17 maggio. Arriva la sentenza nel processo per la cosiddetta “strage” di piazza San Carlo. Durante la finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid proiettata in piazza nel giugno 2017, sono rimaste uccise due ragazze travolte dalla calca generata dal panico della folla. Alla fine la mannaia è calata sui quattro capri espiatori, giovani ragazzi marocchini per lo più abitanti della Torino nord popolare, accusati di aver generato il trambusto con dello spray al peperoncino mentre stavano cercando di borseggiare i presenti. L’accusa che ha retto il primo grado di giudizio è di omicidio preterintenzionale e ha portato con sé 40 anni di condanna, equamente ripartiti tra i colpevoli. Boia indiscusso di tutta la vicenda giudiziaria il Pubblico Ministero Roberto Sparagna.

Quattro giorni di lotta e discussione organizzati dall’assemblea contro detenzione amministrativa e frontiere che si vede settimanalmente in via Tollegno.
Giovedì 30 maggio, Campus Luigi Einaudi, ore 18: discussione sui decreti sicurezza e le loro conseguenze con gli avvocati Gianluca Vitale e Laura Matrinelli; a seguire aperitivo.
Sabato 1 giugno, Giardino Schiapparelli (quello della Smat), ore 18: “Le cause internazionali e politiche delle migrazioni”, dibattito con professor Pietro Basso. In caso di pioggia l’incontro si terrà in via Tollegno 83.
Domenica 2 giugno, Piazza Castello, ore 15: biciclettata fino al CPR dove alle 17 inizierà il PRESIDIO contro il centro per “irregolari”.
Giovedì 6 giugno, Via Tollegno 83, ore 18: discussione sl Cpr e sul sistema dell’accoglienza, a seguire aperitivo.

Abbiamo deciso di accompagnare anche noi, metaforicamente parlando, l’ex ministro Minniti nella sua passeggiata attraverso Aurora, durante la quale come nella migliore tradizione peripatetica ha dispensato ampie lezioni a tutti i presenti, quelle pillole di democrazia per le quali è tristemente famoso. Insieme a lui, a fargli da Cicerone o da uditori, il senatore Stefano Esposito, la consigliera Nadia Conticelli, il presidente di Circoscrizione Luca Deri e i membri dei comitati di quartiere. Questi ultimi, invero, più patetici che peripatetici.
La sua testa lucida come una lampadina ha saputo abbagliare i riflettori dei giornalisti proprio nel punto culmine di questa promenade: manco a dirlo ai giardini di via Alimonda, teatro del disagio e dell’insicurezza più assoluta! Minniti ha sostenuto che la formula perfetta per la riqualificazione della zona è un cocktail di tre fattori: presidio delle forze dell’ordine, risanamento dell’area da parte dei civich con l’obiettivo di scovare ogni povero che si annida in subaffitti e negozi trasformati in abitazioni e molte più telecamere. Insomma nulla di nuovo, forse solo detto meglio, in modo più completo e tutto assieme: controllo diretto, controllo remoto!
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16 maggio. La fretta e la furia di aprire i battenti del Mercato Centrale di Torino non ha dato tempo ad alcuni ristoratori di procurarsi i frigo adeguati e lo spazio e i modi per stipare e conservare gli alimenti. Questa mattina dopo un controllo igienico sono stati messi i sigilli alla macelleria “La carne del Piemonte” di Marco Martini e sono stati sequestrati 50 chili di cibo precotto. Il cartello appeso fuori dallo stand giustifica la chiusura per lavori di manutenzione. Si tratta di uno scivolone per la reputazione dell’ultima opera immobiliare-gastronomica di piazza della Repubblica.
13 maggio. Il comando della polizia municipale di Porta Palazzo e i poliziotti del Commissariato Dora Vanchiglia hanno controllato a tappeto piazza della Repubblica alla caccia di venditori senza licenze. Le interessate della retata sono state le ambulanti nigeriane, qualcuna di loro è scappata abbandonando la merce, altre sono state identificate e hanno subito il sequestro della mercanzia. Il bottino del contingente interforze conta in tutto di 470 pesci essiccati, 1940 sacchetti di spezie, 1831 barattoli di cosmetici tra cui creme sbiancanti, 180 confezioni di ciglia finte e 75 confezioni di accessori per capelli.

