove tanto, la mia e altre celle si allagano, entra acqua dai muri e da sotto la finestra, l’ultima volta sono rimasto in piedi su una sedia perché c’era troppa acqua e non si poteva stare, si allagano anche alcuni corridoi , piove proprio dentro.

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Quando è troppo, è troppo

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C’è un detto che dice che anche la pazienza ha un limite superato il quale non si è più disposti a tollerare. E così, da un po’ di tempo a questa parte, Antonio, Fran, Antonio, Giada, Cam e Fabi, dato l’atteggiamento volutamente vessatorio e arrogante del gip che ha firmato i loro arresti lo scorso 3 maggio, hanno cominciato ad immaginarsi in quali modi provare a smuovere la propria situazione repressiva. Dopo lo sciopero della fame di 24 ore di Fran e quello di Antonio Rizzo delle scorse settimane anche Antonio Pittalis ha dato il via alla propria protesta. La motivazione scatenante, manco a dirlo, sta nel secondo rigetto dell’istanza per gli arresti domiciliari rifilato dalla sopracitata giudice, la dottoressa Arianna Busato – ci teniamo a ricordarlo – , giustificato dalle solite argomentazioni assurde e notificato negli scorsi giorni a tutti e tre i compagni ancora rinchiusi.

E quindi da ieri Antonio è in sciopero della fame ad oltranza fintanto che la condizione detentiva sua e dei suoi coimputati ancora incarcerati non subirà dei miglioramenti e contro la paraculaggine, che ha tutto il sapore della presa per il culo, messa in campo dalla giudice delle indagini preliminari.

Se chi sta dentro prova come può a lottare e farsi sentire con i limitati strumenti a disposizione, a chi sta fuori il compito di portare solidarietà a chi protesta, di estendere la lotta e diffonderla in città.

Intanto fuori, per le vie cittadine, la faccenda dell’ordinanza anti-vetro ha messo in risalto il ruolo della polizia ai più, anche a quelli che volevano semplicemente bere una birretta seduti su un gradino.

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In Santa Giulia, oltre Santa Giulia

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Il giorno dopo i fatti di Piazza Santa Giulia con sguardo superficiale sembrerebbero rimanere solo i tavolini scassati dei dehors e la montagna di immondizia ammassata; non ci si riferisce di certo alle bottiglie frantumate a terra durante la confusione, ma a quella prodotta all’unisono dalle piccole e grandi testate giornalistiche sulla “movida incontrollata torinese”.

Dal canto nostro non c’è l’intenzionalità di riportare l’ennesima cronostoria di come si sia evoluta la serata d’inizio estate, né tantomeno di fare il gioco poco felice dell’identificazione di chi, tra polizia e coloro che alla sua presenza si sono opposti, sia il “vero violento”. Ci piace poter dire fuor dai denti che ogni volta che le forze dell’ordine prendono anche solo qualche ceffone ce la ghignamo, se si riesce a cacciarli da una piazza o impedire loro un controllo non possiamo che rallegrarcene. In realtà è ben poco ma, di questi tempi, a quanto pare, non è scontato sottolineare anche le quisquilie sulla rivendicazione della propria di violenza, seppur sia un granello di sabbia rispetto a quella prettamente detta del monopolio statuale e degli interessi che difende.

Andando oltre le piccole certezze, troppe sono le domande su cosa trarre dall’accaduto, sia per quanto riguarda il dispositivo poliziesco in sé e sui suoi cambiamenti nell’ultimo periodo, sia, con una lente un po’ più ampia, sui contesti in cui è chiamato a intervenire direttamente e in gran parata. Insomma ci chiediamo come discernere i nuovi elementi di gestione dell’ordine pubblico da quelli usuali, tenendo per buona l’ipotesi che vi sia, anche per una serie di narrazioni sull’emergenzialità della messa in sicurezza delle città europee, una diffusione ed espansione in tutto lo spazio urbano di procedure già di routine in luoghi periferici e ritenuti sensibili. Se certe procedure repressive non sono nuove, nuovi sono però gli strumenti giuridici che ne permettono la riproduzione in spazi fisici e sociali altri.

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Dalla gru

20 giugno. Un uomo si arrampica sulla gru posizionata tra corso Vigevano e via Cigna per protestare contro l’affidamento dei propri figli. È rimasto per tre ore in cima all’argano, vestito da V per vendetta, con uno striscione e un megafono, accusando il sindaco di Torino e le forze di polizia dell’ingiustizia della sua attuale condizione.

Verranno al contrattacco con elmi e armi nuove

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Le procedure giudiziarie sono sostanzialmente farraginose, soprattutto quando in ballo c’è la detenzione: istanza, attesa di risposta da parte del giudice, attesa delle motivazioni della risposta. Una serie di lungaggini snervanti che talvolta vengono rese ancor più insopportabili dai Gip che rifilano rifiuti a qualunque richiesta senza neanche leggere le carte o persino, per partito preso, traspongono paro paro l’argomentazione accusatoria dei Pm trasformandola in ordinanza di privazione della libertà. Del resto per loro è la burocrazia del copia-incolla, timbro, firma e poco più.

Non si vuole qui certo fare l’apologia del giudice accorto e diligente, sappiamo bene quanto il diritto sia in un certo modo flessibile e soprattutto passibile delle attitudini personali e delle interpretazioni di chi è addetto alla sua applicazione. Certo però che di togati che ci fanno pruder ancor più le mani, anche rispetto a quanto già l’odio ordinario verso i tribunali non riesca a fare, ne vediamo davvero troppi. Uno di questi è Arianna Busato, giudice per le indagini preliminari nell’ultima inchiesta, che ha portato all’arresto di sei compagni. La signora, dopo aver nelle settimane passate rifiutato qualsiasi istanza fatta dai compagni arrestati financo impedire loro di sentire i parenti, ha firmato l’ennesimo “no” alla richiesta di trasferimento ai domiciliari per Fran, Antonio e Antonio.

