Pezzo dopo pezzo

19 ottobre. All’alba diverse camionette di polizia e carabinieri procedono allo sgombero di alcune baracche del campo di lungo Stura Lazio proseguendo nel progetto che ne prevede lo smantellamento entro qualche mese. Circa una trentina di persone hanno così giusto il tempo di prendere le poche cose necessarie prima di vedere la propria baracca tirata giù dalle ruspe. Operatori del canile portano via gli animali sgomberati mentre la Croce Rossa si dice disponibile ad ospitare momentaneamente le famiglie; nessuno accetta. Poche ore dopo l’ufficio nomadi di via Bologna viene occupato per qualche ora da sgomberati e solidali, poi il gruppo esce e improvvisa un piccolo corteo fino alla fermata del pullman più vicina dove si scioglie sotto lo sguardo di digos e celerini.

Marrone merda

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16 ottobre. Pochi giorni dopo il corteo  contro lo sgombero del campo di lungo Stura Lazio, nella notte ignoti imbrattano la sede di Fratelli d’Italia. “Marrone merda” e “No allo sgombero dei campi rom” queste le scritte vergate sulla saracinesca tricolorata del partito di estrema destra.

Sempre di domenica

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Ancora una domenica, e ancora fuori le mura dell’ex Scalo Vanchiglia per il cosiddetto Suq. Questa settimana, però, con la notizia ormai certa che per il 25 ottobre sarà effettivo lo spostamento in via Monteverdi. Intanto in corso Novara stesso tran tran sul finire della notte, con la differenza che vigili, polizia in borghese e polizia con manganello concedono pochissimo spazio agli abusivi per stendere i loro teli: una piccola parte di contro-viale e il primo tratto di via Perugia si riempiono subito di tappeti di cartone,  plastica e dei soliti ammenicoli, fino a risultare ammassati gli uni sugli altri. Ben presto risulta chiaro che non tutti riusciranno a piazzarsi e qualcuno si prende senza chiedere un po’ più spazio di quello concesso, andando a strappare i nastri bianchi e rossi che i solerti vigili hanno utilizzato per segnare il limite tra il “si può” e il “non si può”. Anche stavolta non mancano una ventina di residenti anti-suq, alcuni dei quali venuti dalla nuova location dietro a via Bologna, evidentemente per portarsi avanti con il lavoro. Strano – viene da pensare – dal momento in cui intorno allo spiazzo delle poste abbandonate di via Monteverdi non ci sono palazzine residenziali ma solo le tracce architettoniche della città industriale.

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In un palazzo

16 ottobre. Una cinquantina di persone, perlopiù sfrattati e sfrattandi, occupano una palazzina nel quartiere di Cit Turin, in via Giacinto Collegno, nel solco delle vicine occupazioni abitative del vicino quartiere San Paolo.

In una banca

16 ottobre. Militanti del centro sociale Askatasuna e sfrattati sanzionano una banca, occupandola simbolicamente, di piazza della Repubblica a Porta Palazzo, contro speculazioni edilizie, pignoramenti e sfratti.

Alla Gran Madre

13 ottobre. Un imprenditore, nel quartiere Borgo Po nei pressi della Chiesa della Gran Madre, denuncia alla polizia il ritrovamento di un rudimentale ordigno incendiario sotto la sua macchina.

In poco tempo

Riportiamo dal blog Hurriya la notizia di una nuova deportazione di massa dal Cie romano. Anche questa volta come tre settimane fa si tratta di un rimpatrio verso la Nigeria.

Roma, 15 ottobre 2015
«Nuova espulsione di massa dal Cie di Ponte Galeria alla Nigeria

Prima ipotizzata e poi annunciata. E’ avvenuta.
L’espulsione di massa coordinata dai mercenari di Frontex verso la Nigeria è avvenuta questa mattina alle 9,30, con l’uscita dal cancello del CIE di Ponte Galeria di 3 pullman della polizia carichi delle persone da deportare e da agenti di vario tipo, scortati dai blindati della celere.

Le persone recluse nel CIE raccontano le grida delle persone espulse, sia nella sezione maschile che in quella femminile. 30 uomini e 20 donne dovrebbero essere il totale delle persone trasportate a Fiumicino e poi sul volo speciale.
Il console nigeriano continua a firmare espulsioni facendo spesso ingresso nel CIE.
Con certezza sappiamo che, dal CIE di Corso Brunelleschi a Torino e dall’hotspot di Lampedusa, continuano ad essere trasportate le persone nigeriane nelle gabbie del CIE di Ponte Galeria a Roma.
Che il CIE romano abbia un ruolo importante nelle deportazioni non è un’ipotesi.

La tristezza non basta.
La rabbia è immensa.
»

da Hurrya

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Chiodi all’Avanà/2

15 ottobre. Chiomonte. Alcuni chiodi a 4 punte sono stati messi sulla via dell’Avanà, all’interno del cantiere del Tav, danneggiando gli pneumatici di alcuni mezzi da lavoro e delle forze dell’ordine.

Sui muri di Torino

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14 ottobre. Torino. Nella notte precedente la prima udienza del processo d’Appello contro Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò, compaiono alcune scritte sui muri della città.

Una riflessione

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A ridosso del processo d’Appello a Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò ci arriva un testo di Francesco, che pubblichiamo di seguito.

Una riflessione e un incoraggiamento sull’appello per terrorismo
«L’opposizione politica si trasforma presto in violenza e terrorismo».

Queste parole che risulterebbero credibili se pronunciate da un Lupi, un Alfano, un Esposito o magari uscite dalla veemente penna di un Numa, appartengono in realtà a Nikolaj Ivanovic Ezov, primo inquisitore di Stalin all’epoca della grandi purghe. Diresse l’NKVD raggiungendo ragguardevoli records in quanto ad esecuzioni sommarie per poi finire lui stesso sommariamente fucilato una volta che il potere burocratico decise che la funzione di questo zelante servitore si fosse esaurita.

È incredibile come queste poche parole riassumano il sentimento di ansia di controllo e isterismo che provano gli uomini di potere quando si sentono minacciati, quando sentono che non tutto va come dovrebbe andare o come fu pianificato che andasse. È l’isteria dell’ordine di fronte all’anomalia. Un sentimento comune a molti despoti (che infatti sono persone notoriamente nervose, sospettose e paranoiche) e, con le dovute proporzioni, anche fra le file dei crociati pro Tav.
Chi ha seguito anche solo distrattamente le vicende della Val Susa degli ultimi due/tre anni si sarà forse accorto di come fra i fautori dell’opera e i suoi oppositori si sia innescato un conflitto non solo materiale, ma spesse volte narrativo, cioè volto a definire quello che stava accadendo. Se da una parte chi opponeva il suo No parlava (e parla) di resistenza e di riappropriazione di un territorio, di una pratica, della potenza, ecc…, dall’altra chi pervicacemente insisteva (e insiste) nella cantierizzazione eterna di una vallata definiva a suo uso e consumo le lotte che ostacolavano i progetti di rapina di un territorio. Uno Stato appena più intelligente di quello che Ezov e compagni combatterono e vinsero sa bene che la pura repressione non è granché efficace se non si accompagna a politiche che la supportino. In mancanza di queste si richiede almeno che si costruisca un certo consenso formale intorno ai colpi repressivi più arditi e innovativi, che non solo permetterebbero di sconquassare la lotta reale a cui sono diretti, ma anche di legittimare agli occhi della società un nuovo strumento di controllo nella mani dello Stato.

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