Corso Brunelleschi, arriva la primavera, se non fosse per le alte e verdeggianti fronde degli alberi che superano la cinta di mura, dentro alla prigione per senza documenti non se ne accorgerebbero.
La vita nel Cpr non scorre ma friziona e urta, sbatte contro il perimetro della gabbia e torna indietro. La vita nel Cpr è costretta in una struttura che cade a pezzi, con la beffa dell’incuranza che s’accompagna al danno della reclusione. Il decreto sicurezza inizia a farsi sentire anche dentro a centri come questo peggiorando la situazione per i reclusi. È ragionevole pensare che i tagli voluti dal Ministero siano andati a incidere celermente nella gestione dei servizi: se Salvini riduce la spesa, il gestore Gepsa, la multinazionale francese specializzata nella detenzione privata, continua a tenere stabili i suoi lauti utili mentre spreme fino allo stremo i ragazzi rinchiusi facendo scarseggiare persino il cibo; anche i cosiddetti charlie, ovvero i lavoranti civili, sono sempre meno. E se è vero che ai reclusi fa piacere togliersi dalla vista certi personaggi in pettorina che esercitano il potere quasi come gli sbirri stessi, è tuttavia esasperante essere tenuti in gabbia senza neanche il numero di inservienti sufficiente a servire i pasti.
Centri di permanenza che sembrano ambire a diventare vere gabbie di morte, lager di una guerra sempre più esplicita, senza più pudore. Pian piano il Cpr diventa una struttura oltre la prigione, oltre il campo di una guerra globale, diviene recinto di nudo controllo.
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13 maggio. I giocatori della squadra di basket di Avigliana vengono a sapere che il loro compagno senegalese è stato espulso dal suolo italiano. Gangio nonostante abbia “superato” tutti gli step del progetto di accoglienza diffusa, conosca fluentemente l’italiano, lavori e giochi a basket, non è riuscito a rinnovare il permesso di soggiorno per motivi umanitari.
3 maggio. Nella notte compaiono delle scritte contro gli sbirri e la Juventus sulla chiesa della Gran Madre.
2 maggio. Durante la notte, al pronto soccorso dell’ospedale Santa Croce di Moncalieri è morto un uomo nella sala d’attesa senza che nessuno se ne accorgesse. L’uomo non aveva i documenti con sé, nessuno ne ha denunciato la scomparsa.

Un paio di compagni dopo aver navigato attraverso il corteo del 1° maggio hanno deciso di mettere giù alcune considerazioni parziali su quello che hanno visto e vissuto in quella giornata.
Che il primo maggio da lunghi decenni sia una giornata controversa, per usare un dolce eufemismo, è pacifico nel cuore di molti, se non altro nella sua declinazione a festa sindacale e politica in cui sotto l’egida del lavoro – neanche più quella dei lavoratori – le becere rappresentanze possono aggiornare il portfolio al mercato della politica, mostrarsi come guida per l’elettorato, consiglieri nello sfruttamento, forza del sociale. Tuttavia, in questo periodo in cui il centro della città è difeso da ordinanze prefettizie e ogni grossa manifestazione con delle dichiarazioni minimamente bellicose viene completamente blindata, la “festa dei lavoratori” pare ancora un’occasione per incontrarsi in strada con la volontà di mettersi di traverso. Politici e istituzioni che decidono sulle nostre teste, rintanati nei palazzi, sfreccianti nelle corsie dei tram sulle loro autoblu, si affacciano nelle vie del centro in mezzo al popolino, seppur circondati da cordoni di celere.
Ci si domanda allora che senso abbia partecipare alla manifestazione del primo maggio se non per cogliere l’occasione di avvicinarsi a tal punto ai potenti da tirargli almeno un sonoro e ribaltante coppino alla nuca. Che questo avvenga nello slancio di un disoccupato solitario, in un piccolo gruppo di lavoratori incazzati o in una forza d’urto ancora più collettiva dipende dal coraggio contagiatosi nelle esperienze quotidiane di lotta. Ma su questo fronte, purtroppo, le difficoltà sono evidenti da tempo.
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