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Presidio al Cpr torinese

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La settimana scorsa il Cpr (ex Cie) di Torino ha ricevuto visite. Una delegazione di persone ben vestite che parlavano inglese, francese, alcuni anche arabo, è venuta a passeggiare tra le mura di Corso Brunelleschi. Non si capisce bene cosa volessero né se fossero politici, funzionari o personale di qualche Ong. Sembra che qualche giorno prima avessero fatto visita anche a Lampedusa.
Arrivati in mattina, hanno passato tutto il pomeriggio a tentare il dialogo con i reclusi, a far domande su come si vive dentro, come si mangia e sul loro stato di salute. In molti tra i ragazzi rinchiusi hanno però rifiutato il dialogo. “Che dobbiamo dirgli. Qui è uno schifo, e niente cambia. A cosa serve parlargli”. Alcuni pare avessero il timore di riferire le violenze, il cibo da schifo e le botte che passano dal Cpr torinese per non subire poi ritorsioni da parte dei poliziotti. Qualcuno ha fatto persino finta di dormire pur di evitare le insistenti quando ininfluenti domande che i signorotti bene vestiti volevano porre. A rimarcare l’inutilità della passeggiata è la risposta data a chi, tra i reclusi, chiedeva un contatto per restare aggiornato e sapere se avrebbero fatto qualcosa al riguardo: “State tranquilli, ci faremo vivi noi”. Chiuso il dialogo; abito buono, faccia da culo.

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Evasione e giustizia fai-da-te

16 giugno. La signora rom arrestata per aver investito un uomo in scooter lungo strada dell’areoporto è evasa dal carcere. La famiglia del motociclista e coloro che si sono mobilitati dopo l’incidente dello scorso maggio assieme ai militanti di Casapound e Forza Nuova per chiedere la chiusura definitiva e lo sgombero di tutti i campi nomadi di Torino, ora, dichiarano di offrire una taglia sulla testa della fuggitiva e di impegnarsi direttamente nelle ricerche.

Rabbia Frocia

16 giugno. Durante la notte sono comparse delle scritte sui muri del Cinema Massimo, in piazza Palazzo di Città e sui muri del deposito GTT di corso Trapani contro il Lovers Film Festival e il Piemonte Pride: “LA NOSTRA RABBIA NON È UN FESTIVAL”, “LA NOSTRA RABBIA NON SI COMPRA”, “I CONFINI NON SONO UN CLAIM”.

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Di verità, interpretazioni e certezze

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Una mattina qualunque a Porta Palazzo, il sole cocente di mezzogiorno incombe su dei manifesti freschi che riportano le foto del pestaggio di ieri e sulle chiacchiere accaldate degli avventori tra un banco e l’altro di scarpe, proprio là al ridosso del mesto PalaFuksas. Qualche bancarellaro si fa sfuggire quanto sia stata terribile la scena di ieri, del ragazzo picchiato dalla polizia dopo una concitata fuga, qualcun altro – invece – con tono sornione afferma di non aver visto nulla e con un’asserzione secca impone questa valutazione anche ai vicini di attività “noi non abbiamo visto niente, eh!”. Di lui, il giovane senegalese, si sa ben poco tranne che dopo esser stato portato al pronto soccorso è stato tradotto alle Vallette.

Dopo la diffusione massiccia del video che riprende abbastanza eloquentemente l’operato di ieri dei signori in divisa, la questura si è apprestata a mandare le veline alle testate locali elargendo la sua Verità: il fatto non è avvenuto, il ragazzo ha sbattuto la testa cadendo contro la struttura di un banco e per questo perdeva sangue. Di come esattamente siano andati i fatti non possiamo essere sicuri, che abbia anche sbattuto o meno la testa, certo è che in molti hanno visto come è stato menato mentre era già immobilizzato e sanguinante nella morsa dell’ordine pubblico.

Non crediamo che negli ultimi giorni alla polizia torinese abbia fatto male il caldo e sia per questo sopra le righe, conosciamo bene la sua violenza quotidiana, quella procedure in strada o quella meglio celata nelle stanze dei commissariati con la legittimazione del monopolio sul sangue altrui sgorgato. Capita però talvolta che qualcosa vada storto, che in tanti vedano, che qualcuno filmi, che ancor meglio si metta in mezzo ai loro controlli o provi a resistere, che chi subisce le percosse negli edifici della legge abbia la possibilità di raccontarle e organizzarsi per reagire.

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Assassate

 

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Sotto le scaffalature tra i banchi di scarpe di Porta Palazzo restano solo delle vistose macchie di sangue, a testimoniare del lavoro svolto da alcuni agenti di Polizia qualche ora prima. I poliziotti hanno rincorso tra le bancarelle un ragazzo senegalese e, una volta raggiunto, lo hanno gettato a terra, ammanettato e picchiato senza troppi complimenti. Si sono calmati solo quando il suolo ha cominciato ad essere troppo  rosso e più di un passante ha iniziato a gridargli di smetterla. Un agente è rimasto quindi sopra di lui per bloccarlo fino all’arrivo dell’ambulanza. Al momento non sappiamo come stia il ragazzo e che fine farà una volta uscito dall’ospedale.

Qui sotto potete vedere con i vostri occhi una scena purtroppo non così eccezionale tra le strade di questa città.

https://www.youtube.com/watch?v=Kuwx3izxXAM