28 maggio. Nella notte è stata messa fuori uso la serratura della BIESSE SISTEMI SRL, azienda che si occupa della manutenzione della videosorveglianza all’interno del Cie. Nell’inferriata è stato appeso uno striscione con su scritto ”BIESSE COMPLICE DELL’ESISTENZA DEI C.I.E, CONTRO OGNI GABBIA”.
La presenza sempre più invadente della polizia a far retate, controlli ad ogni angolo e nei bar salta agli occhi a tutti coloro che attraversano le strade di Torino nord. Le statistiche confermano ciò che si presagisce dalle percezioni in strada, sembra aumentare l’impegno a punire reati considerati lievi: il controllo diretto diventa maggiore, il numero di persone arrestate per piccole attività illegali cresce. E anche il tribunale di Torino sembra si stia organizzando a riguardo, dotandosi di strumenti in grado di far condannare più velocemente chi commette reati come furto, violenza, minaccia, resistenza a pubblico ufficiale, violazione di sigilli, risse, ricettazioni.
E dove la repressione riesce a cacciare le persone indesiderate dalle strade, ripulite per il nuovo profitto urbano, rimangono telecamere a scrutare costantemente lo spazio e vigilanza privata a far la ronda. S’incuneano così i processi di riqualificazione dello spazio e di messa a profitto che nell’ultimo decennio procedono a spron battuto in certi quartieri ormai ex-popolari di Torino.
In un clima d’attenzione generalizzata all’estirpazione di comportamenti illegali diffusi la Procura torinese, e il Tribunale in genere, pare abbiano deciso di intraprendere una crociata fino all’ultimo respiro contro le persone e i gruppi che si oppongono in diversi modi a progetti di opere infrastrutturali, a cicli di sfruttamento, a dinamiche d’esclusione.
Così in Val di Susa, dove chi ha partecipato concretamente all’opposizione alla costruzione del treno veloce si è visto appioppare misure cautelari come arresti domiciliari, obblighi di dimora e firme quotidiane dai carabinieri.
In città poi la notifica di una misura cautelare in seguito a una denuncia per una contestazione in degli uffici pubblici, per la partecipazione a un picchetto contro uno sfratto o per una semplice contrapposizione alle forze dell’ordine è ormai un’abitudine.
L’ultima cattiva nuova è del 25 maggio quando la polizia ha bussato in diverse case di Barriera di Milano per notificare dodici divieti di dimora dalla città di Torino.
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“Bruciare le frontiere ogni giorno“, questo il titolo e il filo conduttore della tre giorni svoltasi a Torino nei giorni scorsi. E oltre a Calais, a Ventimiglia, a Idomeni e al Brennero – le frontiere statali – i racconti e le riflessioni si sono infatti concentrati sui Cie e sui centri di Seconda Accoglienza, sulle occupazioni con i rifugiati ad Atene e sulle lotte con i rifugiati a Parigi. Nella convinzione che, oltre alle frontiere tra uno Stato e l’altro, siano molteplici gli strumenti adottati dalle autorità per controllare e render sempre più dure le vite di quegli uomini e donne fuggite dai propri paesi verso l’Europa. Numerosi sono quindi anche i luoghi e le occasioni di incontro e lotta con chi non ha il giusto pezzo di carta in tasca.
Per questo sabato mattina i partecipanti a questa tre giorni hanno attraversato in corteo Piazza della Repubblica, il Balon e le strade di Aurora, dove i controlli e le retate dei senza-documenti sono all’ordine del giorno. Nel corso del corteo con scritte sugli autobus, manifesti sui muri e interventi al megafono è stata ribadita la necessità di organizzarsi assieme per resistere alle forze dell’ordine e sono stati ricordati alcuni tra i responsabili delle deportazioni, come Poste Italiane proprietaria della compagnia aerea Mistral Air particolarmente attiva nelle espulsioni.
Domenica pomeriggio si è invece svolto un rumoroso presidio sotto il Cie di Corso Brunelleschi, difeso per l’occasione da più di un centinaio di celerini e agenti in borghese. Oltre ai soliti petardoni e interventi al microfono sono state lanciate anche molte palline da tennis oltre le mura del Centro, cosa che non accadeva ormai da mesi visto che gli ultimi tentativi erano stati subito ostacolati dalle forze dell’ordine presenti. Il presidio si è poi concluso con un corteo lungo via Monginevro seguito da lontano dai blindati e dai cordoni della Celere.
A ricordare poi come le frontiere siano ovunque ci hanno poi pensato nei giorni successivi alcuni dei suoi sostenitori.
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23 maggio. Il corteo di sindacati di polizia e commercianti della zona partito da piazza Crispi è costretto a un lungo giro per riuscire a raggiungere il Comune. Infatti, ad attenderli lungo il possibile percorso, sotto alla casa occupata di corso Giulio Cesare c’è un rumoroso presidio di occupanti e solidali; nelle vie attorno compare anche qualche striscione contro le forze dell’ordine. Nel mentre antirazzisti e militanti del circolo della Fai dopo un corteo in quartiere hanno aspettato i tutori della sicurezza nella piazza adiacente a Palazzo di Città, disturbando il loro arrivo.
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16 maggio. I portici di Casa Aurora, all’angolo tra corso Giulio Cesare e corso Emilia, vengono sgomberati da alcuni senzatetto che vi soggiornavano da mesi; in progetto al piano terra dell’edificio ci sono infatti dei lavori per una palestra. Rispetto ad altri tentativi di sgombero avvenuti in precedenza, finiti con la rioccupazione il giorno stesso da parte dei senzatetto, questa volta sono comparse le transenne a impedire l’accesso al riparo porticato. Sul cartello affisso alle barriere si legge la causale “manutenzione ordinaria”.
LA VALORIZZAZIONE DELL’ESCLUSIONE E QUELLA DELL’INCLUSIONE
Un contributo torinese
Non è facile cercare di dare una lettura semplice alla gestione europea dei flussi migratori così come si è imposta negli ultimi due anni. I motivi sono molteplici e riguardano soprattutto la provvisorietà delle misure che i singoli Stati hanno adottato per far fronte alle “emergenze” e la differenza stessa di questi provvedimenti, strettamente collegati al contesto territoriale nazionale, cioè al suo posizionamento geografico rispetto ai corridoi di migrazione e al perimetro dell’Eurozona, agli interessi economici interni e a quelli d’investimento nei Paesi stessi da cui migliaia di uomini e donne son partiti. A ragion di questo, avere una visione troppo omogenea di ciò che muove i membri della UE non restituirebbe una visione a fuoco, quanto piuttosto un’idea forfettaria in cui la realtà di competitors economici risulterebbe troppo accontonata rispetto a una natura prettamente e classicamente politica di Stato-nazione.
Un punto d’attacco analitico alla questione è quello di considerare le strategie comuni, così come sono emerse, di messa a profitto dei flussi migratori tenendo tuttavia bene a mente un certo gap d’intenzionalità tra il potere “centrale” di Bruxelles e quello degli specifici governi nazionali. Dacché, in aggiunta, questi ultimi sono inseriti in una graduatoria decisionale data dalla forza economica avranno anche esigenze diverse nella gestione demografica del vecchio continente, e di conseguenza nell’afflusso quantitativo e qualitativo di manodopera immigrata. Del resto è scontato ribadire che ai poteri neoliberali contemporanei s’accompagna sempre una lente che vede le persone come capitale umano, passibile di valorizzazione su più scale, anche quella dell’esclusione. Cercare di capire il significato di sfruttamento insito in questa prospettiva d’interesse, potrebbe esser d’aiuto anche a trovare un punto d’attacco pratico, di lotta, che permetta di trascendere la distinzione tra immigrati e autoctoni per concentrarsi sulle condizioni di sfruttamento che li accomunano.
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12 maggio. Nella notte tra mercoledì e giovedì i bancomat di cinque filiali Unicredit vengono messi fuori uso con la vernice. Sui muri adiacenti sono comparse in contemporanea scritte contro le banche e i finanziamenti all’industria della guerra.
12 maggio. Nella filiale della Cassa di Risparmio di Fossano in corso Traiano, poco prima delle 16, entrano in tre mascherati e armati di un sol coltello. Dopo aver rinchiuso i dipendenti in una stanzetta, aspettano l’apertura temporizzata del bancomat e si portano via circa 130.000 euro.
In vista dei tre giorni di discussione e lotta contro le frontiere, qui di seguito, uno in coda all’altro, troverete i contributi arrivatici sui temi che si andranno a toccare il 20-21-22 maggio.
Buona lettura.
Frontiere e muri intelligenti
Secondo i dati forniti dalle istituzioni europee, nel 2015 più di 50 milioni di cittadini di Paesi terzi hanno visitato l’Unione Europea attraversando legalmente i valichi esterni. Tale flusso, secondo le proiezioni statistiche, è destinato ad aumentare vertiginosamente negli anni a seguire, fino a raggiungere addirittura 80 milioni di visite annuali. Lo spazio Schengen è diventato ancor più che nel passato, per varie ragioni, polo d’attrattiva per lo scambio di merci e per la transizione di numerose categorie di soggetti portatori di valori, investimenti e consumi differenti. Turisti, trasportatori, lavoratori a termine, manager, studenti, tutti ben accolti nel territorio perché visitatori temporanei e ampiamente spendibili sul mercato europeo; un’immagine speculare a quella degli immigrati in fuga.
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Nel campo alla frontiera di Idomeni la situazione pressante vissuta dai migranti è fonte di tensione che talvolta si palesa con scontri con la polizia. Il dispositivo di sicurezza non si esaurisce tout court con la militarizzazione ma si completa nella gestione del campo a opera di associazioni ed enti più o meno istituzionali. La situazione dei migranti in Grecia è tuttavia più sfaccettata di questa mesta cartolina di confine perché, per esempio, a Salonicco e ad Atene sono iniziati dei percorsi di lotta che hanno portato a varie occupazioni e che di fatto aprono prospettive interessanti.
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